NEW del 20 gennaio 2006

 
     

Abu Omar : la CIA avvertì i suoi agenti di stare fuori dall'Italia
di Giulia Alliani

"Secondo un messaggio e-mail, recuperato dal disco fisso del computer del principale sospettato, la Cia avverti' i suoi agenti di starsene alla larga dall'Italia appena seppe che i pm italiani che indagavano sul caso dell'Imam rapito avevano intenzione di emettere dei mandati d'arresto". Lo scrive oggi John Crewdson sulla Chicago Tribune.

"Un'impiegata della Cia, che ricevette il messaggio, scrisse poi all'ex capo della Cia di Milano, Robert Seldon Lady, di sentirsi "estremamente sollevata" nel sapere che Lady era riuscito a passare il confine svizzero e si trovasse, invece che "in una camera di sicurezza, in Italia", "a Ginevra finche' tutta la cosa non si sgonfiava".

"L'impiegata, che ora si trova in Virginia, scrisse che era rimasta sbigottita quando "all'improvviso, nella casella di posta dell'ufficio, aveva ricevuto un messaggio intitolato 'Italy, don't go there'. Contattata al telefono, l'impiegata ha detto di non avere il permesso di parlare del messaggio a Lady, datato 24 dicembre 2004.

Il messaggio "don't go there", descritto come "uno stringato elenco delle intenzioni dei magistrati di Milano", arrivo' dopo la pubblicazione del primo servizio del Corriere della Sera (1), in cui si scriveva che i pm stavano indagando sul rapimento dell'Imam per presunto sequestro di persona, e "una possibile violazione della sovranita' nazionale".

Lady e' uno dei 22 agenti Cia accusati per il sequestro di persona di Abu Omar. Nessuno e' stato arrestato nonostante l'inoltro dei mandati in tutta Europa. Oltre a rappresentare un'ammissione implicita, da parte della Cia, delle responsabilita' dei suoi agenti nel rapimento, i pm italiani hanno dichiarato che il fatto di suggerire di stare in luoghi al di fuori della competenza dell'autorita' giudiziaria di Milano rappresenta un possibile intralcio al corso della giustizia.

"L'unico intralcio non era alle indagini, ma all'arresto" ha detto il capo dei pm anti-terrorismo Armando Spataro in una e-mail alla Tribune "Se fossero in Italia, potremmo arrestarli". Spataro ha detto che pensa di chiedere alle autorita' statunitensi - in base al Trattato di reciproca assistenza giudiziaria - il permesso di interrogare la donna che ha scritto a Lady. "Secondo il nostro Codice Penale chi aiuta un'altra persona a fuggire, quando c'e' o e' in previsione un mandato d'arresto, commette un reato" ha aggiunto il pm.

I pm non hanno potuto identificare l'autore del messaggio "don't go there", o determinare dove si trovi, sebbene i database accessibili alla Tribune dimostrino che e' una donna che vive a Washington, D.C. L'autrice che, come la destinataria, e' un'impiegata della direzione operativa della Cia, non ha potuto subito essere raggiunta per fornire un suo commento. I nomi delle due donne non sono stati pubblicati su richiesta della Cia, secondo cui entrambe stanno ancora lavorando sotto copertura.

L'impiegata della Cia che scrisse a Lady compare negli elenchi del governo italiano, come impiegata al consolato Usa di Milano, dal giugno 2001 al giugno 2003, quattro mesi dopo che Abu Omar era stato rapito. L'autrice del messaggio con il memo "don't go there" non compariva nell'elenco diplomatico Usa. Una terza donna che, secondo documenti del Tribunale di Milano, era conosciuta alla polizia come "un agente Cia operante presso il Consolato Americano a Milano", viene menzionata nell'e-mail dell'impiegata della Cia diretta a Lady. Questa terza donna avrebbe avvertito altri componenti della Cia che "non potevano recarsi in Italia" a causa delle indagini dei magistrati. Anche di questa terza donna, la Cia ha chiesto di non pubblicare il nome, in quanto ancora "attiva".

I funzionari del dipartimento di Giustizia a Washington non hanno voluto anticipare le mosse che potrebbero decidere se i mandati saranno loro trasmessi direttamente, o indirettamente, attraverso l'Interpol. Tuttavia uno di loro ha detto che, a suo parere, e' poco probabile che vengano sguinzagliati degli agenti dell'Fbi per arrestare funzionari della Cia attualmente residenti negli Stati Uniti".

Si ritiene che Lady sia in Florida. Il suo avvocato italiano, Daria Pesce, sostiene che il suo cliente non ha nulla a che vedere con il rapimento di Abu Omar. Il 23 giugno, quando vennero emessi i mandati d'arresto, la polizia perquisi' la villa in cui Lady viveva con la moglie, dopo essere andato in pensione alla fine del 2003. "La polizia riusci' a recuperare, dall'hard disk di uno dei suoi computer, il messaggio e-mail, che qualcuno aveva tentato di cancellare, e altri documenti che, secondo i poliziotti, lo indicano chiaramente come l'organizzatore del rapimento".

Solo questo mese, un alto funzionario del ministero dell'Interno egiziano ha confermato per la prima volta che Abu Omar e' in Egitto ed e' ancora "detenuto per motivi di sicurezza". Il funzionario, Generale Ahmed Omar, ha sostenuto, sul giornale Al Ahram, che Abu Omar, che viveva in Italia protetto dalle garanzie dell'asilo politico, era venuto in Egitto "di sua iniziativa" perche' "era stufo dopo tanti anni di continuo fuggire".

"Nei colloqui avuti in carcere con le sue due mogli e con altri parenti, Abu Omar, che quand'era giovane apparteneva a un gruppo di militanti islamici, ha detto di essere stato torturato al punto che ora cammina a fatica, e' quasi sordo, ed e' diventato incontinente".

(1) dal Corriere della Sera del 2 dicembre 2004:
"Ma a sorpresa, nel maggio 2003, la polizia egiziana lo scarcera. Sul caso la Procura di Milano indaga per «sequestro di persona».
E l'inchiesta deve accertare anche lo strano comportamento attribuito agli agenti egiziani: perché rapire un sospettato e poi permettergli di rivelare questo intrigo internazionale? Un'ipotesi è che forse al Cairo non tutti sono d'accordo con il sistema delle «consegne speciali».
Di certo Abu Omar ha potuto registrare dati significativi. E intanto l'indagine ha segnato un'altra svolta: l'imam è stato riarrestato in Egitto. La Procura continua a indagare e il caso ha risvolti delicatissimi, perché è in gioco una possibile violazione della sovranità nazionale.
In risposta a una interrogazione dei deputati Giordano e Deiana (Rifondazione), ieri il ministro Giovanardi ha sostenuto che al governo e ai servizi italiani «non risulta» che presunti terroristi siano stati prelevati in Italia e trasferiti all'estero".

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