NEW del 30 giugno 2006

 
     

La missione in Afghanistan e il grande equivoco dell'art. 11
di Rita Guma

Si consuma in questi giorni il grande equivoco, quello sull'articolo 11 della Costituzione, sulla nonviolenza e sul movimento pacifista.

Protagonisti ne sono gli esponenti della sinistra estrema, che assimilano il caso Kabul al caso Iraq. Per farlo essi (gli esponenti politici ed il 'popolo' che ad essi si rifa') si richiamano alle leggi fondamentali, salvo poi reinterpretarle per giustificare la loro opposizione ad ogni azione armata e persino all'esistenza di un esercito.

L'articolo 11 della Costituzione - dicono - vieta la guerra. Non e' vero. Esso infatti recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...".
Se avesse voluto vietare la guerra avrebbe scritto solo "L'Italia ripudia la guerra".
Inoltre vi e' anche l'art. 87 della Costituzione secondo cui "il Presidente della Repubblica ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa.... e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere".

La guerra e' quindi prevista dalla Costituzione, che la esclude solo come strumento di offesa e come ipotesi di soluzione delle controversie internazionali. Ma la accetta in tutta evidenza come strumento di difesa e non la nega come soccorso ad altri popoli attaccati (anzi, dire che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli" presuppone opposizione a chi usi la guerra per minare la liberta' di altri popoli).

Restano infatti salvi la legittima difesa e l'aiuto alle popolazioni offese, come per il diritto internazionale e come accadde quando gli alleati vennero in soccorso dell'Europa invasa da Hitler. In quest'ultimo caso ovviamente - per evitare aggressioni o guerre preventive - la situazione di emergenza va statuita da un consesso internazionale, cosa che non e' accaduta per l'Iraq, dove le risoluzioni ONU sono solo successive all'invasione USA.

I Talebani erano (e sono) armati e con le armi hanno conculcato la libera volonta' del popolo afghano. E' per impedire a questa gente di operare che siamo in Afghanistan ed e' per questo che l'ONU ha deciso di intervenire.

Il programma dell'Italia in Afghanistan e' innanzitutto di ricostruzione (stiamo lavorando da anni al sistema giudiziario del Paese, mentre altri Paesi, come Giappone e Germania, si occupano invece di addestrare la polizia o contribuire alla creazione di altre istituzioni fondamentali). Le donne sono libere di circolare senza burqa, non sono non-persone, non vi sono fanatici che si sentono autorizzati a distruggere opere d'arte appartenenti alla storia ed a tutta l'umanita' e a portare l'ignoranza ovunque.

Certo non e' tutto oro quello che brilla: il governo del Paese e' condizionato dagli USA e ci sono ancora problemi con le tribu', la droga e i signori della guerra. Ma questi problemi non si risolvono abbandonando a se' stesso il Paese, e peraltro anche in altri Stati del mondo dove non sono in atto azioni internzionali armate di pace o di guerra ci sono condizionamenti di Paesi forti quali gli USA o la Russia, che riescono a far eleggere propri uomini. Quindi il problema non e' la presenza armata, ma gli equilibri internazionali, problema molto piu' complesso da affrontare.

Peraltro mi sconcerta il richiamo al popolo pacifista che si vedrebbe tradito ove la missione in Afghanistan fosse rifinanziata e quindi confermata. Ma chi ha manifestato contro l'intervento in Iraq non sempre intendeva opporsi a tutte le missioni di pace all'estero, ancorche' prevedano l'uso delle armi per difendere la popolazione locale e per non finire come carne da macello per i terroristi. Molti pacifisti si battevano contro le guerre preventive e gli interventi non avallati dall'ONU.

Come ho gia' avuto occasione di scrivere per la parata del 2 gugno, anche il nostro Osservatorio sostiene la pace e il dialogo, ed e' consapevole che le guerre sono l'occasione - fra l'altro - per incredibili violazioni dei diritti umani, ma e' ingenuo pensare che l'abolizione delle armi e degli eserciti elimini la violenza. Finche' ci sara' l'uomo ci sara' violenza, perpetrata con le mani e i piedi, un ramo nodoso, una pietra, un cuscino sulla faccia, ma comunque violenza prevaricarice.

Ripeto qui l'esempio del massacro del Ruanda (800.000 persone), che avvenne prevalentemente con il machete, che pero' non era un'arma, ma uno strumento usato per il lavoro dei campi, come la falce. E la comunita' internazionale non intervenne, ma certo non sarebbe potuta intervenire a mani nude, ne' alla parte di popolazione accecata dall'odio sarebbe importato molto di eventuali sanzioni, il cui effetto peraltro si sarebbe visto troppo tardi, visto che la tragedia si consumo' in pochi giorni.

Gli stessi partigiani non erano missionari che predicavano la nonviolenza: organizzavano azioni di guerriglia, cui riconosciamo il crisma etico della difesa contro l'oppressore e l'invasore, ma sempre di armi e azioni violente si trattava.

Le armi sono quindi necessarie a proteggere dalle offese coloro che ne sono vittime, ma vanno usate solo per determinati scopi e con determinate modalita'. Occorrono quindi regole (e ci sono, sia a livello nazionale che internazionale) e qualcuno che dica quando sono applicate correttamente. L'ONU e' lo strumento scelto a livello mondiale. Perfettibile quanto si vuole, ma al momento l'unico, dato che non e' pensabile per ogni questione far votare sei miliardi di persone (e tantomeno ascoltarle tutte).

L'ONU ha legittimato la missione in Afghanistan come missione di pace. I Talebani per parte loro l'hanno legittimata con le loro azioni armate.

Non c'e' legge, non ci sono principi e non c'e' logica a cui appellarsi per non rifinanziare la missione.

Speciale pace e diritti

Speciale terrorismo

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