NOTIZIARIO del 11 marzo 2005

 
     

Torture : rapporto Pentagono discolpa vertici Difesa USA
di Rico Guillermo

Gli abusi sui prigionieri in Iraq, Afghanistan o Guantanamo non possono essere imputati alle tecniche di interrogatorio disposte dall'esercito americano. Lo afferma un rapporto interno del Pentagono di cui e' stato reso noto ieri un estratto di 21 pagine privo dei dettagli considerati classificati dal dipartimento della Difesa USA.

"Non abbiamo trovato alcun legame fra le tecniche d'interrogatorio approvate e i maltrattamenti dei prigionieri", ha affermato l'ispettore generale della Marina USA, vice-ammiraglio Albert Church. Alcuni senatori USA hanno lamentato l'eccessiva indulgenza dell'ammiraglio Church per l'esercito.

Il democratico Jack Reed gli ha rimproverato di concludere che "e' stato tutto un grosso malinteso" e lo ha accusato di autocensura. Il suo collega Carl Levin, anch'egli democratico, ha detto che tale rapporto dimostra l'incapacita' del Pentagono di analizzare in modo soddisfacente le responsabilita' della gerarchia, ed ha aggiunto che "solo un'inchiesta indipendente potrebbe valutare in modo completo ed esaustivo le responsabilita' istituzionali e personali".

Il rapporto e' stato presentato come uno dei piu' completi, essendo fondato su piu' di 800 interviste ed una impressionante documentazione. L'inchiesta ha analizzato 71 casi di abusi riguardanti un totale di 121 prigionieri. Sei di questi casi hanno portato alla morte dei detenuti. Oltre a queste vicende ne sono venute alla luce da settembre altre 130.

Otto dei casi d'abuso analizzati si sono verificati nella base di Guantanamo (Cuba) e sono "relativamente minori in termini (di violenza) fisica". Tre casi sono riferiti all'Afghanistan e gli altri 60 all'Iraq, secondo il rapporto. Ad oggi sono state iniziate azioni disciplinari contro 115 soldati, con 36 casi di imputazione in corte marziale e con sanzioni amministrative per i restanti.

Il rapporto sottolinea che meno di un terzo dei casi d'abuso sarebbero stati legati agli interrogatori. Su 24.000 interrogatori svoltisi a Guantanamo, ad esempio, sono stati accertati solo 3 casi si abuso. Il rapporto giustifica le violenze legate al momento della cattura dicendo che avvengono "quando la tensione e' al culmine".

L'ammiraglio Church ha insistito a dire che "la maggior parte delle persone detenute dalle forze americane sono state trattate con umanita'", ma si duole delle "opportunita' mancate" per limitare i casi di maltrattamenti, poiche' i comandanti americani in Iraq e in Afghanistan non avevano ricevuto consegne piu' precise sulle tecniche di interrogatorio, a differenza dei colleghi di Guantanamo.

L'ammiraglio non puo' pero' omettere di notare alcuni casi di "abusi seri". Senza entrare nel dettaglio, il rapporto afferma che "questi casi esistono, soprattutto sotto forma di comunicazione fra comandanti, che avrebbero dovuto portare alla impostazione di procedure precise e regole tese ad evitare altri abusi".

Infine vi si dice che "una superficialita' nella disciplina e nell'ordine di certe unita' spiega alcuni casi di maltrattamenti" anche se non vi sono segnali che la situazione caotica registrata ad Abu Ghraib nel periodo degli abusi si sia piu' ripetuta. In realta' le inchieste precedenti condotte da alti ufficiali dell'esercito ad Abu Ghraib avevano illustrato una situazione ben diversa da quella del rapporto di Church.

I protagonisti della vicenda irachena sono intanto in carcere o si preparano alla corte marziale. Fra questi la soldatessa Lynndie England, che sara' in giudizio il 3 maggio, come ha comunicato ieri l'esercito USA. La corte marziale si riunira' a Fort Hood, in Texas.

England rischia fino a 16 anni di prigione se riconosciuta colpevole di tutte le accuse, nove capi d'imputazione fra cui complotto, sottrazione ai doveri, maltrattamento di prigionieri e comportamento indecente di fronte a prigionieri iracheni nel 2003. Il suo compagno (di battaglione e di vita), il caporale Charles Graner, e' stato condannato due mesi fa a 10 anni di prigione. per accuse analoghe.

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