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NEW del 14 novembre
2005
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Giustizia
: quale pubblico ministero per il nuovo millennio ? Quale pubblico ministero per il nuovo millennio? Se lo sono chiesti gli esperti di primo piano convenuti l'11 e 12 novembre presso l'Universita' di Salerno su invito dell'ANM e della locale sezione di Unita' per la Costituzione. Dopo i saluti di rito da parte dei rappresentanti istituzionali, tra i quali l'On. Alfonso Andria, parlamentare Europeo, l'On. Marotta, ex componente del CSM, i presidenti delle Camere Penali di Napoli e Salerno, il Presidente del Tribunale di Salerno ed i rappresentanti locali dell'ANM, hanno preso la parola, nell'ordine, i membri del CSM Leonida Primicerio e Giorgio Spangher e G. Pisapia, A. A. Dalia e G. Gennaro. Era presente ai lavori anche il Procuratore Nazionale dell'Antimafia, dott. Piero Grasso. Il tema del confronto è stato affrontato dal magistrato del CSM Leonida Primicerio attraverso un breve excursus storico sul ruolo del PM a partire da come esso veniva considerato dai padri costituenti, fino ai giorni nostri. Il dott. Primicerio ha quindi parlato di "metaforsi" del ruolo di Pubblico Ministero durante gli anni e ha posto l'accento sul nuovo ruolo che emerge nell'attuale ordinamento giudiziario. Egli ha poi parlato dell'aspetto "politico" del ruolo del PM, ovvero ha evidenziato come l'Ufficio del Pubblico Ministero possa trasformarsi in punto di riferimento sociale, che affronta le ingiustizie quotidiane delle quali i cittadini sono vittime. Anche il prof. Spangher - membro laico del CSM per la Casa delle Liberta' - ha evidenziato come, nel corso degli anni, il ruolo dei PM sia mutato. Quindi, ha esordito dicendo che se si vuole affrontare il tema del ruolo del Pubblico Ministero, bisogna opportunamente collocare questa figura in un determinato intervallo temporale. Sostenendo che il processo penale si modella sulla base della cultura politica di un Paese, egli ha evidenziato che una evoluzione storica di tale cultura non passa solo attraverso una riforma del procedimento e delle norme, ma anche attraverso una riforma dell'ordinamento giudiziario. Ecco come si giustificano alcune scelte effettuate dal 1930, quando la cultura politica del tempo dava una impostazione gerarchica dell'Ufficio del PM, seguendo un modello autoritario, mentre nel 1946 si riduceva l'ingerenza del potere esecutivo sul PM. Nel 1948, infine, con la Costituzione, si dava piena garanzia di autonomia dal potere politico all'azione penale svolta dal PM, parificando di fatto tale funzione, all'interno dell'Autorità Giudiziaria, a quella giudicante. Gli sviluppi più recenti, dalla riforma del codice di procedura penale fino ai giorni nostri, hanno visto a giudizio del prof. Spangher - prima l'insorgere di una sorta di "gigantismo" del PM, soprattutto nel 1992. Tutti gli interventi del legislatore, successivi a tale data, sono interpretabili secondo Spangher come una sorta di riequilibrio delle capacità di difesa dell'imputato nei confronti del PM. In sostanza il prof. Spangher, condividendo gli ultimi interventi effettuati dal legislatore per quanto concerne la riforma dell'O.G., mette l'accento sul fatto che, per effetto dell'ultima modifica costituzionale - che vede il soggetto inquirente maggiormente distinto dal soggetto giudicante - è naturale prevedere due percorsi formativi diversi. Condivide, il prof. Spangher, anche l'introduzione di un coordinamento dell'Ufficio del PM, in contrasto con la possibilità di avere un potere diffuso sull'azione penale, che può generare disparità di trattamento, nei confronti del cittadino con PM differenti. E' quindi auspicabile, secondo il prof. Spangher, un indirizzo unico dell'azione penale all'interno di ogni Procura. Successivamente ha preso la parola l'on. Avv. Pisapia, responsabile Giustizia di Rifondazione Comunista, che ha auspicato che dalla prossima legislatura si promulghino leggi, in tema di giustizia, non tanto tenendo conto di aspetti particolari, ma piuttosto della vita sociale nel suo complesso, senza tralasciare di considerare le istanze che promanano dai magistrati e dagli avvocati. Egli ha notato come - a differenza della scorsa legislatura, nella quale le riforme furono effettuate senza che gli operatori della giustizia muovessero rilievi all'operato del legislatore - in questa legislatura, tutte le