NEW del 2 febbraio 2006

 
     

Giustizia : 'drogato' il decreto sulle Olimpiadi
di Unione Camere Penali*

Il Senato della Repubblica il 26 gennaio scorso ha approvato il Ddl 3716/S di conversione del decreto-legge 272/05 recante “Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali”. Data l’imminenza dell’importante evento sportivo avremmo potuto - da cittadini - rallegrarcene, se non fosse che, con il solito maxi-emendamento, la maggioranza ha approvato una corposa modifica della legge oggi vigente in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza.

SI tratta, è bene richiamarlo, di un cospicuo stralcio di 22 su 106 articoli del disegno di legge inteso a riformare questa delicata materia e che da due anni giaceva indisturbato in Parlamento. Si tratta di una riforma inaccettabile. Che ha come suo perno l’equiparazione delle droghe pesanti con quelle leggere; che prevede la punizione anche del mero consumatore; che reintroduce il concetto di “modica quantità” superato dal D.P.R.309/90, anche se la tabella unica sulle “dosi di confine” non è ancora pronta. Già nel 1990, di fronte al dilagare della tossicodipendenza, all’aumento di morti per overdose e alla diffusa piccola e grande criminalità legata al consumo di droga, anziché riflettere sulle ragioni del disagio giovanile e impegnare forze maggiori sul fronte della emarginazione sociale e dunque della prevenzione, il legislatore preferì la facile via della repressione, garantendo, in luogo di un ragionevole controllo del fenomeno, la clandestinità del consumatore e la crescita progressiva della popolazione carceraria.

La legge “Iervolino-Vassalli”, dunque, fallendo clamorosamente l’obiettivo della prevenzione, raggiunse il risultato di contribuire progressivamente al collasso delle fatiscenti strutture carcerarie, dopo aver aiutato in modo non trascurabile ad ingolfare gli uffici giudiziari. Mostrando sensibilità diversa da quella dei governanti di allora, la maggioranza dei cittadini italiani bocciò gli aspetti peggiori della legge Iervolino-Vassalli con il referendum del 18 aprile 1993. Vinta la battaglia di civiltà giuridica con l’abrogazione del criterio della “dose media giornaliera” e proclamata una tregua nella guerra al tossicodipendente, il Ministro agli affari sociali dell’epoca auspicò che dalla repressione si passasse all’assistenza del tossicodipendente secondo il modello nordeuropeo. Nonostante i buoni propositi, e trascorsi inutilmente dieci anni, prosegue invece la guerra al tossicodipendente, ancora ospite principale nelle carceri italiane.

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E’ questo il quadro in cui si inserisce la normativa votata recentemente dal Senato, che alla prevenzione e al recupero accompagna l’ennesima campagna contro il tossicodipendente, allargando l’offensiva al semplice consumatore, abolendo, come già sottolineato, ogni distinzione fra sostanze stupefacenti e sanzionandone indiscriminatamente l’uso sempre e comunque. L’inasprimento delle sanzioni amministrative già esistenti per la detenzione di qualsiasi sostanza al di sotto dei limiti stabiliti, la previsione della sanzione penale, pur mitigata dal mantenimento del “fatto di lieve entità”, anch’esso già esistente, le alternative al carcere, previste per chi opta per un percorso di recupero o per lavori di pubblica utilità, rischiano di tradursi in velleitari tentativi propri di uno Stato che confonde diritto e morale, per di più immemore della volontà popolare.

Il rinnovato ricorso al concetto di “dose giornaliera”, la cui rispondenza a criteri di carattere scientifico è rimasta in passato del tutto non dimostrata, finirebbe col riproporre le assurde conseguenze già sperimentate negli anni 1990-1993. Prima fra tutte quella di legare l’offensività della condotta di detenzione al superamento di una frazione anche infinitesimale di sostanza rispetto alla soglia consentita. La criminalizzazione del consumo legittimerebbe, inevitabilmente, da un lato l’inasprimento dei sistemi e dei mezzi di controllo delle abitudini del cittadino, che dovrà mettere in conto il pericolo di gravi intrusioni nella vita privata e, dall’altro, l’ingresso nelle fila della malavita dei semplici consumatori.

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La via della intolleranza che si vuole così intraprendere rappresenta un pericoloso attentato alla libertà dell’individuo, in nome di una visione etica della legge penale, che ha per obiettivo quello di rafforzare un apparato repressivo non sempre efficiente e comunque mai efficace rispetto al fenomeno sociale della diffusione del consumo di sostanze stupefacenti, ponendosi per di più in aperta contraddizione con i propositi, tante volte ribaditi da tutte le forze parlamentari, riguardanti la attuazione del così detto diritto penale minimo che sorge dalla condivisione della funzione residuale della sanzione penale.

Pur in presenza di un così grave intervento, il Senato ha votato con il meccanismo della fiducia, senza dibattito ed a scatola chiusa. Pur a fronte di scelte così delicate, si è evitato accuratamente di approfondire l’oggetto delle stesse sottoponendolo al vaglio del dibattito e della riflessione critica, suscitando critiche e dissensi anche in chi aveva collaborato alla stesura del testo.

L’UCPI auspica che la Camera dei deputati esamini il testo licenziato dal Senato attraverso lo strumento del dibattito approfondito e meditato accogliendo le istanze che provengono dal mondo degli operatori, affrontando la delicata materia del consumo delle sostanze stupefacenti fuori dalla logica della repressione.

*31 gennaio 2006

Speciale giustizia

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