NEW del 10 settembre 2006

 
     

Dialogo fra culture e religioni : cresce richiesta da voci autorevoli
di Rita Guma

Forse molti non ci hanno fatto caso, ma una delle parole piu' in voga negli ultimi tempi a livello politico e' DIALOGO.

Non parliamo dei politici italiani, che a volte fingono contrapposizioni, mentre di fatto inciuciano bellamente, o che paventano opposizioni volte ad ottenere concessioni e non a mantenere una posizione di coerenza. Sto parlando di dialogo fra civilta', dialogo fra religioni, dialogo fra opposte fazioni nelle guerre civili, dialogo fra Olmert e Abu Mazen o fra i guerriglieri nei Paesi africani ed i rispettivi governi.

Lo chiedono autorevolissimi consessi e personalita': l'ONU, che ha varato ieri una strategia antiterrorismo basata sul dialogo e la lotta alla poverta', il Consiglio d'Europa, che ha appena organizzato e sponsorizzato un congresso interculturale ed interconfessionale, il Papa, che ha ribadito due volte in una settimana il concetto, il Consiglio ecumenico delle Chiese, che ha sottolineato l'importanza del dialogo fra religioni per la pace, il Consiglio per le relazioni estere degli Stati Uniti e persino l'organizzazione del Festival del Cinema di Venezia, che rappresenta un'industria che si occupera' pure di futilita', ma alla fine gestisce un potentissimo strumento educativo mondiale, cosi' come avviene per l'Associazione internazionale degli editori impegnata sul dialogo fra culture. In particolare, per la Palestina, hanno esortato al dialogo sia il Patriarca cattolico di Gerusalemme che la Diocesi episcopale di Gerusalemme (che comprende Israele, Palestina, Siria e Giordania).

Ora, tutte queste organizzazioni mondiali e personalita' della cultura e della religione, avranno i loro buoni motivi e certo nessun tornaconto per sottolineare l'esigenza di dialogo, mentre ci sono altri (Bush in testa, ma anche alcuni politici nostrani) che parlano solo di contrapposizione, di civilta' superiori e di lotta a questo o a quello, ricavandone come tornaconto voti nella migliore delle ipotesi, e nelle peggiori le ricchezze dei Paesi occupati, vantaggi economici per gli amici e guadagni per l'industria degli armamenti che li finanzia in campagna elettorale.

Certo dialogo puo' essere e' una parola scomoda, perche' significa ascolto dell'altro, delle sue ragioni e delle sue esigenze, e quindi implica rinuncia da parte nostra ad un pezzetto piu' o meno grande di potere, sovranita', pregiudizio etc etc. Eppure il dialogo e' l'unico strumento che permetta di far vincere chi ha ragione e non il piu' forte. Il dialogo puo' anche fallire, ma la guerra (ideologica o armata) e' sempre un fallimento, per la civilta', per i diritti umani e spesso per gli stessi che la propongono.

Oggi e ieri i popoli occidentali si sono trovati dal lato (talora oscuro) della forza, ma non e' stato sempre cosi' e comunque la situazione potrebbe ancora cambiare. In una pura ottica utilitaristica, ed esempio, qualcuno di quelli che esorta ad attaccare l'Iran (compreso il presidente dell'American Jewish Comitee, ricevuto qualche giorno fa da Prodi, e che da' come 'inevitabile', quindi certa, la guerra USA all'Iran) ha pensato forse che ci sono due Paesi amici di Teheran, Russia e Cina - finora gigante silenzioso - che sono militarmente ben equipaggiati e che potrebbero non gradire?

Percio', anche se per molti fra noi la regola del dialogo vale 'a prescindere', perche' e' rispettosa dell'altro, sarebbe intelligente che cominciasse a considerare questa opzione anche chi solitamente da' ascolto alle sirene politiche ed 'intellettuali' che invitano - spesso avvalendosi di disinformazione - alla contrapposizione, alla difesa della propria cultura intesa come impedimento agli altri ad esprimere la propria, ed in definitiva obbligo per tutti di omologarsi.

E' legittimo opporsi (con metodi rispettosi dei diritti umani) alla violenza altrui, ma non e' altrettanto legittimo imporre noi stessi e la nostra cultura agli altri (spesso ignorando la vera natura di cio' che stiamo combattendo o del tutto radendo al suolo). Questa azione, che si usino metodi impositivi pacifici oppure armi, ci si ritorcera' contro, prima o poi.

Speciale pace

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