25 gennaio 2007

 
     

Consulta : incostituzionale inappellabilita' legge Pecorella
di Rita Guma

Il PM puo' presentare appello contro una sentenza di assoluzione di primo grado. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale ritenendo illegittimo quanto disposto dalla legge Pecorella, approvata nella scorsa legislatura. La Corte costituzionale ha accolto le questioni di incostituzionalità proposte dalle corti di Appello di Venezia, Brescia, Milano, Bologna e Roma dichiarando incostuzionale l'articolo 1, che sanciva il divieto di appello per il PM e anche l'articolo 10 della legge, che bloccava il ricorso in appello proposto dal PM anche per le sentenze di proscioglimento precedenti al 9 maggio 2006, data di entrata in vigore della legge.

La legge Pecorella era gia' stata rinviata alle Camere per incostituzionalita' a suo tempo dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ma in seconda battuta egli aveva dovuto necessariamente firmarla. La legge era stata oggetto di un vivace dibattito, in parlamento e nel Paese, fra ipergarantisti e coloro che la consideravano una norma "ad personam".

Ne aveva parlato anche la stampa straniera e l'Economist aveva scritto: "Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio italiano, si avvia a portare a termine il suo incarico cosi' come l'aveva cominciato, nell'estate del 2001: con un violento attacco al sistema giudiziario. In uno dei suoi ultimi atti prima delle elezioni di aprile, il Parlamento italiano ha votato una legge presentata da Gaetano Pecorella, che e' avvocato del Signor Berlusconi e anche parlamentare di Forza Italia, il suo partito politico. Nel giugno 2001, il Signor Pecorella, che e' presidente della Commissione Giustizia della Camera, era stato anche relatore di una legge per ridurre la gravita' del reato di falso in bilancio, per il quale il presidente del Consiglio si trovava allora sotto processo...".

L'Unione delle Camere penali valutava positivamente il provvedimento, considerandolo un progresso per i diritti dei cittadini, e commentando che si trattava di un esempio "di grande civiltà e correttezza". Inoltre promettevano di denunciare "qualsiasi resistenza interpretativa che stravolga la ratio della legge". L'Organismo unitario dell'avvocatura - pur giudicando il principio giusto - criticava il "continuo ricorso ad interventi settoriali sganciati da un progetto organico di riforma". Mentre le associazioni delle toghe ritenevano che la legge compromettesse il principio costituzionale della parita' delle parti nel processo, l'allora primo presidente della Corte Costituzionale, Nicola Marvulli, dichiaro' che la legge "distrugge" la funzione assegnata alla suprema Corte.

Oggi Ernesto Aghina e Carlo Citterio, rispettivamente presidente e segretario generale del Movimento per la giustizia commentano che la decisione della Consulta "conferma che nella precedente legislatura vi sono stati interventi normativi consapevolmente adottati in contrasto con i principi costituzionali, nonostante specifici e approfonditi tempestivi rilievi da parte della magistratura e della comunità scientifica" e si rammaricano "per gli effetti distorsivi che norme incostituzionali hanno sin qui determinato sulla già disastrata giurisdizione".

In attesa delle motivazioni della sentenza, i due esponenti delle toghe rilevano che "viene meno un altro 'alibi' perche' la nuova maggioranza parlamentare non ridisciplini le più discusse recenti normative in materia di giustizia, secondo gli impegni di programma e senza scaricare le proprie responsabilità sul giudice costituzionale" e concludono che "la politica ben può criticare ma deve rispettare le decisioni di ogni giudice, e specialmente della Corte costituzionale, garante del rispetto dei principi indisponibili anche allo stesso Legislatore ordinario; continuare a proclamare che i giudici agiscono nel modo purtroppo tipico della peggior politica partitica (o con me o contro di me, e perciò decido in un modo o nell'opposto) è solo segno di ulteriore degrado e mancanza di cultura delle Istituzioni".

Il problema - ricorda l'Osservatorio sulla legalita' e sui diritti - e' che viene fatta passare l'idea scorretta che il PM sia la pubblica accusa, il che nell'ordinamento giudiziario italiano non e' vero. Il Pubblico Ministero e' infatti colui che nel processo opera per conto dello Stato, quindi dei cittadini, anche quelli che non sono direttamente vittime o parte civile nel processo ma hanno diritto a che sia assicurata la giustizia. Il suo compito e' contribuire all'accertamento della verita', ed infatti spesso chiede l'archiviazione prima del processo o l'assoluzione nel corso di esso, ove non trovi prove sufficienti per l'incriminazione o si convinca dell'innocenza dell'imputato. E' ovvio che non e' questa l'immagine che viene fatta passare su certa stampa e quindi nell'immaginario collettivo.

L'Osservatorio si era espresso negativamente sull'abolizione dell'appello in caso di proscioglimento gia' quando Berlusconi dichiaro' la volonta' di vararlo, nel 2004.

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