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NOTIZIARIO del 29
giugno 2004
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Stati
Uniti: baluardo della democrazia? Il sessantesimo anniversario dello sbarco alleato in Normandia e, pochi giorni dopo, i funerali del presidente americano Ronald Reagan costituivano evidentemente per l'establishment politico-mediatico occidentale un'occasione da non perdere per esaltare gli Stati Uniti come una grande democrazia, che difende in tutto il pianeta la libertà dei popoli, e per indicare nella politica reaganiana un modello cui rifarsi ancora oggi. Per un giudizio obiettivo sui fatti è però necessario, come sempre, prendere pure in considerazione altre opinioni, generalmente censurate dai grandi mezzi d'informazione anche quando ben documentate ed espresse da studiosi di indubbio prestigio culturale. Proprio negli anni della presidenza Reagan (1981-89), per esempio, Noam Chomsky che, oltre ad essere il più noto linguista vivente, per decenni ha esaminato con rigore la politica del suo Paese, ha pubblicato un volume tradotto anche in italiano, La Quinta Libertà (Milano 2002), che di quella politica offre un'analisi critica puntuale e quanto mai attuale, come credo risulterà evidente dalle citazioni che seguono. Chomsky sostiene che, se il presidente F. D. Roosevelt dichiarava nel 1941 che gli Stati Uniti dovevano battersi per la difesa di Quattro libertà fondamentali, libertà di parola, di culto, dal bisogno e dalla paura, la politica americana in realtà ha rivendicato soprattutto una Quinta Libertà, quella di rapinare e di sfruttare gli altri popoli. La violazione delle prime quattro libertà suscita un'immediata e durevole indignazione solo se perpetrata da Potenze ostili agli USA, mentre nei Paesi sottoposti alla tutela americana è solo quando viene messa in pericolo la Quinta Libertà che si manifesta un fuggevole interesse per le altre quattro, "interesse che dura solo il tempo necessario a giustificare l'uso della forza e della violenza per restaurare la Quinta Libertà, l'unica che conti realmente"(p 82). A riprova di ciò, Chomsky riporta il testo redatto da un Comitato per le relazioni estere, operante in stretto rapporto col governo: in esso si dichiara, già in quello stesso 1941, che gli interessi reali della politica americana non debbono essere esplicitamente enunciati, perchè ciò "si presterebbe alle critiche della propaganda nazista. ... E' necessario [invece] mettere l'accento sugli interessi degli altri popoli, non solo di quelli europei, ma anche dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina. Ciò produrrebbe un effetto migliore, dal punto di vista propagandistico"(p 81). Ancora oggi gli interventi americani sulla scena internazionale non vengono presentati come disinteressata difesa dei diritti degli altri popoli? E nel 1948, poco dopo la fine della guerra, un alto funzionario del Dipartimento di Stato sosteneva in un documento top secret che, poichè noi americani "abbiamo il 50% circa della ricchezza mondiale e solo il 6,3% della popolazione mondiale, ... il nostro compito sarà di mettere a punto un tipo di relazioni che ci permetta il mantenimento di tale posizione di disparità senza che da ciò sia compromessa la nostra sicurezza nazionale. A tal fine, dovremo abbandonare qualunque sentimentalismo ... Dovremo smettere di parlare di obiettivi vaghi e ... irrealistici, come i diritti umani, l'innalzamento dei livelli di vita, la democratizzazione"(pp 82-83). In effetti, come Chomsky documenta ampiamente, la politica statunitense nel corso dei decenni successivi, soprattutto nell'America centrale, dal Nicaragua al Salvador dall'Honduras al Guatemala, ha attuato con esemplare determinazione questo progetto di sfruttamento e di rapina. Nel clima della Guerra Fredda, era del resto facile presentare l'intervento americano come una mossa difensiva contro l'espansionismo sovietico. I colpi di stato e i massacri ripetuti per decenni venivano infatti sempre giustificati con la necessità di evitare l'instaurazione in quei Paesi di regimi 'comunisti', che avrebbero costituito una minaccia per gli Stati Uniti. In realtà, come ha spiegato bene un ministro guatemalteco, veniva bollata come comunista "ogni manifestazione di indipendenza nazionale o economica, ogni desiderio di progresso sociale, ogni curiosità intellettuale, ogni interesse per le riforme progressiste ... Ogni governo latinoamericano che si sforzi