NOTIZIARIO del 02 maggio 2004

 
     

Diritti umani nell' America del XXI secolo
di Roberto Oliveri del Castillo *

Negli ultimi anni (e non solo a causa della tragedia dell'11 settembre 2001) sono stati lentamente, ma decisamente, spazzati via i miti che vedevano negli Stati Uniti la terra dell'universalismo egualitario e delle libertà, che si erano faticosamente costruiti in due secoli di storia e, da ultimo, tra gli anni '50 e '70 del secolo scorso grazie a numerose battaglie, da quelle per i diritti civili dei neri a quelle dei pacifisti contro la guerra in Vietnam, con le università al centro della protesta.

Negli anni '80, con il progredire parallelo della crisi politico-economica sovietica e lo sviluppo economico dell'epoca reaganiana, si iniziava a sostituire il modello universalista con quello differenzialista, che faceva arretrare il fronte progressista a mere battaglie di retroguardia, così che non sembra in errore chi attribuisce la stagione dell'avanzata dei diritti umani in America e nel mondo occidentale (compresa l'Italia) alla necessità di entrare in concorrenza, con mezzi democratici, con l'universalismo totalitario sovietico nel periodo di massimo pericolo.

Ma altro mito, forse un po' frettoloso, che appare ormai in pezzi è quello degli Stati Uniti come il paese del giusto processo, come recita il V emendamento della Costituzione, con l'imputato garantito nelle sue prerogative da un giudice terzo e una giuria indipendente. L'esempio attuale della cultura differenzialista statunitense in campo non solo politico, ma anche e soprattutto giudiziario, il luogo dove i miti sono miseramente franati, è Guantanamo, con i suoi reclusi-fantasma.

Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 a New York, per fronteggiare la grave situazione e dare risposte alla domanda di sicurezza, il Senato emanava (26 ottobre 2001) il Patriot Act, con il quale si attribuiva all'Attorney general (il Procuratore Federale) il potere di prendere in custodia lo straniero sospettato di attività pericolose per la sicurezza nazionale, ma entro sette giorni questi doveva essere o espulso o accusato di un qualche delitto.

Tuttavia, probabilmente resosi conto della insufficienza, anche sotto il profilo simbolico, di tali misure, il presidente degli Stati Uniti Bush emanava il 13 novembre 2001 un military order che autorizzava, in deroga a qualunque norma interna e internazionale, la detenzione indefinita e il processo dei detenuti non-cittadini sospetti di attività terroristiche (o di favoreggiamento delle stesse) da parte di commissioni militari. Così, con una semplice decisione, Bush creava una nuova categoria soggettiva della cattività, ovvero i detenuti indefiniti.

Secondo recenti resoconti giornalistici, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld nell'aprile scorso ha emanato sette Military commission instructions con cui si definiscono le modalità attuative dell'ordine presidenziale del 13 novembre 2001 sulla "detenzione, trattamento e giudizio dei cittadini non americani nella guerra contro il terrorismo", l'unica definizione - di mero fatto ed evidentemente differenzialista - con i quali sono indicati i reclusi di Guantanamo.

Il processo è rimesso integralmente a militari - ma non a corti marziali -, mentre al Presidente Bush competono tutti i poteri di esercizio dell'azione penale, dell'esecuzione della pena (detentiva o capitale), e di ogni eventuale decisione di revisione di un giudizio per il quale non è previsto appello. Ai 680 (sino ad ora) di "Camp Delta", quali "combattenti nemici fuorilegge", non solo è interdetto di fatto l'esercizio del fondamentale diritto all'assistenza di un legale, ma sono anche stati contestati reati creati direttamente dal ministro Rumsfeld ex post.

