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Crocifisso
e Corte dei Diritti : quanta disinformazione !
di
Rita Guma*
Fra
le reazioni fortemente critiche alla sentenza della Corte
europea dei diritti contraria ai simboli religiosi nei luoghi
pubblici, e segnatamente le scuole, si registra quella del
sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano. Nonostante
sia magistrato, Mantovano dice alcune cose che lasciano perplessi
sulla sua conoscenza delle istituzioni europee, e - conseguentemente
- sulla fondatezza del suo giudizio nei loro confronti. E'
bene riportare tali affermazioni, perche' offrono lo spunto
per chiarimenti necessari al fine di comprendere quanta disinformazione
ci sia in giro sulla sentenza e sulla Corte dei Diritti dell'uomo.
Mantovano
afferma che "Le reazioni - oltre gli schieramenti,
con l'eccezione di radicali e veterocomunisti - alla sentenza
sul Crocifisso attestano che in Italia non si è perso di vista
il senso comune. Protestare però non basta; é necessario fare
qualche passo in avanti, sia sul piano politico sia sul piano
strutturale.
Quanto al primo: uno degli illustri componenti della Corte
europea sui diritti dell'uomo è il dott. Vladimiro Zagrebelski,
già procuratore della Repubblica di Torino, per due volte
componente del CSM, che lasciò la seconda volta (qualche mese
prima della scadenza) per fare il capo dell'ufficio legislativo
del ministero della Giustizia nei governi della sinistra 1998-2001;
quindi venne designato giudice a Strasburgo.
Oggi la sinistra non può far finta di nulla: dopo aver privilegiato
un'area culturale, imponendola alla Corte Costituzionale e
alla Corte Europea, non può limitarsi a dire, come fa Bersani:
quella sentenza è contro il buon senso; quella sentenza
è l'esito coerente di una faziosa interpretazione della legge
che la sinistra ha esaltato, in sé e nei personaggi che l'hanno
propugnata. Non piacciono le conseguenze? E' l'occasione
per discutere delle cause che le hanno provocate, per esempio
non chiudendo la porta a ipotesi serie di riforma della giustizia
in Italia.
Il secondo piano di interesse è strutturale: se in Europa
esiste la Corte di Giustizia, mantenere in piedi la Corte
europea dei diritti non costituisce, soprattutto dopo Lisbona,
un doppione inutile? Dopo la sentenza di ieri verrebbe
da dire: inutile e dannosa".
Nel
suo invito a bocciare l'esistenza della Corte dei Diritti
dell'uomo, Mantovano non tiene conto che:
1)
essa e' frutto dell'intesa di 47 Stati europei membri del
Consiglio d'Europa, mentre la Corte delle Comunita' europee
ha giurisdzione solo su 27 Stati, quelli della UE.
2)
mentre la prima e' finalizzata al vaglio delle violazioni
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la Corte
UE non nacque per difendere i diritti, ma per valutare l'applicazione
delle norme e direttive UE, che originariamente erano operanti
quasi solo in campo commerciale e di cooperazione. Solo piu'
di recente la Corte UE si e' occupata di aspetti riguardanti
i diritti dell'uomo, poiche' l'UE si e' trasformata in una
intesa politica
3)
alla Corte dei Diritti dell'uomo possono ricorrere i singoli
cittadini come ultima istanza dopo quelle nazionali, ed
essa opera come una sorta di Tribunale d'appello, quindi esamina
le singole controversie, mentre la Corte UE opera soltanto
su impulso della Commissione UE o altri organismi comunitari
e verifica se gli Stati abbiano violato il diritto comunitario
nella generalita' dei casi, cioe' non esamina vicende di singoli
cittadini. Anche dopo Lisbona, questo modo di procedere non
cambiera', anche se il ruolo di 'giudice dei diritti' sara'
ampliato.
E'
evidente che
le parole di Mantovano generano confusione (si spera in buona
fede, anche se - vista la sua qualita' di magistrato e di
ministro - sarebbe comunque grave). Infatti, qualora fosse
eliminata la Corte dei diritti dell'uomo,
i cittadini del continente europeo (compresi Curdi e Ceceni),
non saprebbero piu' a chi ricorrere in caso di violazione
dei loro diritti fondamentali da parte dello Stato, perche'
non potrebbero farlo in 20 Paesi (quelli che non sono membri
UE, come Russia e Turchia) ed anche nella UE i cittadini non
potrebbero adire direttamente alla Corte europea, mentre sono
centinaia ogni anno i cittadini italiani che fanno ricorso
alla Corte dei Diritti dell'Uomo, ottengono giustizia e si
vedono riconoscere risarcimenti per la lentezza dei processi,
gli espropri di proprieta' e altri abusi subiti.
Per
fortuna l'auspicio di Mantovano e' destinato a restare solo
un proclama di parte, perche' tutti gli altri Stati membri
accettano le pronunce della Corte dei Diritti dell'uomo, anche
in materia di laicita' dello Stato, e soltanto in Italia si
hanno reazioni scomposte di fronte all'applicazione di una
Convenzione che abbiamo sottoscritto.
