26 maggio 2007

 
     

Carceri e processi : efficienza americana
di Claudio Giusti* (1)

28 maggio 2007 Compleanno di Amnesty International.
Il sistema giudiziario americano funziona perché non fa i processi, non fa gli appelli e non motiva le sentenze. Secondo il governo statunitense il 96% delle condanne per i felonies è ottenuta con il patteggiamento. Solo il 40% delle condanne per omicidio criminale (preterintenzionale e volontario) è ottenuta con un processo, mentre la quasi totalità delle cause civili, grazie all’American Rule, si conclude con un accordo.

Per i misdemeanors poi la procedura è estremamente sommaria e si ritiene che, nei due terzi dei casi, il procedimento non duri più di un minuto. Questa rapidità è dovuta al fatto che, nelle corti di basso livello che sbrigano queste faccende, la presenza di un avvocato difensore non è prevista e spesso nemmeno consentita. Se però insistete a chiedere un processo vero passate alla corte superiore e intanto restate in cella.

Prassi comune è quella di tenere quegli arrestati che si devono affidare alla difesa pubblica, in prigione per un tempo pari a quello che si prenderebbero in caso di condanna: poi, una dozzina alla volta, li portano, incatenati l’uno all’altro, davanti al giudice dove il difensore d’ufficio li fa dichiarare colpevoli e il giudice li condanna “time served”. Questo sistema serve a sbrogliare una quantità di lavoro immensa. Perché ogni anno, anche se il 50% dei crimini gravi non viene denunciato alle autorità, le 18.000 polizie statunitensi compiono più di 14 milioni di arresti.

I processi davanti a una giuria o un giudice togato (quelli che producono la nostra conoscenza telefilmica della giustizia americana) sono solo 150.000 e hanno il vantaggio di non richiedere che il verdetto e la sentenza siano motivati. La giuria non deve spiegare perché vi dichiara colpevole e vi manda al patibolo: non deve motivare il suo giudizio, spiegare come ha valutato le prove e le testimonianze e nemmeno lo deve fare il giudice. Le sentenze, di norma, sono immediatamente esecutive e il condannato va, o torna, in prigione direttamente dall’aula. In molti casi però il giudice decidere di metterlo “in prova”, a volte anche per crimini gravi e condanne lunghe.

Questa enorme quantità di arresti e condanne ha prodotto la più grande incarcerazione di massa dai tempi di Stalin e l’immenso gulag americano accoglie 2.350.000 carcerati. (Nel 2005 è aumentato di un numero pari a quello di tutta la popolazione carceraria italiana.) Di questi 1.450.000 sta scontando condanne superiori a un anno nelle carceri statali e federali (trent’anni fa erano 200.000). Gli ergastolani sono 130.000, un quarto dei quali LWOP, e di questi 2.000 erano minorenni al momento del crimine. I minorenni in riformatorio sono più di 100.000 e 15.000 sono invece finiti nelle carceri per adulti (i minori arrestati sono 2.300.000 l’anno, di cui 500.000 sotto i 15 anni, 120.000 fra i 10 e i 12 e 20.000 sotto i 10 anni d’età. Non è inusuale l’arresto di bimbetti di quattro anni). 100.000 sono le donne. Degli 800.000 che affollano le jails circa 500.000 sono, più che in attesa di giudizio, in attesa che qualcuno gli trovi uno straccio di difensore. Gli altri stanno scontando pene inferiori all’anno.

A questa enorme massa bisogna aggiungere i 4.200.000 che sono in probation, gli 800.000 in parole (non hanno scontato tutta la pena) e i 5 milioni che hanno perso i diritti civili. Se aggiungiamo i minorenni che hanno almeno un genitore in prigione vediamo come negli ultimi trent’anni sia stata creata una sottoclasse “carceraria” pari al 5% della popolazione americana. Il turn over è impressionante: nel 2003 è stato, nella probation, di 2.200.000 persone e nelle carceri di 600.000. Incalcolabile quello nelle jails.

In America l’appello non è un diritto costituzionale e solo i condannati a morte godono di una revisione automatica della condanna, ma questa non è un rifacimento del processo. L’appello americano è una verifica della correttezza formale del primo procedimento: in esso non si riascoltano i testi, non c’è giuria e il condannato ha perso la sua (teorica) presunzione d’innocenza. L’appello capitale può diventare una messa cantata pluridecennale che va su e giù per le corti statali e federali, ma per tutti gli altri la musica è ben diversa. L’appello vene concesso molto raramente e quasi mai a chi ha patteggiato.

I tempi sono così lunghi che, per rimettere in libertà i 13 innocenti di Tulia, il Texas ha dovuto fare un’apposita legge. Capita spesso che l’innocenza di qualcuno condannato a soli 5 – 10 anni venga riconosciuta a condanna scontata. Non c’è il pericolo della prescrizione, perché questa si è interrotta con l’inizio dell’azione giudiziaria.

Il sistema giudiziario prevede corti d’appello e supreme in ogni Stato. Per ogni Stato c’è almeno un distretto giudiziario federale e i distretti sono raggruppati in 11 circuiti federali. Sopra tutti c’è la Corte Suprema Federale. Le corti d’appello statali e federali hanno, di norma, un potere assoluto nel decidere quali casi udire e quali respingere senza spiegazione. La Scotus riceve 7 – 8.000 richieste di certiorari l’anno ed emette 60 - 70 sentenze.

Non è corretto dire che i giudici americani sono politicizzati, perché essi appartengono a pieno titolo al mondo della politica: sono cioè uomini politici a tutti gli effetti. Essi, avvocati o procuratori che fossero, hanno tutti alle spalle un periodo più o meno lungo di attivismo politico. A volte sono eletti, ma più spesso nominati da altri uomini politici e tutti, alla fine, rispondono delle loro sentenze al “popolo”. Non sono pochi i giudici che hanno pagato a caro prezzo decisioni invise alla maggioranza degli elettori.

(1) Per una traduzione dei termini giuridici utilizzati vedi

* membro del Comitato scientifico dell'Osservatorio sulla legalita' e su diritti

Speciale giustizia

Speciale diritti

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