NEW del 19 febbraio 2006

 
     

Vignette , Islam e censura : analisi di un Iraniano occidentalizzato
traduzione di Rico Guillermo

Continua la riflessione sulle vignette danesi di Amir Taheri, giornalista e scrittore iraniano che ha studiato a Teheran, Londra e Parigi, ha collaborato con The International Herald Tribune, The Wall Street Journal, The New York Times e The Washington Post e che fra il 1980 e il 1984 fu il direttore per i Medio Oriente del Sunday Times di Londra. Ha scritto 9 libri di cui tradotti in 20 lingue di cui un best seller sul terrorismo islamico. L'articolo compare sulla testata Asharq Al-Awsat con il titolo "Cercando la censura in nome del dialogo", ed analizza alcuni significativi retroscena culturali della vicenda delle caricature di Maometto e delle successive reazioni. La prima parte.

Ora torniamo al congresso di Kuala-Lumpur. Se come Occidente intendiamo tutte le societa' libere del mondo e' chiaro che nessuno in particolare potrebbero sostenere di parlare per tutti. L'operazione di parlare per loro, per quanto riguarda gli argomenti politici e legali, incombe sui loro governi liberamente scelti. Ma quando arriviamo alla cultura, l'arte, la religione e le opinioni politiche, tutti i cittadini delle societa' libere parlano per se stessi.

Khatami non puo' comprenderlo ma il primo ministro della Danimarca o il presidente della Francia non possono sostenere di essere la sola voce delle loro rispettive nazioni quando si arriva ad argomenti che superano le loro responsabilita' politiche specifiche. La censura che Khatami desidera imporre e' possibile soltanto nella Repubblica islamica dell'Iran e sistemi simili.

L'unico dialogo importante fra l'Islam, nelle sue forme multiple e l'Occidente, anche nella sua diversita', potrebbe avvenire ad un livello persona a persona. Ai Musulmani dovrebbe essere permesso di leggere i libri e i giornali, vedere i film, guardare la televisione ed ascoltare la musica prodotta nell'Occidente. Nello scambio, gli Occidentali dovrebbero poter avere accesso diretto alla produzione culturale, artistica e filosofica dell'Islam. E, tuttavia, sappiamo che questo non puņ accadere finche' la censura rimane un elemento chiave nelle politiche della maggior parte degli Stati musulmani.

Per quanto attiene al dialogo e' preoccupante che ad esso venga lasciata una sola possibilita': i colloqui a livello ufficiale. Essi, naturalmente, sono utili e desiderabili. Malgrado le differenze strutturali fra la maggior parte degli Stati musulmani e le loro controparti occidentali il dialogo puo' aiutare a ridurre le tensioni ed identificare i punti di accordo. La cosa importante, tuttavia, e' che sia chiarito fin dall'inizio che un tal dialogo e' di natura diplomatica e politica ed in nessun modo implica l'Islam come una religione o cultura.

L'oggetto di un tale dialogo dovrebbe essere il riconoscimento di uno spazio pubblico internazionale regolato dalle leggi e da norme che non siano correlate ad alcuna fede religiosa particolare. E si deve precisamente che in un tale spazio neutro rispetto alla fede L'Islam, il Cristianesimo ed altre religioni possono entrare in contatto, scambiare esperienze e, si', persino competere per consenso e sostegno.

Mentre la religione non e' compatibile con il pluralismo politico, e tanto meno la democrazia, il pluralismo e la democrazia sono compatibili con la religione. In effetti e' soltanto in un sistema politico aperto, in cui la diversita' e' riconosciuta da entrambi come una necessita' e una virtu', che tutte le religioni possono prosperare. La risposta, quindi, non e' piu' censura, come Khatami ha suggerito, ma meno.

Dossier caricature di Maometto

Speciale immigrazione e razzismo

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