NEW del 30 dicembre 2005

 
     

Diritti e rieducazione : due proposte per il carcere
di Francesco Arcidiacono

Nel contesto del dibattito sull'amnistia vorrei proporre una soluzione per le carceri italiane. Sono un giovane siciliano e per me la lotta alla criminalità è fondamentale, non come per qualcun altro che dice che la mafia c'è e bisogna conviverci.

Ricordando la storia della Gran Bretagna, prima e durante la rivoluzione industriale esistevano delle carceri davvero disumane, per ogni detenuto c'era una cella con un letto, un secchio e un macchina tessile. Pur nella condizione disumana in cui ci si trovava, l'idea di fondo che il detenuto non dovesse gravare sulle tasche dei contribuenti e si dovesse riabilitare attraverso il lavoro, non era male.

Oggi i detenuti stanno sì in condizioni non buone, ma sono spesso inattivi, così un luogo che per principio deve essere di rieducazione, diventa una scuola di crimine da cui delinquenti recidivi non fanno altro che laurearsi in criminalità. Sono certo che la rieducazione sul lavoro è già attuata, ma sono certo che il detenuto non si mantiene con il suo lavoro.

A mio giudizio un criminale recidivo deve essere delocalizzato, quindi un detenuto siciliano, io lo porterei al nord e viceversa. Infatti una volta uscito dal carcere un detenuto recidivo, tende a ritornare sui suoi passi prima di tutto perchè non trova un lavoro, ma anche perchè non avendo fatto un giusto cammino riabilitativo, non riesce ad uscire dal pantano in cui si trova e cerca di ritornare alla sua posizione che, anche se sbagliata, gli offriva una collocazione. Per questo, cambiando totalmente regione, potrebbe avere la possibilità, in un posto diverso da quello in cui è cresciuto male, di riabilitarsi.

Capisco che questo è molto difficile, ma ad esempio nella mia regione, se ci dovesse essere uno che dal di fuori volesse fare ancora qui le sue bravate da criminale, la criminalità autoctona non glielo permetterebbe, così si vedrebbe tagliato fuori. Sparpagliando i gruppi criminali, sicuramente non si risolve il problema, ma di certo si comincia a mettere le basi per un cambiamento.

Un altro esempio che vorrei portare dalla Gran Bretagna di quel periodo sono le "Work Houses", ovvero le case di lavoro, dove si facevano dei lavori in campagna per guadagnarsi da vivere. Ovviamente apportando le giuste modifiche, non sarebbe male che i detenuti si rendessero utili per la collettività in mansioni che per lo stato sono troppo gravose.

So che qualcuno potrebbe pensare che così sarebbe semplice scappare, tuttavia sebbene il controllo sarebbe più difficile, bisognerebbe puntare su tecnologia e fiducia. Dalle mie parti siamo ricchi di zone incolte e casolari da ristrutturare, una volta avviate queste pratiche, non sarebbe necessario tenere i detenuti nelle celle, ma in camerette che loro stessi hanno contribuito a costruire, togliendo la cella chiusa che "imbarbarisce" sicuramente una persona. Esistono poi dei congegni elettronici che permettono di individuare una persona ovunque sia.

Ovviamente non tutti i detenuti potranno stare in questa situazione, ma sicuramente sarebbe vantaggioso per lo Stato. Delle case di recupero esistono già, ma non sono sicuramente rispondenti all'idea di creare una forza lavoro che sia di aiuto allo Stato e che faccia sentire i detenuti delle persone.

Sono certo che queste proposte sono una goccia in mezzo al mare, ma sicuramente non sono paradossali come quelle della Lega che afferma di dover costruire più carceri in Italia, per accogliere più detenuti, mentre hanno fatto molti regali in Parlamento depenalizzando reati di veri delinquenti, quelli con le mani sempre bianche, ma con la coscienza sporca, persone che commettono crimini, non per sopravvivere, ma per emergere ancora di più e che pretendono di farla sempre franca. E che, soprattutto, tutti noi li riconosciamo come dei benefattori per l'Italia.

Jaana, detenuta in un carcere aperto

Speciale diritti

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