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Legalita'
e famiglia : evoluzione della tematica familiare 2
di
Mauro W. Giannini*
Nel
corso della seconda giornata dei lavori sono intervenuti fra
gli altri il presidente dell'Osservatorio, Rita Guma, e l'avv.
Gianfranco Calderazzo, cassazionista.
Guma
ha parlato di etica e famiglia, analizzando tre aspetti del
tema:
-
la famiglia come luogo di coltivazione dei valori e di trasmissione
di valori in una societa' che mostra invece - grazie alla
tv ed agli esempi dei politici - modelli di successo facile
o peggio di successo ottenuto con la prevaricazione e l'illegalita'
-
l'etica della professione per quegli operatori che affiancano
la famiglia o componenti di essa nel momento della separazione
e del divorzio, fra la tentazione di esasperare il conflitto
e la protezione dei minori e del futuro necessario dialogo
fra genitori nell'interesse dei figli
-
le famiglie di fatto, cui diverse sentenze della Corte di
Cassazione - sentenze che il presidente dell'Osservatorio
ha analizzato da un punto di vista dei principi etici richiamati
- aprono molti spiragli con definizioni di famiglia che citano
soltanto il legame di reciproca assistenza fra le persone
e non gia' il legame giuridico fra esse (1)
L'avvocato
Lanfranco Calderazzo, del foro di Catanzaro, si e' soffermato
invece sul tema: “L’attuale sistema anagrafico del cognome:
un privilegio o un giusto riconoscimento al valore della paternità?”
sul quale ha suggerito spunti di riflessione notando che esso
desta notevole interesse non solo fra gli Operatori del Diritto,
ma anche fra la cosiddetta società civile.
Calderazzo
ha ricordato che la tematica dell’eventuale aggiunta del cognome
materno non nasce ora, ma la prima proposta di Legge risale
al 1979 ed a ricordarlo al Legislatore è la Suprema Corte
di Cassazione che, nell’ordinanza n.23934 del 22 settembre
2008, torna sull’argomento, riaffermando che i tempi sono
maturi per cambiare il sistema del cognome paterno: "Secondo
i Giudici di legittimità, l’attuale sistema confligge con
numerose Convenzioni Internazionali, segnatamente con il Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007, che vieta 'ogni discriminazione
fondata sul sesso'.
In verità, dalla lettura del cennato provvedimento - ha rilevato
l'avv. Calderazzo - non è dato ben comprendere se i Giudici
della Suprema Corte propendano per l’aggiunta del cognome
materno a quello paterno, o, addirittura, per la sostituzione
del cognome del padre con quello della madre, soluzione –tale
ultima- che, non solo a mio sommesso avviso, integrerebbe
un’evidente, inammissibile discriminazione in danno della
figura genitoriale paterna. Fatto sta che il Supremo Collegio,
chiamato a decidere se il figlio, sull’assenso del padre e
della madre, potesse assumere il solo cognome di tale ultima,
ha, sia pure interlocutoriamente, definito 'a rima obbligata'
la soluzione nell’ipotesi, appunto, di totale intesa fra i
coniugi nell’attribuire al figlio il cognome materno".
L'avv.
Calderazzo a poi ricordato che la prima proposta di legge
che prevedeva la sostituzione del cognome paterno con quello
materno fu presentata nel 1996, venendo definita una “stravaganza”,
mentre dieci anni dopo la Corte Costituzionale, con sentenza
n. 61 del 2006, ha, fra l’altro, rilevato “che l’attuale sistema
di attribuzione del cognome non è più coerente con i principi
dell’ordinamento, ed, in particolare, con l’art. 3 della Costituzione
e con gli orientamenti del Diritto Internazionale, ed ha,
pertanto, anch’essa invocato l’intervento del Legislatore”.
Un
interessante panoramica svolta dall'avv. Calderazzo su usi
e leggi dei paesi europei ha mostrato che in Spagna, dove
era in uso l’attribuzione al figlio del cognome paterno seguito
da quello materno –fermo restando che solo il primo veniva
trasmesso alle generazioni successive- la legge 5 novembre
1999 n.40 ha stabilito che il padre e la madre possono accordarsi
sull’ordine dei cognomi da dare al primogenito, ma resta ferma
la trasmissibilità del solo cognome paterno, "il che
ha suscitato forti critiche per l’incompleta realizzazione
del principio di uguaglianza", mentre nella Repubblica
Federale Tedesca, i coniugi possono optare tra la scelta di
un cognome di famiglia –che può essere il cognome di uno solo
dei coniugi, al quale l’altro coniuge può scegliere di aggiungere
il proprio- ovvero il mantenimento dei rispettivi cognomi,
prevedendosi, in questa seconda ipotesi, che essi possano
concordare, all’atto della nascita del primo figlio, quale
dei loro cognomi attribuire alla prole. In Francia, solo da
qualche anno i genitori possono scegliere il cognome da attribuire
al figlio tra quello paterno o quello materno, ovvero attribuire
entrambi i cognomi nell’ordine da loro stabilito, un sistema
–questo- vigente, invece, da molti anni in Inghilterra e nel
Galles, dove i genitori possono addirittura attribuire al
figlio un cognome diverso dai loro.