di attuare un qualunque programma capace di toccare gli interessi delle imprese straniere, che detengono la gran parte delle risorse fondamentali dell'America latina, viene segnato a dito come comunista"(p 89). Così, per esempio, è proprio la concreta intenzione del governo Allende di sottrarre il Cile allo sfruttamento delle multinazionali per destinarne le risorse allo sviluppo dell'economia interna che causa il colpo di stato di Pinochet, sostenuto dalla CIA. Il segretario di Stato americano H. Kissinger, infatti, ha il fondato timore che il successo delle riforme sociali promosse da un regime democratico possa indurre altri Paesi, e non solo nel continente americano, a prendere le distanze dagli Stati Uniti. Per chi condivide tale logica, è evidente che questi non possono restare a guardare senza intervenire, dal momento che, secondo Kissinger, "l'esempio contagioso del Cile avrebbe potuto infettare non solo l'America latina ma anche l'Europa meridionale"(p 112). I governi statunitensi, se non hanno remore ad usare la forza per rovesciare all'estero i regimi democratici, all'interno ricorrono invece ad altri mezzi per evitare che si sviluppi un'effettiva vita democratica. Se per considerare democratico un Paese non basta che periodicamente si svolgano in esso regolari elezioni ma si richiede un'effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica, gli Stati Uniti, secondo Chomsky, non sono in realtà una nazione pienamente democratica. In effetti, quando negli anni sessanta "settori normalmente passivi della popolazione hanno preso a organizzarsi e ad avanzare richieste che non potevano essere soddisfatte senza una redistribuzione del benessere e del potere, ... [l'élite dominante ha lottato per il] ritorno della popolazione allo stato di apatia e passività"(p 358). Poichè i sindacati sono la principale risorsa di cui dispongono i ceti meno abbienti per far valere le proprie ragioni, negli anni settanta e ottanta i governi si sono impegnati per ridurne il potere: "l'attacco al movimento sindacale è stato mosso in forme diverse, ivi compreso l'uso di licenziamenti illegali per minare libere elezioni sindacali"(p 363). Parallelamente si è sviluppato l'attacco contro la libertà di pensiero e d'informazione. Gli studenti universitari, per esempio, sono stati invitati a denunciare i docenti che ispiravano il loro insegnamento alle idee di Marx. L'ipotesi che le università americane siano in mano a professori marxisti è semplicemente paranoica: si tratta di un sospetto "così lontano dalla realtà da sfidare ogni discussione razionale. Esso può essere compreso solo come espressione del timore che anche la più modesta apertura concessa all'eresia possa portare al crollo totale"(p 368). Che i grandi mezzi d'informazione debbano essere fedeli alle istituzioni statali, limitando per quanto è possibile la libertà dei giornalisti indipendenti, è poi un fatto scontato: dato un simile presupposto, "l'obbedienza dei grandi networks della comunicazione non costituisce motivo di sorpresa: infatti essi funzionano come istituzioni ideologiche di Stato"(p 370). L'ovvia conseguenza di questa manipolazione dell'opinione pubblica è che i cittadini, privati delle informazioni necessarie per esercitare la loro sovranità, diventano sudditi di quella élite economica che detiene il potere effettivo: "intelletuali di grido, sociologi e psicologi famosi, hanno cantato le lodi della manipolazione dell'opinione pubblica perchè le dirigenze illuminate potessero raggiungere i propri fini, osservando che questo era necessario, in quest'epoca storica in cui non era più possibile ricorrere alla violenza per controllare un popolo che in teoria può dire la sua nelle questioni pubbliche"(p 377). Queste idee e questi obiettivi sono comuni ai diversi gruppi di potere economico cui fanno riferimento i due partiti americani: il democratico e il repubblicano. Si capisce, quindi, che le amministrazioni democratiche e repubblicane mettono in atto sostanzialmente la stessa politica, e ciò forse spiega la scarsa partecipazione al voto che si registra regolarmente nelle elezioni americane. Secondo Chomsky, "le preferenze e le opinioni personali dei singoli individui che si trovano a esercitare il mandato hanno ben poca influenza. Le strutture istituzionali fissano la politica entro limiti determinati, che portano all'impegno continuo per mantenere o aumentare la Quinta Libertà, alla programmazione economica