I 26 tra "crimini contro l'umanità" e "reati comuni" per i quali - senza limite di tempo - i 680 di "Camp Delta" possono essere rinviati a giudizio dal presidente degli Stati Uniti e dal segretario alla Difesa, e dunque processati e condannati al "Pink Palace" (il palazzo di giustizia di Camp Delta) di Guantanamo, sono:

  • omicidio volontario;
  • attacco a popolazioni civili;
  • attacco ad obiettivi civili;
  • attacco a proprietà civili;
  • saccheggio;
  • rifiuto di concedere la resa;
  • presa di ostaggi;
  • uso di veleni o armi di distruzione di massa;
  • uso di scudi umani;
  • impiego di proprietà civili allo scopo di difendersi in battaglia;
  • tortura;
  • sevizie;
  • mutilazione;
  • tradimento o altra macchinazione;
  • uso improprio della bandiera bianca o della tregua;
  • uso improprio di emblemi di protezione;
  • vilipendio di cadavere;
  • violenza sessuale;
  • dirottamento o minaccia alla sicurezza di aerei e navi;
  • attività terroristica;
  • omicidio di persona belligerante indifesa;
  • distruzione di proprietà civile indifesa;
  • intelligenza con il nemico;
  • spionaggio;
  • spergiuro;
  • falsa testimonianza;
  • ostruzione alla giustizia dei tribunali militari.

A prescindere dal fatto che si tratta delle medesime azioni che agli Stati Uniti potrebbero essere attribuite (non solo in Cile ma un po' dovunque negli ultimi 40 anni), Rumsfeld ha così sottratto alla potestà del Congresso il potere di definire nuove figure di reato, violando anche il principio di irretroattività della legge penale, e ampliando la competenza dei tribunali militari da sollecitare l'inquietudine del "Lawyers Committee for Human rights" di New York, che vedono l'attribuzione di reati comuni a corti militari speciali.

Alcuni di questi costituiscono vere novità, come l'omicidio di persona belligerante indifesa, che non si vede come distinguere dall'omicidio puro e semplice. Secondo le fonti richiamate, sarà la segretezza il registro di fondo tanto di istruttoria quanto del dibattimento.

Secondo le "Military commission instructions" - l'imputato "sarà riconosciuto innocente fino a condanna emessa", "avrà diritto ad un interprete", "all'assistenza di un difensore", ma non al pieno accesso alle prove. L'accusa scoprirà le sue carte se e quando lo riterrà opportuno. Al suo fascicolo di indagine la difesa non avrà alcun accesso preliminare.

L'imputato potrà scegliere tra un difensore di ufficio in divisa ed uno di fiducia civile, ma chi si presterà ad un tale compito? Quale detenuto, senza nemmeno avere contezza dei suoi diritti, potrà contare su una seria difesa privata? Tra l'altro ogni colloquio verrebbe registrato, sia in aula che fuori, così da impedire una seria strategia difensiva. La pubblicità delle udienze sarà discrezionale e la sentenza di morte potrà essere emessa anche a maggioranza dei giurati, diversamente dal rito ordinario: d'altra parte non si tratta di cittadini americani.

Ma anche i riflessi interni sono notevoli. Acute analisi hanno affermato che con le nuove norme di polizia, i diritti costituzionali dei cittadini sono senz'altro seriamente intaccati, poiché molte attività vengono sottratte al controllo giudiziario e riservate all'apparato di polizia, così che vengono favoriti abusi da parte dello Stato nei confronti del cittadino, con la giustificazione di tutelare il cittadino stesso dai pericoli del terrorismo.

Le maggiori conseguenze riguardano comunque le fasce più deboli, soprattutto degli immigrati, che si vedono arrestati e detenuti a tempo indeterminato sulla base di sospetti, destinatari di provvedimenti di espulsione senza accuse e senza prove, privati di difesa tecnica e del contatto con un giudice che valuti obiettivamente le accuse.

In definitiva, il pericolo di una regressione totale dei diritti costituzionali per cittadini ed immigrati è più che concreto, è ormai in atto, così come il pericolo, già tristemente evocato, è quello di una nuova ondata di maccartismo: sono state avanzate proposte di interrogatori di massa per oltre 5000 persone giunte negli Stati Uniti con visti turistici, per il solo fatto di essere di origine araba.

Non è tutto. Da più parti si avanza anche la possibilità di ricorrere, durante gli interrogatori dei sospettati, a forme di tortura pur di ottenere informazioni utili alla sicurezza del paese, e a tale scopo viene prospettata la possibilità di estradare i sospetti in paesi amici dove siano consentiti metodi "violenti, sbrigativi ed efficaci" alla polizia locale, come per esempio in Israele. Una nuova inquisizione è forse alle porte, e d'altra parte la pena che rischiano i dannati di Guantanamo è il rogo del XX secolo, la sedia elettrica.

