23 febbraio 2009

 
     

Giustizia USA : Karl Louis Guillen è un ragazzo fortunato
di Claudio Giusti*

Karl Louis Guillen è un ragazzo fortunato. E' entrato nel Tritacarne e, come Jona dalla balena, ne è uscito vivo per raccontarcelo. Molti dei suoi compagni di viaggio non sono stati così fortunati. O sono stati uccisi, o dal Tritacarne non usciranno più.

A onor del vero KLG dal Tritacarne non è ancora uscito del tutto e, se non trova uno spiraglio nel costoso ginepraio giudiziario americano, ne avrà fino al 2013, ma poteva andargli ben peggio. Comunque la sua vicenda ci aiuta a capire il funzionamento della giustizia americana e a uscire dalla conoscenza telefilmica che ne abbiamo.

Devo ammettere che i telefilm americani di oggi (come The Practice) sono molto più vicini alla realtà di quelli sfacciatamente falsi di un tempo, ma ancora ci sfugge l’insieme del problema. Non abbiamo ben chiaro che il sistema giudiziario americano è un costoso disastro. Un disastro razzista e classista, ammantato di superbia e disinformazione. Un sistema che funziona solo grazie alla brutalità del suo pressappochismo giudiziario.

Ogni anno, anche se la metà dei crimini gravi non è denunciata, le 18.000 diverse agenzie di polizia americane compiono 15 milioni di arresti. Questa immensa massa spezzerebbe le reni a qualsiasi sistema giudiziario, ma non al Tritacarne americano, perché il processo, che da noi è la norma, negli Usa è l’eccezione e riguarda solo 155.000 casi all’anno (un terzo sono cause civili).

Il nostro obsoleto concetto di giustizia prevede che sia un processo a stabilire se è stato commesso un crimine, che tipo di crimine, da chi e che pena debba costui eventualmente soffrire. Nulla di tutto questo accade negli Usa dove è il District Attorney a decidere se iniziare l’azione legale e contro chi, se portarla avanti e per quali capi d’imputazione, se patteggiare o garantire l’immunità, se andare al processo e se proporre alla giuria le lesser included offences.

Questa pressoché assoluta libertà di azione (e di ricatto) si traduce nel trionfo del patteggiamento con cui si ottengono il 96% delle condanne per i felonies e il 60 di quelle per omicidio.

Le 3.000 Trial Courts of general jurisdiction hanno quindi una funzione decisamente minore rispetto a quella delle nostre corti di giustizia, ma, come se non bastasse, alla base del sistema giudiziario americano ci sono 13.500 Trial Courts of Limited Jurisdiction (indicate con una miriade di nomi diversi) che sbrogliano sommariamente 90 milioni di misdemenours e piccole cause civili l’anno, facilitate dal non dover tenere un verbale (courts not of record) e dal fatto che la presenza di un avvocato difensore non è normalmente prevista e spesso nemmeno consentita (anche perché spesso quei giudici non sono nemmeno diplomati).

La serenità del sistema giudiziario americano è poi assicurata dal fatto che le giurie non devono motivare verdetti e sentenze (devono raggiungere l’unanimità) e dalla inesistenza dell’appello, almeno per come è concepito in Italia. Esso infatti non è un diritto costituzionale e solo i condannati a morte hanno la certezza che la loro condanna sarà riveduta da una corte superiore (che culo, vero?). Per tutti gli altri la possibilità di revisione è estremamente remota, tanto che in una dozzina di stati le corti d’appello nemmeno ci sono.

Nel 2004, su 45 milioni e duecentomila procedimenti giudiziari (civili, penali, juveniles, family courts, ecc.) nelle Courts of general jurisdiction, i casi in appello erano appena 273 mila. In ogni caso l’appello non consiste nel rifacimento del processo, ma nella revisione formale del verbale del dibattimento e può diventare una messa cantata pluridecennale, con cause civili che durano trent’anni, come da trent’anni c’è chi aspetta il boia, ma normalmente la faccenda è piuttosto sbrigativa.

Questo sistema non garantisce una “giustizia giusta” o un minimo di equità. La semplice lettura dei giornali americani ci mostra quotidianamente come la giustizia sia, a tutti i livelli, “arbitrary and capricious”, con alcuni che finiscono all’ergastolo per reati da quattro soldi e assassini che non stanno in prigione più di dieci minuti.

Negli ultimi trent’anni, non per caso in coincidenza del ritorno del boia, gli americani hanno imprigionato sempre più gente per periodi di tempo sempre più lunghi e questo ha prodotto il più grande esperimento di incarcerazione di massa dai tempi di Stalin. Ogni giorno, nelle più di 5.000 galere dell’American Gulag, si stipano, in condizioni spesso atroci, 2 milioni e cinquecentomila persone. Un milione e seicentomila sono nelle prigioni statali e federali (trent’anni fa erano 300.000).

130.000 sono ergastolani, di cui un quarto LWOP e fra questi 3.000 sono minorenni, alcuni dei quali avevano 13 anni al momento del crimine. Altri 300.000 stanno scontando condanne nelle County Jails, dove in 500.000 sono in attesa del processo. Più di 100,000 sono i minorenni in riformatorio e 30.000 quelli nelle carceri per adulti. Le donne detenute sono 200.000 e spesso si ha notizia di una di loro costretta a partorire ammanettata mani e piedi. Il 6% degli americani ha gravi problemi mentali, ma per i detenuti si passa al 20% e le carceri, con 500.000 malati mentali, sostituiscono gli ospedali psichiatrici.

Un adulto americano ogni cento risiede nel Tritacarne, ma per i neri si passa a dieci. Se prendiamo in considerazione anche i 5 milioni in probation e parole arriviamo ad un adulto ogni 31. Se consideriamo anche i 5 milioni di felons che hanno perso i diritti civili e i bambini che hanno almeno un genitore in prigione arriviamo a 15 milioni di persone: un ventesimo della popolazione americana. La metà abbondante dei paesi rappresentati alle Nazioni Unite non ha tanti abitanti.

Il turn over è impressionante: nel 2003 è stato di 2.200.000 persone nella probation e di 600.000 nelle carceri. Incalcolabile quello nelle jails. Il Gulag cresce di mille unità a settimana. Ogni anno il Tritacarne ingoia più detenuti di quanti ne contiene tutto il sistema penale italiano.

Gli Stati Uniti d’America detengono il record mondiale di un carcerato ogni 120 abitanti, con un tasso di detenzione di 833 per 100.000, ma, se contiamo anche quelli in libertà vigilata, arriviamo a un condannato ogni 40 abitanti e a un tasso di 2.500 per centomila. I neri sono il 13% della popolazione, ma forniscono la metà dei carcerati. Un terzo dei ventenni di colore è in prigione o in libertà vigilata e il loro tasso d’incarcerazione è di 13.000 per centomila, mentre per i loro coetanei bianchi è di 1.700.

Ogni giorno 50.000 persone entrano nel Tritacarne. Alcuni per pochi minuti, altri per sempre.

NOTA: Il libro di Karl Louis Guillen "Il Sangue d'Altri" (seguito del Tritacarne) sta per essere pubblicato

* membro del Comitato scientifico dell'Osservatorio

Speciale giustizia USA

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