NEW del 15 settembre 2006

 
     

La "legge Consolo" per la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile
di Federica Mancinelli

3. La cultura dell'infibulazione
Le mutilazioni genitali femminili (in particolare l'infibulazione) vengono molto spesso considerate parte di alcune culture religiose, prevalentemente islamiche. In realtà si praticano in società di religione sia islamica che politeista e cristiana (copta, cristiana ortodossa, protestante, giudaica) (7), pur essendo pubblicamente condannate in ciascuna di esse.

Mentre, infatti, alcuni Islamici sostengono che tali pratiche trovino origine in alcune ahadith del profeta Maometto che disse ad una donna che stava praticando un'infibulazione su una bambina: "Taglia, ma non distruggere", ci sono testimonianze storiche che attestano che tali procedure fossero già praticate al tempo dei Romani antichi.

Le motivazioni che spingono a praticare queste vere e proprie torture si richiamano a detti popolari, precetti religiosi o al controllo politico e sessuale della donna. Ma la motivazione e causa fondamentale di questo crimine è che nelle culture ove le mutilazioni sono richieste e praticate non averle subite significa isolamento sociale. La sessualità femminile è considerata un istinto impuro e da controllare e, possibilmente, annullare. Attraverso queste pratiche la donna preserva l'onore e l'integrità della famiglia. Questo "imperativo categorico" sociale fa dimenticare alla stessa vittima il carattere di tortura di tali pratiche e di annullamento completo dei propri diritti di persona umana (8).

Prima dell'entrata in vigore della Legge Consolo, un'autorevole dottrina riportava: "Questo tipo di mutilazione femminile ha antiche radici in alcune zone del continente africano ed è stata adottata in aree islamiche, ma non ha una vera motivazione religiosa; riflette piuttosto quella mentalità arcaica che vede nella donna una sorta di proprietà esclusiva dell'uomo, priva del diritto ad una propria peculiare sessualità.
Non c'è dubbio che, riguardate nella loro materialità e nei conseguenti effetti corporei, le pratiche infibulatorie integrano il reato di lesioni volontarie di cui all'articolo 582 del Codice Penale e risultano contrarie, sotto diversi profili, a convenzioni e dichiarazioni internazionali sui diritti umani, ed in questo senso già si registrano in Italia delle sentenze di condanna per pratiche del genere (Floris).
Il profilo penalistico della questione è richiamato in una dichiarazione del Ministero della Sanità del 30 Settembre 1999 con la quale, rispondendo implicitamente a quanti, con la motivazione della diversità di cultura e di tradizioni, ritengono che l'infibulazione possa essere legittimata e praticata addirittura nell'ambito delle strutture pubbliche sanitarie, esclude categoricamente 'l'effettuazione di tali interventi presso le strutture del SSN e per opera del personale medico'.
E' vero, però, che sarebbe difficile risolvere un problema che nasce da oggettive e profonde diversità culturali, e che si innesta in tradizioni etniche molto radicate, in un'ottica esclusivamente penalistica. La rilevanza di valori quali la tutela della salute e della dignità della persona suggeriscono che lo Stato, e gli enti competenti, si facciano promotori di interventi preventivi, soprattutto di carattere educativo, capaci di far arretrare e infine estirpare usi e abitudini che contrastano con acquisizioni che appartengono a tutta l'umanità, a prescindere dall'area geopolitica in cui sono germinati (Vitalone)" (9).

Oltrepassando ulteriormente i confini del Biodiritto, le MGF - formalmente e nella sostanza atti di violenza su minore - vengono considerate tradizionalmente un segno di premura ed attenzione nei confronti delle bambine: una bambina non infibulata è una bambina di cui nessuno si è preso cura. Perdendo individualità e diritti, la giovane donna viene accettata dal proprio gruppo sociale, subendo dunque non solo una violenza fisica, ma anche psicologica, poiché la pratica mutilativa viene considerata dalle stesse donne necessaria per il loro vivere associato.

continua >

------

7 In Europa già nel 1822 fu praticata la prima amputazione da parte del medico Graefesu su una giovane di 5 anni per curarla in modo definitivo dall'onanismo; anche il medico Broca eseguì, allo stesso scopo, un'infibulazione nel 1863. Negli anni che vanno dal 1860 al 1870, l'Inghilterra vittoriana praticava diffusamente le mutilazioni genitali, "esportando" poi tali pratiche anche negli Stati Uniti.

8 I Bambara, una delle etnìe del Mali, chiamano le donne non infibulate o escisse "bikaloro", un gravissimo insulto che vuol dire essere privi di ogni maturita. Al momento di questa dolorosa "cerimonia di iniziazione" le bambine pù grandi si impegnano a non gridare: sarebbe una grave dimostrazione di vergogna attribuita ai prorpi genitori: "Se piangi, non sei degna di tuo padre", cantano le donne del villaggio. All'uscita le piccole vittime trovano i tam tam ad accoglierle festosamente, mentre alle piccole che saranno operate in future si ricorda quotidianamente: "Se non sei escissa, non hai amici, non hai diritto a farti corteggiare da nessun ragazzo, non puoi comportarti da donna" (dal testo de "L'iniziazione", documentario televisivo girato da Ilaria Freccia e trasmesso da RAI3 il 22 Novembre 2005).

9 Carlo Cardia, "Principi di diritto ecclesiastico", pagg. 186-187 - Ed. Giappichelli 2002. Ringrazio Marco Giudici per aver discusso con me in particolare questo punto.

Speciale giustizia

___________

NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
www.osservatoriosullalegalita.org