14 maggio 2008

 
     

Pena di morte : nuove meditazioni
di Claudio Giusti*

Fra dieci anni la pena di morte americana sarà alla fine. Giudici, procuratori e politici se ne stancheranno e lei finirà.

Il Giudice Stevens, nella concurring opinion in Baze, ci ha spiegato i punti di crisi della sua “giustificazione” costituzionale. Con la sentenza Gregg (1976) la Scotus aveva inteso che la pena di morte, per non essere una “inflizione gratuita di sofferenze” in violazione dell’Ottavo Emendamento, doveva servire a raggiungere i tre obbiettivi di deterrenza, retribuzione e incapacitazione del reo.

Ovvero: la pena deve impedire al reo di commettere altri delitti (cosa abbastanza logica visto che lo ammazzano), deve spaventare i possibili criminali e fare da deterrente alla commissione di delitti simili e deve ripagare con la stessa intensità e proporzionalità il crimine.

Per Stevens l’utilizzo del LWOP in tutti gli stati retenzionisti (meno uno) ha reso il patibolo un mezzo di incapacitazione “arcaico”, mentre la presunta deterrenza della pena capitale è messa in questione dai fatti e lo stesso concetto di retribuzione è “sempre più anacronistico”.

Al venir meno dei tre pilastri su cui si basa la giustificazione costituzionale della pena capitale il Giudice Stevens aggiunge il suo costo. Costo che non è però limitato alla sola parte venale (alcuni milioni di dollari), ma cui occorre aggiungere il vero e proprio soffocamento delle Corti d’Appello e Supreme, costrette, a scapito di tutto il resto, a passare una parte sostanziale e sproporzionata del loro tempo a rivedere più di una volta alcune sentenze capitali.

Un altro punto debole della pena capitale è che essa è costituzionalmente “eccessiva” per alcune categorie di persone (pazzi, minori, minorati) e per la stragrande maggioranza dei reati.

A questo Stevens aggiunge lo sbilanciamento che si è venuto a creare, con la sentenza Payne, in favore dell’Accusa. Sbilanciamento reso grave ed evidente dalla tendenza delle “death qualified juries” a preferire le tesi della Procura.

Seguono poi le preoccupazioni per le discriminazioni razziali (McCleskey) e per la sempre più evidente possibilità che persone innocenti siano state uccise. In definitiva per il Giudice Stevens la pena capitale americana è diventata “l’estinzione inutile e senza scopo di una vita umana”.

Noi abolizionisti aggiungiamo all’attenzione della Corte Suprema la penosa qualità della difesa, il cui costo assurdo lascia solo i poveri in pasto al boia, e l’assoluta arbitrarietà con cui le Procure decidono chi deve morire e chi no. Arbitrarietà che dipende da fattori esterni (disponibilità di tempo e di denaro, vicinanza alle elezioni, geografia, censo, sesso, razza, presenza di altri casi) che nulla hanno a che fare con l’effettiva gravità del crimine.

Chiunque sia il prossimo Presidente, comunque vadano le cose nei prossimi anni la pena di morte americana si spegnerà un po’ alla volta. Il compito del Movimento Abolizionista dovrebbe essere quello di comprendere questi fatti ed elaborare una strategia coerente.

Ci riuscirà?????

Dedicato ai caduti del “Conte Rosso”

* membro del Comitato scientifico dell'Osservatorio

Speciale diritti

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