NOTIZIARIO del 03 aprile 2005

 
     

Pena di morte in USA : una proposta di moratoria
da Claudio Giusti*

La pena di morte americana non sarà abolita da una bolla papale, né da una Risoluzione delle Nazioni Unite, né dal Sindaco di Reggio Emilia e nemmeno dagli abolizionisti di Fort Worth. La pena capitale negli Stati Uniti finirà quando lo decideranno quelli che il Professor Austin Sarat chiama “abolizionisti riluttanti”, cioè quelle persone che, senza convertirsi all’abolizionismo, prenderanno atto che la pena capitale non può, per sua stessa natura, essere applicata equamente e coerentemente ed è perciò contraria alla Costituzione americana.

L’esempio è quello del giudice della Corte Suprema Blackmun che, senza dichiararsi contro la pena di morte in quanto tale, scriveva nella sua ultima dissenting opinion: “Sono passati vent’anni da quando questa Corte [Suprema] proclamò che la pena di morte può essere imposta solo ed esclusivamente in maniera equa e con una ragionevole coerenza (…) [ma], nonostante gli sforzi degli Stati e delle corti per escogitare formule legali e regole procedurali adatte a raggiungere questa impegnativa sfida, la pena di morte rimane intrisa di arbitrarietà, discriminazione, capriccio ed errore. (…)"

"Da oggi in poi non mi gingillerò più nel tentativo di riparare il meccanismo della morte. Per più di 20 anni ho cercato (in realtà ho lottato) insieme alla maggioranza della Corte nel tentativo di sviluppare regole procedurali e sostanziali che portassero a qualcosa di più di una mera apparenza di equità nell’applicazione della pena di morte. Piuttosto che continuare a cullarmi nell’illusione della Corte che si sia raggiunto il livello desiderato di equità (…), mi ritengo moralmente e intellettualmente obbligato ad ammettere che l’esperimento della pena di morte è fallito. (…) [e che] la domanda di base: - il sistema determina accuratamente e coerentemente quale accusato 'merita' di morire? – non può avere una risposta affermativa." (Callins v. Collins, 1994, Giudice Blackmun, dissenting).

Noi abolizionisti dobbiamo cercare interlocutori in quei settori della società americana che hanno dubbi sul loro sistema giudiziario. Dobbiamo uscire dal mantra dell’azione urgente e fare attività di respiro strategico, cercando il dialogo con la società americana non abolizionista. Dobbiamo smetterla con gli innocenti e concentrarci sui colpevoli, come ci insegna l’illuminante saggio di Andrew Hammel.

Per farlo dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione ed è per questo che chiedo una moratoria della proposta di abolire il gemellaggio fra Reggio Emilia e Fort Worth. Lo so che per molti è un’eresia, ma dobbiamo tenere aperti tutti i canali, facendo anche cose un po’ strane come organizzare un concerto per ricordare il D Day.

Dobbiamo cioè trovare tutti i modi possibili e immaginabili per attirare l’attenzione degli abolizionisti riluttanti di Fort Worth, perché sono quelli i nostri veri interlocutori. Ma soprattutto dobbiamo fare uscire il Movimento Abolizionista italiano dalla condizione di pressoché totale IRRILEVANZA in cui si trova ora.

*Comitato 3 luglio 1849

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