Negli Stati Uniti le notizie relative a queste vicende, come quelle relative alle montature necessarie per attaccare l'Iraq , appaiono meno "di nicchia" rispetto all'Italia, dove i garantisti di casa nostra si fermano agli imputati di falso in bilancio e di corruzione e mettono all'indice (proprio come in tempi di caccia alle streghe) chi si azzardi ad applicare la legge provando a riflettere sul quotidiano fuori dai dogmi, dalle vulgatae e dalle crociate del momento.

Tutto ciò mentre a Guantanamo (e altrove nei paesi occupati, poiché analoghi trattamenti vengono riservati ai prigionieri di Bagram, una ex base sovietica nel nord dell'Afghanistan) si violano i più elementari diritti umani, e dove torna comodo non considerare i reclusi né prigionieri di guerra (perché altrimenti andrebbe applicata la convenzione di Ginevra che impedisce interrogatori e fotografie), né detenuti civili (perché altrimenti andrebbero sottoposti al giusto processo previsto dal V emendamento della Costituzione, il quale impedisce le dichiarazioni autoincriminanti).

Non prigionieri di guerra, non accusati, non imputati: detenuti in base ad una mera signoria di fatto, sottratta a norme, a leggi, a controlli, così che gli unici connotati della decisione e della detenzione sono biopolitici . Come quelli dei lager nazisti , i detenuti di Guantanamo appaiono così come pure entità biologiche: viene garantita la sopravvivenza materiale, ma si tratta di corpi senza diritti e senza qualifica giuridica, in attesa di un destino più che di un giudizio.

Come O'Brien, il torturatore di 1984, c'è da chiedersi: sono ancora uomini?

E noi, possiamo ancora porci queste domande senza passare per filoterroristi?

* articolo pubblicato da Diritto e giustizia del 10 gennaio 2004 n° 1 e qui riprodotto per gentile concessione dell'autore, che e' magistrato a Trani.

NOTE

  • 1 E. Todd, Apres l'empire, Gallimard, 2002, trad. it. Dopo l'impero: la dissoluzione del sistema americano, Tropea Editore, 2003, pag. 102.
  • 2 H. Young, We will not tolerate the abuse of war prisoners, The Guardian, London, 17 January 2002.
  • 3Cfr. C. Bonini, La Repubblica del 14 luglio 2003.
  • 4 Cfr. N. Chomsky, Dopo l'11 settembre - potere e terrore, Marco Tropea, 2003, pag. 22 e ss.
  • 5 Cfr. R. Falk, L'eclisse dei diritti umani, in Not in my name - Guerra e Diritto, a cura di Linda Bimbi, Editori Riuniti, pag. 80 e ss.
  • 6 Cfr. R. Falk, L'eclisse dei diritti umani, cit., pag. 85.
  • 7 Cfr. I. Ramonet, Guerres du XXI siecle, Editions Galiléè, 2002, trad. it. Il mondo che non vogliamo- Guerre e mercati nell'era globale, Mondadori, 2003, pag. 52.
  • 8 V. Zucconi, Così la CIA tortura i prigionieri, La Repubblica, 22 dicembre 2002.
  • 9 Cfr. I. Ramonet, Guerres du XXI siecle, cit., pag. 53, dove vengono citate autorevoli fonti giornalistiche come Newsweek del 5 novembre 2001.
  • 10 S.M. Hersh, I piani segreti del Pentagono, The New Yorker, su Internazionale del 19 giugno 2003, ma anche Gore Vidal, Le menzogne dell'impero ed altre tristi verità, Fazi 2002.
  • 11 Il Foglio, La guerra secondo Salvini, martedì 2 dicembre 2003, dove si critica il G.i.p. di Milano per l'ovvia considerazione che il codice penale italiano non può punire gli stranieri responsabili di fatti che accadono (o vengono progettati) all'estero a danno di altri stranieri.
  • 12 Cfr. G.Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pag. 12.
  • 13 Il riferimento è sempre in G.Agamben, Stato di eccezione, cit., pag. 12, ma v. anche, a proposito delle condizioni di vita degli ebrei nei lager, le magistrali pagine di P. Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, 1975, pag. 188: "distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi."
  • 14 Cfr. G. Orwell, 1984, Mondadori, 1982, pag. 298.

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