14 giugno 2007

 
     

USA : pena di morte a 5 innocenti ogni 100 condannati
di Rico Guillermo*

Nuovi casi continuano a dimostrare l'inesattezza della dichiarazione del giudice conservatore della Corte Suprema USA Antonin Scalia, che l'anno scorso scrisse di ritenere corretta la valutazione di Joshua Marquis, secondo cui la percentuale d'errore nelle sentenze che prevedono pene superiori ad un anno sarebbe solo dello 0,027 per cento.

Secondo D. Michel Risinger, della Seton Hall School of Law, l'osservazione dei dati empirici dimostra che la percentuale d'errore e' ben lontana da 27 casi ogni 100.000. Il prof. Risinger ha preso ad esempio i riconoscimenti di innocenza dovuti all'esame del DNA per i casi capitali dal 1982 al 1989 come universo di riferimento e un campione delle 2235 sentenze imposte durante questo periodo, evidenziando che il 21.45%, ovvero 479 di queste, erano casi di omicidio con previsione di pena capitale. Dai dati emerge che negli anni '80 il 3.3% dei condannati era sicuramente innocente. Ma considerando che si sono esaminati solo i casi certi (i dati del progetto Innocence della scuola di diritto di Cardozo mostrano che soltanto nel 67% di quei casi il DNA sarebbe stato considerato utilizzabile per le analisi) si puo' valutare che l'effettivo margine di errore sia ancora piu' alto, cioe' del 5%.

In definitiva si ha per le pene capitali comminate negli anni '80 un tasso di errore effettivo di 3.3%-5%, molto distante dallo 0,027% medio valutato da Scalia e Marquis, il che fa dubitare ampiamente del dato fornito dal magistrato della Corte suprema, anche se questo si riferiva in generale a tutte le condanne con pena superiore ad un anno. Quindi la percentuale di successi della giustizia americana e' molto inferiore al 99.973% dichiarato da Scalia, mandando a morte da 3 a 5 persone innocenti ogni 100 sentenze di morte.

Questa dev'essere anche la percezione dei cittadini statunitensi, visto che un recente sondaggio nazionale a cura del Centro d'informazione sulla pena di morte dimostra come cresca nell'opinione pubblica americana la diffidenza verso la pena capitale. I dati dell'inchiesta evidenziano come, mentre una maggioranza ancora sostiene la pena di morte in teoria, di fatto essa sia raramente applicata, dato che per molti cittadini e giurie sta divenendo molto piu' attraente la condanna all'ergastolo (in USA e' una condanna a vita senza possibilita' di scarcerazione) ed essa e' la scelta preferibile rispetto alla pena di morte per sottogruppi importanti della popolazione. Una quota significativa della popolazione non e' convinta che la pena capitale ottenga l'effetto dissuasivo dichiarato e due terzi degli Americani non credono che la riforma del sistema della pena capitale eliminera' i problemi connessi.

Ma, anche se i dubbi sulla bonta' della pena di morte hanno molte radici, la preoccupazione principale e comune e' il rischio che persone innocenti possano essere considerate colpevoli. La maggior parte dei Americani crede infatti che diversi innocenti siano stati gia' mandati a morte e che dovrebbe essere disposta una moratoria nel Paese su tutte le esecuzioni. Le persone sono profondamente preoccupate anche circa l'imparzialita' del processo. L'evidenza mostra infatti che talora, anche quando la prova fisica dell'innocenza c'e', essa 'misteriosamente' scompare o viene sottovalutata, in barba al principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" cui gli sceneggiati USA ci hanno abituato.

Emblematico in tal senso uno dei casi in attesa di chiarimento in questi giorni, quello di un afroamericano che da vent'anni vive nel braccio della morte come il presunto strangolatore della Georgia, con una condanna che non si basa su nessuna prova fisica che lo ricolleghi ai delitti (l'omicidio sequenziale di anziane bianche nelle loro abitazioni). Nel 1986, otto anni dopo l'ultimo assassinio, Carlton Gary fu condannato a morte per tre degli omicidi. Nel 2005 e' stata presentata una nuova prova che era mancata per 25 anni: l'impronta di un morso presa sull'ultima vittima. L'avvocato di Gary - che ha notato il segno del morso in una fotografia della vittima - ha sostenuto che il fatto che l'impronta non collimi con i denti del suo assistito sia prova d'innocenza, ma la settimana scorsa un giudice ha stabilito che questo elemento non fa sorgere abbastanza dubbi sul caso di Gary per insidiare la condanna del 1986. Il caso di Carlton Gary va ora all'undicesima Corte d'Appello di Atlanta.

Sul caso e' stato anche scritto un libro del premiato David Rose - autore di un volume su Guantanamo e collaboratore del Guardian, dell'Observer e della BBC - il quale ha seguito la vicenda per piu' di dieci anni. Fra l'altro, Rose sottolinea che Gary non ha assolutamente il profilo del serial killer. Racconta inoltre di un episodio che rivela come l'impronta del morso fosse stata gia' rilevata dalla polizia.

L'agente che investigava sul caso e il procuratore distrettuale (entrambi hanno fatto ora carriera) prima del processo avevano fatto visita al tecnico dentista che aveva realizzato un calco ai denti del presunto assassino per confrontarlo con il segno del morso e gli avevano chiesto se la corrispondenza del calco con il segno sarebbe stata una buona prova di colpevolezza. Alla risposta affermativa, avevano chiesto se, qualora tale corrispondenza non vi fosse stata, il perito avrebbe potuto affermare che cio' non escludeva la colpevolezza. "No, no. Se non combacia avete l'uomo sbagliato", aveva risposto il dentista, al quale - secondo Rose - fu quindi chiesto di dimenticare l'incontro irrituale.

L'esistenza di questa prova non venne mai citata in giudizio, fino al 2005.

* si ringrazia Claudio Giusti

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