25 febbraio 2007

 
     

Giustizia USA : sanita' , atti secretati , pubblico ignaro dei rischi
di Rico Guillermo*

Una giovane donna incinta riporta danni gravi e irreversibili a seguito dell'uso di una pompa insulinica. Gli atti del processo vengono secretati, con danno per tutti gli altri utenti della pompa, che non sanno a quali rischi vanno incontro e di coloro che sono stati gia' danneggiati, che non hanno lo stimolo a chiedere un risarcimento.

Succede negli USA, il Paese la cui giustizia viene spesso esaltata da politici e media nostrani per la presunta imparzialita' dei giudici e per la non discrezionalita' dei magistrati. In questo caso e' invece la legge che lascia discrezione al magistrato, mentre va considerato che alcuni magistrati USA, essendo le cariche spesso elettive, non sono insensibili alle sirene di un potenziale sostenitore della loro prossima campagna elettorale.

Venendo ai fatti, la ditta produttrice della pompa insulinica aveva previsto una levetta che, quando in posizione ON, subordinava il rilascio della sostanza anti-zuccheri alla pressione periodica di un pulsante da parte del paziente. Qualora il paziente fosse andato in crisi ipoglicemica, non avrebbe potuto premere il pulsante, e l'immissione di insulina nello stomaco sarebbe stata automaticamente sospesa.

Ma nel caso della donna, la levetta era in posizione OFF all'atto dell'acquisto, ne' la donna avrebbe potuto pensare che andasse posizionata diversamente, dato che il video con le istruzioni dedicava 15 secondi alla levetta, spiegando solo che si trattava di un dispositivo di sicurezza per l'utente. Ne' il medico che aveva prescritto la pompa alla ragazza aveva spiegato a cosa servisse la levetta, limitandosi a ritenere che la donna non avesse bisogno di impostarla diversamente.

Cosi', quando sopravvenne il calo di zuccheri, la giovane perse i sensi e - dato che il marito era in servizio per l'esercito in Medio Oriente - rimase per tre giorni in coma ipoglicemico a causa del persistere dell'attivita' della pompa, fino all'arrivo dei parenti insospettiti dal prolungato silenzio. In tal modo ha riportato danni gravi al cervello e la gravidanza e' stata terminata dai sanitari, giudicando gravi anche i danni arrecati al feto.

Da qui il processo per risarcimento danni intentato alla casa produttrice dell'apparecchio ed al medico che aveva in cura la paziente. Il rappresentante della famiglia ha citato 15 rapporti della Food and Drugs Administration USA (FDA) dai quali emerge che altri 10 pazienti sono morti e 5 hanno subito lesioni in occasione dell'uso delle pompe per insulina prodotte da un'azienda in seguito acquistata da quella citata in tribunale. Egli ha detto che la compagnia stava celando le informazioni sui rischi della pompa "al pubblico, alla Comunità medica e al governo".

Prima di approvare un nuovo dispositivo medico, la FDA richiede infatti studi clinici o la prova della sicurezza e dell'efficacia. Ma la compagnia aveva eluso tale punto dicendo che il dispositivo era sostanzialmente “equivalente„ ad una pompa generica di infusione utilizzata per i liquidi medici, approvata prima del 1976. Peraltro la compagnia ha omesso di avvertire la FDA dei gravi danni subiti dalla donna in questione, impedendo quindi l'avvio delle procedure di 'allarme' da parte dell'ufficio pubblico. Questo suggerirebbe che il caso sia solo la punta dell'iceberg.

Da notare che l'impresa coinvolta nella causa non era un modello di etica. In passato ha infatti dovuto pagare 40 milioni di dollari di penale per aver blandito i medici al fine di indurli ad usare i propri prodotti spinali. Secondo il dipartimento di giustizia USA, le blandizie hanno incluso accordi e viaggi sontuosi.

Al processo per i danni alla giovane incinta, la compagnia ha ribaltato tutta la responsabilita' sul medico, che sapeva dello scopo della levetta ed ha scelto di non usarla. Inoltre ha messo in dubbio la pertinenza e l'affidabilità dei 15 rapporti della FDA, affermando che questi dicono poco o niente circa la levetta e che nessuno dei rapporti ha concluso che una pompa aveva provocato una morte o un danno.

Anche una Universita' pubblica e' stata coinvolta nel giudizio. Insieme, la famiglia, la compagnia e l'Universita' hanno chiesto il segreto sugli atti. Lo scopo sarebbe stato quello di proteggere l'impresa, la privacy della vittima e la famiglia (dai predatori finanziari), nonche' onorare l'accordo stipulato fra le parti di mantenere confidenziale la somma del risarcimento. La motivzione della richiesta unanime conteneva anche un'argomentazione discutibile, cioe' che era improbabile che la decisione del Tribunale potesse essere di interesse per altre persone.

Negli USA una legge del 1993 vieto' accordi confidenziali fra le parti in caso di rischi collettivi e stabili' che in caso di processi coinvolgenti imprese, gli atti devono essere trasparenti, per l'interesse collettivo. Ma nel 1994 (la prossimita' delle date e' significativa degli interessi economici in gioco) una nuova legge stabiliva che l'interesse collettivo e' si importante, ma che questo comprende la garanzia che i segreti industriali siano coperti alla concorrenza, per cui il giudice deve valutare quale fra le due esigenze prevale. Nel caso in questione, la richiesta dell'impresa ha trovato il consenso del rappresentate legale della famiglia, per cui il giudice ha dimenticato l'interesse collettivo di tutti gli altri potenziali danneggiati dalla pompa e ha concesso il segreto. Era l'ottobre 2003. E' stata forse la prima volta in vent'anni che questa legge e' stata applicata, nel Paese della 'class action'.

Adesso solo un giornale, il Seattle Times, ha chiesto l'accesso agli atti, evidenziando che eventuali dati da tenere effettivamente segreti potevano essere oscurati. Inoltre il giornale ha obiettato che la legge sul segreto si applica ai Tribunali, non alle altre entita' pubbliche, quale l'Universita' coinvolta nella causa. Avvalendosi poi della scappatoia concessa dalla legge del 1994, secondo cui un terzo puo' presentare ricorso contro il segreto, il giornale ha chiesto alla Corte di annullare l'accordo di riservatezza fra le parti e quindi eliminare il segreto dagli atti in nome dell'interesse pubblico.

La richiesta del giornale sta ancora aspettando risposta.

* si ringrazia Claudio Giusti, membro del Comitato scientifico dell'Osservatorio

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