NEW del 04 giugno 2006

 
     

Referendum : Istituzioni di garanzia e riforma della Costituzione
di Carlo Dore jr*

Archiviate definitivamente le polemiche relative all'estenuante maratona elettorale, la materia della riforma della Costituzione è ritornata al centro del dibattito politico, in previsione del referendum confermativo del prossimo 25 giugno.

I più eminenti costituzionalisti italiani (da Allegretti a Barbera, da Ciarlo a De Siervo) hanno ripetutamente denunciato i rischi collegati all'entrata in vigore del testo di revisione della Carta Fondamentale predisposto dai sedicenti saggi di Lorenzago, rischi principalmente riconducibili al fatto che il suddetto testo tende a concentrare nelle mani del primo ministro un potere tale da renderlo il dominus indiscusso della politica nazionale.

Tuttavia, alcuni aspetti di tale disegno (forse marginali, ma non per questo meno inquietanti) meritano a nostro avviso di essere oggetto di un ulteriore riflessione: costituisce una realtà tristemente incontrovertibile l'affermazione secondo cui Silvio Berlusconi, indotto per mentalità a non concepire l'esistenza di limiti che possano ostacolare l'attuazione dei suoi progetti, ha sempre considerato le istituzioni di garanzia alla stregua di un mero fattore perturbante per l'adempimento dell'ormai celeberrimo contratto con gli Italiani.

Questa manifesta insofferenza costituisce l'effettiva ratio delle disposizioni che definiscono le prerogative del Capo dello Stato e che individuano i nuovi criteri per la nomina dei membri della Corte Costituzionale, non a caso più volte qualificata dai vari luogotenenti del Caimano come una sorta di moderno soviet supremo.

Premesso che la più alta carica dello Stato risulta pesantemente menomata nelle sue prerogative in ragione del fatto che essa viene privata del potere di determinazione in ordine allo scioglimento delle Camere, è opportuno rilevare come la riforma in commento, individuando tout court il Primo Ministro nel leader della coalizione che prevale nella competizione elettorale, di fatto assegna al Presidente della Repubblica un ruolo del tutto marginale anche nella fase di formazione dell'Esecutivo.

Una simile misura, unitamente alla previsione che riserva al premier il potere di nomina e revoca dei vari ministri, è palesemente finalizzata a scongiurare il verificarsi di situazioni analoghe a quelle che, nel lontano 1994, caratterizzarono la composizione del primo governo della Casa delle Libertà: in quell'occasione il Presidente Scalfaro non solo riuscì a precludere l'ascesa alla carica di Ministro della Giustizia di un soggetto (pochi mesi fa condannato in via definitiva a sette anni di reclusione) privo dei requisiti morali necessari per svolgere con l'adeguata autorevolezza il ruolo di Guardasigilli, ma arrivò a denunciare dinanzi alla Nazione intera la presenza, nell'ambito della maggioranza parlamentare, di forze politiche storicamente ostili a quei principi democratici che trovano proprio nella Carta Costituzionale la loro più elevata espressione.

Peraltro, si è già evidenziato come, a seguito della pronuncia di incostituzionalità della legge che garantiva alle più alte cariche dello Stato l'immunità anche con riferimento ai processi in corso, la Consulta è stata brutalmente accusata di partigianeria, in ragione di una pretesa (e, nel caso di specie, del tutto irrilevante) continuità ideologica tra alcuni suoi componenti ed i partiti del centro-sinistra.

In questo senso, l'innalzamento del numero dei giudici di nomina parlamentare assolve perfettamente all'esigenza di garantire una piena omogeneità tra la maggioranza di Governo ed il collegio che costituisce il Giudice delle Leggi, così sostanzialmente trasformato da organo di controllo in organo di ratifica delle decisioni maturate a livello parlamentare.

Alla luce delle considerazioni appena formulate, l'esigenza di esprimere un voto contrario alla riforma in commento appare forse ancora più pressante: il tratto fondamentale che contraddistingue ogni democrazia evoluta viene infatti identificato nell'esistenza di una serie di istituzioni di garanzia la cui funzione è appunto quella di evitare che le forze maggioritarie in un dato momento storico possano abusare del potere ad esse conferite dal corpo elettorale.

Nel momento in cui le prerogative di queste istituzioni vengono messe in discussione dagli stessi organi titolari del potere politico, i quali si trovano quindi nella condizione di poterne limitare la rilevanza in seno all'ordinamento, sono le fondamenta stesse della democrazia a tremare violentemente.

* dottore in giurisprudenza, referente provinciale per Cagliari dell'Osservatorio sulla legalita' e sui diritti

Speciale diritti

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