Qui
da noi, invece, ha notato Calderazzo, "il problema è
rimasto irrisolto, pressoché nell’indifferenza popolare",
ed è, quindi, ora che "attorno alla detta questione si
avvii un serio confronto di idee". A giudizio del cassazionista,
"se, per un verso, può affermarsi che il sistema anagrafico
vigente ha, in un certo qual modo, sin qui costituito –forse-
un privilegio per il padre, per altro verso, non va sottaciuto,
che ogni ipotesi di revisione del diritto di famiglia, che
si sta gradualmente elaborando, prefigura 'il padre del terzo
millennio', un genitore, cioè, proteso a rafforzare la sua
presenza presso i figli, un padre che vuole riappropriarsi
di un ruolo che sin qui non ha svolto, spesso delegandolo
alla consorte, o che non ha svolto appieno, con il risultato
che i figli –che poco o per nulla- si sono relazionati con
un siffatto padre, risentono di immaturità, spesso pongono
in essere comportamenti dissociali o, addirittura, fatti/reato,
hanno generalmente disprezzo per la figura paterna, difettano
–soprattutto- di riferimenti e, nei casi meno gravi, allorché
diventano adulti, sono insicuri, hanno scarsa autostima e
mancano di quel 'quid' che spinge ognuno di noi a 'mettersi
in gioco', in un contesto di sana competizione".
L'avvocato
ha ricordato che stiamo assistendo, da un certo tempo, "ad
un nuovo approccio, ad una diversa, sostanziale ridefinizione
del rapporto padre-figlio all’interno della famiglia, nella
quale –qui la novità- i genitori dividono equamente la responsabilità
dei figli, tutto ciò tendendo ad un equilibrato sviluppo psico-fisico
della prole, nella diversificazione e complementarietà dei
ruoli fra uomo e donna. Orbene, se già in un’ottica di fisiologica
evoluzione del rapporto matrimoniale stiamo registrando una
rinnovata, spiccata sensibilità della figura paterna nella
quotidiana gestione del contesto familiare, perché mai si
dovrebbe –proprio ora- delegittimarsi la figura paterna, accostando
al cognome di questi quello della madre del piccolo".
Ma anche nei momenti di crisi matrimoniale - a giudizio del
casszionista - al precipuo fine di accrescere proprio il senso
di paternità, mantenendo, per così dire, inalterata l’architettura
familiare, l’accogliere il cognome materno accanto a quello
del padre potrebbe condurre ad un disimpegno del padre stesso
nella fase di concreta realizzazione delle responsabilità
genitoriali, a tali ultime colpevolmente sottraendosi nel
convincimento, magari errato, di essere stato esautorato nel
suo ruolo anche all’esterno, nel contesto sociale, sicché
quel che potrebbe apparire un vacuo segno distintivo, un’etichetta,
cioè il cognome, vale, invece, a mantenere salde –anche sotto
tale profilo psicologico- le dinamiche interne della famiglia.
La trasmissione del cognome da padre a figlio rappresenta,
infatti, un simbolo di appartenenza spirituale di continuità,
di identità ed auto-definizione, la cui scomparsa potrà avere
un effetto dirompente sul fragile rapporto tra padri/figli".
In
definitiva, ha concluso Calderazzo - il cui intervento ha
suscitato l'interesse del pubblico con alcuni interventi interlocutorii
- "prima di valutare le numerose soluzioni che –da più
parti- si propongono, da quelle più tradizionaliste ad altre,
che oserei definire provocatorie ed oltranziste, occorre prioritariamente
individuare un criterio che –da una parte- tenga conto dei
rilievi e pronunciamenti della Corte Costituzionale e della
Cassazione, ai quali abbiamo già fatto cenno, nonché dei Trattati
Internazionali, del Consiglio d’Europa e delle esperienze
di altri Stati, per altro verso, comprenda che il mutato,
pregnante ruolo della figura paterna nella famiglia italiana,
come recepito nella più recente normativa (si pensi all’affido
condiviso) fa sì che non venga stravolto l’assetto attuale,
distruggendo un istituto millenario, come il lignaggio paterno,
sulla valenza del quale possono –forse- comprimersi gli opposti,
peraltro ben legittimi, interessi femminili".
(1)
leggi l'intervento
< prima parte
continua
giovedi'
(ci scusiamo per il ritardo, dovuto a motivi
tecnici:
l'ultima parte dell'articolo sara' pubblicata entro ven 24
settembre)
*
si ringraziano Rita Guma e Angela Parrinello
Dossier
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