NOTIZIARIO dell'8 marzo 2005

 
     

Sgrena e Calipari : chiediamo giustizia e informazione
di Rita Guma

Il soldato che ha sparato a Nicola Calipari aveva 16 anni, la maggior parte dell'addestramento ricevuto e' stato vedere commilitoni saltati in aria e corpi di abitanti di Falluja sgretolati. Il suo collega di check point aveva 18 anni. Lui si' esperto, invece: aveva fatto due anni di guerra, vedendosi rifiutare la richiesta di ritorno a casa quando era ormai al limite della sopportazione, e nei mesi seguenti aveva partecipato alla battaglia di Najaf che aveva lasciato solo tronconi umani mangiati dai cani. Erano terrorizzati, non volevano finire cosi' e percio' hanno sparato all'auto che si avvicinava.

Sarebbe quasi certamente questo l'esito di un'indagine sulla morte di Calipari, ovviamente senza puntare i riflettori sulle motivazione e i retroscena, ma solo sulle facce dei poveretti.

In due anni di guerra in Iraq sono morti piu' di 1.500 soldati USA ed altri 11.200 sono stati feriti. Molti soldati americani destinati al fronte sono scappati per evitarlo, e diversi hanno trovato rifugio nel vicino Canada o sono stati messi dentro per diserzione. Occorreva trovare altri soldati di rimpiazzo (sembra 80.000). Ma non e' facile, dato che per la prima volta da decenni l'esercito ha visto un calo nelle immatricolazioni a causa dell'alto rischio delle missioni piu' recenti, e percio' reclutatori sono stati messi al lavoro nei quartieri poveri delle grandi citta' statunitensi. Vite che si comprano con il miraggio di una casa.

I ragazzi del check point hanno fatto proprio quello che facevano sempre: sparare sull'auto che si avvicinava. Se la facevano sotto dalla paura, ed hanno sparato. Solo che invece di un kamikaze o di una tranquilla famigliola civile si sono trovati di fronte all'incidente diplomatico, per di piu' mediaticamente amplificato in mondovisione, visto il dissequestro.

Anche il lungo intervallo che e' seguito ed il sequestro dei cellulari possono essere cosi' comprensibili. Resisi conto dell'accaduto gli sprovveduti hanno pensato: e adesso che diavolo facciamo? Facile sarabbe stato sparare un colpo in testa anche agli altri due, simulare l'attacco dei rivoltosi e chiudere la vicenda. Qualcuno fra i presenti avra' pero' prospettato l'altra ipotesi, quella che ha ricondotto Sgrena e l'altro militare in Italia in ospedale. Probabilmente il sequestro dei cellulari sara' servito a ricostruire con chi stessero parlando i passeggeri al momento degli spari, e forse scoprirlo avra' influito sulla decisione.

Non lo sappiamo. Ma la verita' deve emergere.

Fra gli altri modi per nascondere la verita' si sta usando l'affermazione di Giuliana Sgrena di essere il potenziale obiettivo dei soldati americani. Essa e' rimbalzata in tutto il mondo suscitando ogni genere di reazione, spesso negativa: scetticismo, condanna, accuse di strumentalizzazione politica e cosi' via, e certa parte della stampa italiana si e' data da fare con la delegittimazione.

Io credo invece che questa sensazione della Sgrena, che oltre che dai magistrati e' smentita anche dalla logica (qualora fosse stata l'obiettivo sarebbe stato logico e facile finirla, restando peraltro senza testimoni scomodi) sia pienamente giustificabile dal momento, dalla situazione, dallo stato psicofisico della giornalista, che si e' vista morire addosso un uomo venuto a salvarla, e che in precedenza era stata segregata in un Paese straniero vittima di sentimenti contrastanti.

Dunque le sue parole non dovevano essere amplificate. Se c'e' stata strumentalizzazione politica l'hanno fatta altri, in un senso e nell'altro. E con questa polemica molti hanno cercato di nascondere il legittimo desiderio di giustizia che serpeggia fra gli Italiani. Desiderio di giustizia e verita' che non significa vedere la testa di qualcuno spiccata dal corpo dopo averne appreso la colpevolezza, ma conoscere i retroscena che hanno condotto a quanto accaduto, e se qualcuno ha agito per nascondere fatti e prove a bocce ferme.

Si deve sapere quante volte queste cose accadono senza che nessuno ne sappia nulla. Si deve sapere che l'esercito USA manda al fronte ragazzini appena maggiorenni (ma anche minorenni) dopo un addestramento breve e dopo averli reclutati nei quartieri poveri di ispanoamericani e di neri con la prospettiva di una paga sufficiente a comprarsi una casa. Si deve sapere - e gli Americani devono sapere - che si mandano dei ragazzini allo sbaraglio e che gli Americani al fronte non sono wasp o militari di carriera, ma persone che la societa' USA ha spesso dimenticato e lasciato crescere in mezzo alla violenza urbana ed alle frustrazioni.

Si deve sapere che qualche progettista disonesto ha progettato una guerra che non era in grado di mandare avanti ed in questa ha coinvolto centinaia di migliaia di uomini e decine di altri Stati del mondo che hanno aderito senza prima ben valutare. Si deve sapere che qualcuno fa la voce grossa con le armi e con le vite dei piccoli e che quando Rumsfeld ha detto no al ritorno dei militari a casa o non ha saputo rispondere alle richieste di armi piu' sicure stava preparando anche la morte di Calipari.

Il tribunale penale per l'ex Jugoslavia ha spesso contestato ai generali imputati che non potevano non sapere quanto stava accadendo sotto il loro comando, e comunque avrebbero dovuto agire per impedirlo. I generali USA in Iraq hanno per mesi lamentato le condizioni psichiche dei soldati chiedendo un ricambio, che pero' e' arrivato solo per pochi. Avrebbero potuto fare di piu'? Perche' hanno cessato le loro proteste? Attendiamo la risposta a queste domande, e comprendiamo il momento di imbarazzo per il nostro governo: Sgrena si puo' delegittimare, Calipari attende giustizia.

Ma due o tre soldatini sbattuti in galera non sono giustizia. Ecco perche' le autorita' USA - fingendo che sia orgoglio - non vogliono che sia fatta un'inchiesta terza (ad es. ONU) seria ed approfondita. Invece noi non vogliamo che gli USA ci offrano un nuovo hotel Palestine (dove i militari che confessarono non hanno fatto un giorno di galera) ma nemmeno che Silvio Berlusconi stia di fatto chiedendo un capro espiatorio come ad Abu Ghraib (dove sono stati condannati solo i sottoposti). Anche per questo una commissione d'inchiesta dei due 'alleati' ci convince poco.

Chiediamo giustizia per Nicola Calipari, ma anche per quelli che gli hanno sparato e, di conseguenza, anche per gli Iracheni rimasti vittime di analoghe reazioni impaurite e di chissa' quanti altri atti in cui e' stato il miraggio di una casa, la paura, l'impreparazione o lo stess a premere il grilletto.

Una legge vietera' di informare sulla guerra

Speciale libera informazione

Speciale pace e diritti umani


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