attuata attraverso il sistema militare, alle misure per limitare la democrazia in patria e distruggerla nelle nostre colonie, all'attacco continuo contro i diritti umani e la giustizia sociale, alla creazione di un vasto sistema di controllo sociale e di indottrinamento"(pp 402-403). Presso i Democratici è appena possibile rilevare un interessamento, "per i problemi della popolazione nel suo complesso, leggermente superiore a quello dei Repubblicani"(p 367), che curano con più durezza e determinazione esclusivamente gli interessi delle classi privilegiate. Queste leggere differenze emergono in modo esemplare, secondo Chomsky, se si confrontano le politiche messe in atto dal democratico Carter e dal repubblicano Reagan. L'amministrazione Carter è reponsabile di innumerevoli massacri in Salvador, ma "da quando Reagan è diventato Presidente, nel 1981, il sadismo e il numero delle violenze è aumentato, con 12.501 casi documentati dai servizi di assistenza della Chiesa nel solo 1981. ... Contemporaneamente, la tortura ha raggiunto livelli spaventosi, secondo quanto constatato da alcuni gruppi per la difesa dei diritti umani"(p 36). Non ci si può stupire, quindi, se numerose associazioni che si battono per i diritti umani siano arrivate a definire "l'amministrazione Reagan come un tentativo di giustificare alcuni dei peggiori orrori del nostro tempo"(p 59). Negli anni di Reagan l'ossessione per il primato americano nel campo degli armamenti e l'appoggio al blocco industrial-militare non conoscono limiti. Così, quando il ministro degli Esteri Gromyco dichiara che l'Unione Sovietica è disposta a "mettere al bando in generale l'uso della forza nello spazio e dallo spazio contro la terra, il governo Reagan si è recisamente opposto a questa evoluzione assai promettente. ... 'La nazione che controlla lo spazio può controllare il mondo', ha affermato il sotto-segretario all'Aviazione Edward Aldridge nel 1983, e gli Stati Uniti non vogliono alcun ostacolo a tale controllo, malgrado il pericolo per la sopravvivenza rappresentato dall'estensione allo spazio della corsa agli armamenti"(p 290). E ancora nel 1985 la Russia annuncia che avrebbe eliminato "le armi chimiche dall'Europa Orientale se gli Stati Uniti avessero fatto lo stesso in Germania ...; tutto questo è stato rifiutato dagli Stati Uniti"(p 296). L'aumento delle spese militari si accompagna all'accentuazione propagandistica del pericolo costituito per il mondo libero dall'Impero del Male e alla ricerca di occasioni di conflitto, mentre al contempo si capisce "perchè 'pace' sia diventata una parola sporca, una specie di complotto russo"(p 346). Passando al campo della politica economica di Reagan, la riduzione delle imposte per i ceti privilegiati e i tagli in materia di spesa sociale "hanno comportato un sostanzioso trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi"(p 344). Nel 1984 queste sono le conseguenze: "quasi 34 milioni di americani vivono al di sotto del limite di povertà ... l'indigenza si va progressivamente concentrando fra la popolazione giovanile ... il deficit federale e commerciale provocato dalla 'reaganomics' è in ascesa, il che significa che sarà la produzione dei prossimi anni che dovrà pagare questi debiti. ... Gli Stati Uniti dovrebbero essere all'avanguardia di tutti gli altri Paesi quanto a mortalità infantile, vita media probabile e altri indici della qualità della vita. E invece stanno agli ultimi posti"(pp 380-381). Se queste sono le scelte politiche di Reagan, come si spiegano la sua popolarità e la sua rielezione? Chomsky sostiene che non è affatto vero che Reagan sia stato eletto con una valanga di voti. Nel 1980 "ha ottenuto un numero di consensi solo di poco superiore alla stretta maggioranza, pari al 28% dei voti di tutto l'elettorato potenziale ... [e nel 1984 i voti ottenuti] sono stati pari a poco meno del 30% di tutti i votanti potenziali"(p 385). Inoltre, stando ai sondaggi, "circa l'80% delle persone, nel 1980, era d'accordo a mantenere o incrementare il livello delle spese sociali, e la percentuale è aumentata nel 1984. ... 