azioni legislative hanno determinato un generale disaccordo di fondo della maggior parte non solo dei giudici, ma anche di coloro i quali, nelle loro diverse funzioni, coadiuvano questi ultimi nell'amministrazione della giustizia, senza trascurare l'avvocatura. Pertanto - in qualità di coordinatore dell'Unione per il programma sulla giustizia - egli auspica che venga adottato una nuova metodologia, che sia di dialogo nei confronti degli operatori della giustizia e non di contrapposizione con essi. In questa nuova fase non si potrà però non tener conto che alcuni temi devono essere affrontati e risolti, come ad esempio, la progressione della carriera dei giudici e i meccanismi di verifica della professionalità di questi ultimi, così come non si potrà non tener conto delle istanze che promanano dall'avvocatura, fermo restando che il principio di indipendenza del PM deve essere salvaguardato, anche in presenza di una distinzione della fase dell'indagine da quella del processo. Cosi' come deve essere salvaguardato il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, anche se in un contesto nel quale delle priorità possono essere definite da un consiglio giudiziario, nel quale si potrebbe prevedere l'innesto di alcune figure che tengano conto della realtà particolare del territorio, come, ad esempio, la figura del Questore. Il prof. Andrea Antonio Dalia, titolare della cattedra di procedura penale dell'Università di Salerno, nominato dal Ministro della Giustizia a coordinare il gruppo di studio per la riforma del codice di procedura penale, ha illustrato a grandi linee il lavoro della commissione interministeriale da lui presieduta. Il progetto al quale ha lavorato il gruppo dovrebbe costituire un 'corpus iuris' per la procedura penale, esistendo la necessità di uniformare l'azione di vari soggetti in questo contesto, essendo, ad esempio, anche i Giudici di Pace chiamati a svolgere tale compito per particolari reati. Il 2 Giugno 2005 tale progetto è stato presentato in forma definitiva al Ministro della Giustizia, anche se - ad oggi - nessun iter parlamentare è stato attivato per approvare la proposta. Tra le novità di questo studio vi è l'introduzione del concetto di differenziazione del soggetto che richiede e autorizza la custodia cautelare durante le indagini preliminari. Infatti, mentre il PM può, in questo nuovo scenario - che il prof. Dalia ha definito "da sogno" - richiedere la limitazione della libertà personale dell'imputato in via cautelativa, sarà prevista una decisione collegiale sull'autorizzazione in sede di Corte d'Appello. A questo riguardo, il dott. Primicerio è intervenuto, correggendo ironicamente e amabilmente la definizione del progetto del prof. Dalia. Infatti, secondo il dott. Primicerio, la nuova procedura vagheggiata dal gruppo di lavoro interministeriale potrebbe essere piuttosto definita "da incubo", che "da sogno". Un ultimo ed interessante spaccato della figura del PM in un contesto difficile quale quello del territorio in cui sono presenti fenomeni malavitosi endemici, è stato affrontato dal procuratore aggiunto di Catania, dott. Giuseppe Gennaro. L'ampiezza dell'intervento e la profondità tecnica dello stesso rende difficile una sintesi, cosicché ci limiteremo a riportare le conclusioni del giudice circa una sua particolare esperienza di contrasto ai fenomeni malavitosi in Sicilia. Avendo egli stesso constatato come, in fase di indagini preliminari, si tende sempre più, da parte della difesa, a procrastinare l'inizio del processo - cosicché si tengono molte udienze preliminari a distanza di mesi una dall'altra - si corre il rischio, soprattutto nei casi di reati minori, della prescrizione dei termini. Il rischio della prescrizione è presente, pur tuttavia, anche se in misura minore, proprio per effetto di un approdo di moltissimi processi in fase dibattimentale, anche nei casi di reati più gravi, quali i reati di mafia. Secondo il dott. Gennaro, quindi, in assenza di canali di deflusso più rapido dei processi, con il conseguente approdo dibattimentale della maggior parte di essi, vi è un rischio effettivo di una sorta di impunità, almeno per i reati minori, dovuta alla prescrizione dei termini. Questi problemi, naturalmente, vengono amplificati quando il grado di complessità del procedimento aumenta, così come tipicamente avviene nei processi di mafia. ___________ NB:
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