Quanto al giudice Zagrebelsky - a parte il fatto che questi
si era limitato a fare da consulente giuridico di un governo,
ricoprendo quindi un ruolo tecnico, e non ha, come Mantovano
(AN) frequentato le sezioni di partito, rappresentato un partito
in parlamento e fatto parte di governi non tecnici -
dato che la sentenza sui simboli religiosi che condanna
l'Italia e' stata espressa all'unanimita', appare ridicolo
ipotizzare che tutti i magistrati della Corte dei diritti
si siano fatti influenzare da un solo giudice.
Come Mantovano dovrebbe sapere, la Corte si e' sempre pronunciata
per la laicita' dello Stato come difesa dei diritti di credenti
e non credenti, anche quando si trattava di condannare la
Sharia per la sua contrarieta' alla Convenzione europea dei
diritti dell'uomo. Convenzione che e' l'unico riferimento
per questa istituzione, i cui componenti sono eletti dall'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa per ciascun Paese fra
i TRE proposti dal governo di ciascuno Stato, e non pedissequamente
accettati perche' imposti dai governi, ne' - nel loro complesso
- possono rappresentate una sola corrente di pensiero - perche'
non sono proposti da governi del medesimo segno, visto che
ci sono giudici di 47 Stati.
Infine,
Mantovano sbaglia ancora quando cerca di accreditare come
estimatori della sentenza i soli "radicali e veterocomunisti",
per il solo fatto che il leader del PD e il capogruppo dell'Italia
dei Valori alla Camera hanno - con argomenti discutibili,
emozionali e forse strumentali (nel caso del PD) alla coesione
interna dopo le voci di fughe della componente teocon - sostenuto
che la sentenza non sia di buon senso, cosi' allineandosi
alle grida degli esponenti del PDL (fra cui molti politici
che per le norme cattoliche danno pubblico scandalo con legami
al di fuori del matrimonio) e della Lega (il partito delle
origini e dei riti celtici, che non sono certo cristiani).
La
Federazione dei Liberali la giudica "una sentenza di
grande importanza perché riafferma in modo argomentato
il carattere laico e pluralista delle istituzioni europee
e della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo sottoscritta
anche dall'Italia" e aggiunge che il Presidente della
Camera Fini "critica una cosa che la sentenza non afferma,
cioè la negazione del ruolo del Cristianesimo nella società
Italiana",
l'avvocato del governo persso la Corte europea "gioca
sulle parole in modo indegno, dato che sa bene che l'art.7
nel Concordato oggi vigente non si riferisce ad una religione
di Stato non più esistente bensì al criterio di reciproca
indipendenza tra Stato e Chiesa, per cui un simbolo di una
religione non può essere imposto alle strutture dello Stato.
Quanto al Ministro Gelmini (...) addirittura arriva a supporre
che la Convenzione Europea dei Diritti sarebbe in contrasto
con il dettato costituzionale italiano, mentre sa benissimo
che da tempo la presenza obbligatoria del crocifisso è messa
in dubbio proprio da sentenze di Corti italiane".
Questa
come opinione politica non radicale ne' veterocomunista. Ma
anche dal mondo cristiano sono giunte parole di apprezzamento
per la sentenza: la pastora valdese Maria Bonafede, moderatore
della Tavola valdese, ha dichiarato: "E' una sentenza
importante che finalmente inquadra la questione dell'esposizione
dei simboli religiosi in una cornice europea di laicità e
di tutela dei diritti di tutti: di chi crede, di chi crede
diversamente dalla maggioranza e di chi non crede. Ancora
una volta emerge la fragilità, logica prima e giuridica dopo,
della tesi secondo cui il crocefisso imposto nelle aule italiane
non è un simbolo religioso ma sarebbe l'espressione della
cultura nazionale. La verità è che il crocefisso nei luoghi
pubblici, come il privilegio dell'Insegnamento religioso cattolico,
rimandano all'Italia di un tempo antico e dello stato confessionale.
La sfida oggi - conclude Maria Bonafede - è invece quella
del pluralismo delle culture e della convivenza tra chi crede
e chi non crede nel quadro del valore costituzionale della
laicità".
Anche
la nostra associazione - apartitica, trasversale e super partes
- ha salutato come positiva la sentenza, cosi' come tante
associazioni e cittadini (credenti e non) che non ritengono
il crocifisso simbolo universale di valori (visto che riguarda
meno di un quarto della popolazione mondiale e che per i non
credenti rappresenta l'illustrazione della tortura di un innocente)
ne' mero simbolo di tradizioni (il che sarebbe riduttivo),
ma rispettano ogni credo e l'uguaglianza dei cittadini davanti
alla legge e soprattutto, sanno che - sebbene scaturita da
una vicenda in cui veniva contestata la presenza del crocifisso
- la sentenza esprime il principio generale della illiceita'
dell'imposizione di QUALSIASI simbolo religioso da parte dello
Stato nei luoghi pubblici.
Purtroppo
il messaggio di Mantovano e quelli analogamente generatori
di confusione vengono veicolati per ogni dove e attecchiscono
facilmente, dal momento che la maggioranza dei cittadini non
ha gli elementi per valutarli in modo critico. Speriamo in
questo senso di aver dato un contributo chiarificatore.
*
presidente dell'Osservatorio sulla legalita'
e sui diritti Onlus
 
Crocifisso
in aula: Corte europea dei diritti condanna l'Italia
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