04 maggio 2007

 
     

Infedelta' patrimoniale : la nuova disciplina nel sistema attuale
dell'avv. Giovanni G. Ladisi

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LA DISCIPLINA DELLA FATTISPECIE DI INFEDELTÀ PATRIMONIALE NEL SISTEMA ATTUALE. 1. La nuova fattispecie di infedeltà patrimoniale disciplinata dall'art. 2634 c.c. - 2. La condotta illecita e l'evento - 3. L'elemento soggettivo del reato - 4. Il rapporto esistente tra la fattispecie d'infedeltà patrimoniale e "i beni posseduti o amministrati per conto di terzi" - 5. L'infedeltà patrimoniale nei gruppi di società - 6. Le sanzioni e la prescrizione del reato - 7. Le problematiche dell'infedeltà patrimoniale in ordine al regime di procedibilità ed in ordine alla successione di leggi nel tempo.

1. La nuova fattispecie d'infedeltà patrimoniale disciplinata dall'art. 2634 c.c. L'art. 2634 c.c., col nomen juris di "infedeltà patrimoniale" dispone che: "Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalle società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa".

La rubrica utilizzata dal legislatore "infedeltà patrimoniale" che costituisce la traduzione letterale del termine tedesco Untreue, nonostante le differenze esistenti rispetto a questo modello, ha costituito in dottrina già motivo di discussione visto che: "la definizione dei soggetti attivi e la descrizione delle rispettive condotte vietate indicano univocamente che non ogni offesa patrimoniale è incriminata (…) ma solo quelle che si realizzano in ambito societario. Evidentemente al momento di scegliere il nomen juris più adatto (…) ha pesato tutta la forza evocativa di quel termine, ormai radicato anche nel nostro dibattito dottrinale da oltre mezzo secolo".

La figura criminosa in esame individua un reato proprio, in cui l'ambito degli eventuali autori del delitto, coerentemente alla condotta consistente in un atto di disposizione patrimoniale, riguarda quei soggetti le cui qualifiche corrispondono ad un potere autonomo di gestione del patrimonio della società e cioè gli "amministratori", i dirigenti di livello più elevato indicati con l'espressione "direttori generali", ed anche i "liquidatori". Tali qualifiche inoltre sulla base del disposto dell'art. 2639 c.c. vanno intese non solo in senso formale ma anche funzionale, visto che esse si riferiscono non soltanto al soggetto formalmente investito della qualifica e al titolare della funzione, ma anche a chi sia "tenuto a svolgere la stessa funzione diversamente qualificata", nonché a chi comunque eserciti "in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione".

In sostanza, la clausola estensiva di cui all'art. 2639 c.c. indica come autonomi destinatari del precetto anche quei soggetti che esercitano di fatto i poteri tipici riguardanti le qualifiche indicate nella norma.

2. La condotta illecita e l'evento. L'art. 2634 c.c. incrimina la condotta posta in essere dai soggetti attivi indicati i quali, "avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale". L'attuale norma prevede due tipi alternativi di condotte punibili, consistenti sia nel compimento che nella partecipazione alla deliberazione di atti di disposizione dei beni sociali e riferibili ad una realizzabilità del fatto tanto da parte dell'organo monocratico (id est: il compimento di atti) quanto, eventualmente, da parte di un organo collegiale (id est: partecipazione alla deliberazione). In questo modo l'attuale duplice previsione normativa consente di superare la già accennata limitazione applicativa della previgente disciplina dell'art. 2631c.c..

La condotta illecita del delitto d'infedeltà patrimoniale presuppone l'esistenza di una situazione di conflitto d'interessi con quello della società come elemento caratterizzante il comportamento del soggetto attivo; ma in effetti, nonostante il richiamo da parte del legislatore alla formula di conflittualità già prevista dall'abrogato art. 2631 c.c., a cosa ci riferiamo con l'espressione "conflitto di interessi"? Innanzitutto occorre chiarire cosa si intende per interesse della società e dei soggetti qualificati indicati nell'attuale art. 2634 c.c.; a tal proposito è necessario fare una scelta tra le teorie dominanti in materia di strutture delle imprese, e cioè tra la concezione contrattualistica, che privilegia i titolari delle partecipazioni identificando l'interesse sociale con quello comune dei soci; e quella istituzionalistica, la quale mette in primo piano l'interesse generale dell'economia pubblica facendo coincidere l'interesse sociale con l'interesse dell'impresa in sé.