2 persone contro 1 preferiscono tagli alle spese militari piuttosto che a quelle sanitarie; la legge antinquinamento è appoggiata 7 a 1"(pp 386-387). Se è vero che l'opinione pubblica "disapprova praticamente tutte le principali iniziative"(p 408) di Reagan, il motivo della sua vittoria, allora, è da ricercare nella mancanza di effettive differenze tra i programmi dei candidati democratici e repubblicani: "ci voleva un occhio ben esercitato per discernere una qualche differenza tra i diversi candidati ... la campagna elettorale è stata soprattutto un affare dei media, uno degli spettacoli messi su per dimostrare il meraviglioso funzionamento della democrazia ... non c'è da sorprendersi se ... molti abbiano finito per dare la loro preferenza al candidato col sorriso più simpatico"(p 389). Il quadro che emerge dall'opera di Chomsky, e da quelle di altri studiosi come Gore Vidal o William Blum, è dunque molto diverso da quello comunemente fornito all'opinione pubblica dai grandi mezzi d'informazione, e meriterebbe di essere attentamente verificato. A scanso di equivoci, è appena il caso di ribadire che le critiche di questi autori presuppongono la convinzione che un regime democratico, anche molto imperfetto, è sempre migliore di uno totalitario e che le loro accuse non riguardano i cittadini americani ma i loro governanti. Ciò non toglie che se la realtà fosse quella da loro denunciata, se la democrazia americana e la politica di Reagan fossero quelle appena descritte, bisognerebbe evidentemente concludere che le recenti celebrazioni si inseriscono in quell'opera di propaganda che esalta il passato per giustificare scelte presenti al fine di rafforzare il potere delle attuali classi dirigenti: se gli Stati Uniti si sono sempre battuti per la democrazia, c'è da credere che lo stiano facendo anche in Iraq; se la 'reaganomics' è stata un successo, anche oggi la riduzione delle tasse per i ricchi produrrà vantaggi economici per tutta la società... Ma in tal caso sarebbe giusto opporsi a tale vulgata mistificante. La cosa è fattibile? Chomsky pensa di sì, perchè l'America, pur con tutti i suoi limiti, resta un Paese che garantisce una certa libertà. I dissenzienti non sono torturati o rinchiusi nei lager: possono parlare, scrivere, denunciare... Certo, la libertà di parola ha un prezzo, ma è un prezzo accettabile: "coloro che si impegnano in tale opera di controinformazione devono aver presente che non saranno mai benvoluti dalle elite al potere; dovranno abbandonare la rispettabilità, il prestigio, il sostegno economico istituzionale, l'accesso ai media, e tutti gli altri vantaggi provenienti dall'obbedienza agli assunti fondamentali della dottrina ufficiale"(p 306). E vale la pena pagare questo prezzo, se si vuol fare qualcosa per migliorare il mondo in cui viviamo. Per guardare in faccia la realtà non si richiedono sforzi sovrumani: "non c'è bisogno di essere santi o eroi per arrivare a comprendere come stanno realmente le cose nel mondo in cui viviamo, e agire per porre fine al terrore e alla violenza, di cui condividiamo la responsabilità se ci voltiamo dalla parte opposta per non vedere"(p 394). Ci vuole certo un po' di coraggio perchè, se si lacera la rete di inganni che ci avvolge, apparirà "ai nostri occhi un mondo alquanto diverso da quello che un sistema ideologico assai efficiente ama presentarci, un mondo molto più brutto, financo orribile"(p 7). Sarebbe ingenuo attendersi risultati immediati e definitivi in questa battaglia contro una politica che crea un mondo tanto disumano, ma la presa di coscienza da parte dei cittadini e l'unione delle loro forze possono produrre significativi cambiamenti in un Paese i cui governanti sono soggetti al giudizio degli elettori: "non esistono formule magiche nè metodi miracolosi per venire a capo dei problemi che ci stanno di fronte. Gli strumenti sono quelli consueti: la volontà di capire, l'educazione, l'organizzazione ... Tutto ciò, più quel tipo di impegno che non muore nonostante le tentazioni della disillusione, nonostante i successi limitati e i fallimenti numerosi, ispirato dalla speranza di un futuro più radioso"(p 405). Un'influenza non secondaria sulle scelte politiche della superpotenza americana potrebbe averla, secondo Chomsky, l'Europa. Per essa "la via più facile consiste nel mantenersi fedele e obbediente agli ordini del padrone, evitando di offrire aiuti alle vittime del terrore statunitense ... Ma [l'Europa] potrebbe anche imboccare la via dell'indipendenza, prendendo sul serio la retorica sull'autodeterminazione e sui diritti umani ... e agendo di conseguenza"(p 456). E orientare la politica dei loro governi è evidentemente responsabilità dei cittadini europei. by www.osservatoriosullalegalita.org _____________ I
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