Alla luce dell'attuale riforma, e soprattutto di fronte alla procedibilità a querela per molti reati societari tra cui la stessa infedeltà patrimoniale, nel nostro ordinamento viene favorita la prima concezione, in base alla quale per interesse sociale deve intendersi l'interesse comune dei soci. Certamente quest'interesse sociale non può essere inteso come la risultante degli interessi particolari o come l'interesse della maggioranza bensì, sulla base di una valutazione oggettiva, come ciò che rappresenti il meglio per l'insieme degli interessi particolari e qualitativamente uguali in funzione del raggiungimento dello scopo comune ed esclusa l'incidenza di interessi o posizioni extrasociali. Da ciò si deduce che l'interesse personale dell'amministratore, direttore generale o liquidatore corrisponde al vantaggio personale derivante dall'operazione decisa dall'assemblea e trattasi di un vantaggio soggettivo che può essere diretto, cioè per conto proprio, o indiretto cioè per conto di terzi favoriti.

Definiti dunque i contrastanti interessi, è necessario ora analizzare il contenuto del conflitto. Esso si riconferma, così come nel previgente art. 2631 c.c., di natura economica, come si deduce soprattutto dalla ratio della norma, dalle condivisibili necessità di obiettivizzazione del conflitto, ma principalmente dalla previsione come evento di un danno patrimoniale alla società. Al pari dell'abrogato art. 2631 c.c. caratteristiche immancabili anche nella nuova norma incriminatrice del conflitto di interessi sono: l'oggettività, l'effettività e l'attualità. Il requisito dell'oggettività, che emerge dagli elementi costitutivi del reato la cui natura è rigorosamente economico- patrimoniale, è diretto ad eliminare ogni profilo psicologico e soggettivo del relativo giudizio. Altrettanto necessario è il requisito dell'effettività, desumibile dalla previsione del danno patrimoniale, il quale esprime un bisogno di concretezza che impone la considerazione della natura e delle modalità del conflitto. Infine il carattere dell'attualità esige che la preminenza dell'interesse extrasociale debba sussistere nel momento del compimento dell'atto o dell'assunzione della delibera; sarà dunque privo di rilevanza l'interesse passato o addirittura futuro. In questo modo l'esistenza del requisito dell'attualità del conflitto, anche sul piano dell'accertamento probatorio, evita che si possa far ricorso a riduttive semplificazioni che, partendo dall'esistenza di un danno patrimoniale per la società, presumano, solo per ciò, l'esistenza di una qualche finalità extrasociale dell'amministratore.

In sostanza, rispetto all'abrogato art. 2631 c.c., nella nuova fattispecie societaria, pur rimanendo immutato il carattere patrimoniale dell'interesse sociale, pare che l'interesse extrasociale con lo stesso configgente possa essere anche di altra natura. Sicuramente da parte dell'attuale dottrina la preoccupazione circa la caratterizzazione dell'elemento "conflitto di interessi" è in realtà diversa da quella della dottrina che si è interessata al previgente art. 2631 c.c., in quanto quest'ultima doveva cercare di superare l'apparente formalismo che qualificava la fattispecie, mentre oggi occorre garantire al "conflitto di interessi" un significato che possa consentirgli una funzione selettiva nell'ambito di condotte offensive di interessi patrimoniali della società. Tale funzione selettiva può essere assicurata solo consentendo all'elemento del "conflitto di interessi" di "ritagliare" precauzionalmente una serie di situazioni indipendenti ed autonome rispetto all'atto di disposizione patrimoniale, anche se poi queste possano emergere ed assumere importanza soltanto nel momento di compimento dell'atto stesso.

Nella nuova fattispecie è scomparsa inoltre l'espressione "per conto proprio o di terzi", che si riferiva al conflitto di interessi e ciò, non perché sia venuta meno la possibilità che il conflitto abbia ad oggetto un interesse "per conto di terzi", visto che nell'attuale art. 2634 c.c. oggetto del dolo specifico può essere un profitto o un vantaggio ingiusto per sé o "per altri", ma perché il legislatore ha considerato inutile la riproposizione della formula contenuta nel previgente art. 2631 c.c.. Nella riforma societaria, l'infedeltà patrimoniale richiede il verificarsi di un evento di danno, tenuto conto del fatto che il legislatore ha introdotto nella norma incriminatrice l'inciso "cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale".

La scelta effettuata dal legislatore per un reato di evento permette così di ancorare la fattispecie criminosa ad una solida base oggettiva in modo da ridurre l'area dei c.d. rischi penali dell'impresa. Quindi il danno come momento consumativo del reato deve essere assolutamente di natura patrimoniale; infatti la stessa norma incriminatrice lo indica come tale e sembrerebbe inoltre configurabile soltanto nella forma del danno emergente, sub specie di perdita patrimoniale derivante dalla condotta criminosa. Trattandosi di un reato con evento di danno, la configurabilità del tentativo è possibile; esempio tipico di delitto tentato è quello nel quale l'opposizione esercitata dal presidente del consiglio di amministrazione impedisca l'iniziativa delittuosa dell'amministratore di deliberare un atto pregiudizievole per la società25.

continua >

25 Pietro Capello, Dolo e colpa nei reati societari, tributari fallimentari, Cedam 2002, p.251.

Speciale Mani Pulite

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