NEW del 05 maggio 2005

 
     

Inciucio , il nuovo libro di Marco Travaglio e Peter Gomez
di red

E' appena uscito nelle librerie il nuovo libro di Marco Travaglio e Peter Gomez, per i tipi di BUR, Rizzoli. Per gentile concessione degli autori e dell'editore ne pubblichiamo le pagine introduttive.

Prefazione di Giorgio Bocca
Si intende per «inciucio» la perenne tentazione italiana all’unanimismo, al far mucchio, al camuffare l’adesione alla maggioranza come una opposizione. Con il berlusconismo al potere questa tentazione si è manifestata in modo irresistibile e impudico: gli oppositori di Berlusconi, la sinistra, hanno cercato di aiutarlo, di imitarlo, di giustificarlo.

L’«Unità» antiberlusconiana di Furio Colombo si è fatto e si fa di tutto per smantellarla. Il leader della Rifondazione comunista Bertinotti è l’uomo politico ospitato più di ogni altro da Porta a Porta, informazione di regime. La letteratura forcaiola e antipartigiana di Giampaolo Pansa è la più recensita. Ed è di gran voga il berlusconismo malgré nous delle penne eleganti, a cui il Cavaliere piace da morire perché sarà un cafone, sarà un antidemocratico, ma come si batte, che tenacia, che volontà, ma sì, teniamocelo per altri cinque o dieci anni.

È dall’inizio dell’èra Berlusconi che questa sinistra ipocrita fa campagna contro chiunque si opponga al suo bipartisanismo, al suo doppio gioco. Per anni Furio Colombo e la sua «Unità» sono stati considerati da questa sinistra i nemici numero uno, peggio degli eredi di Salò, peggio dei terroristi neri. L’argomento decisivo e sintetico usato dal riformismo cialtrone era: «Colombo fuori dai coglioni».

Marco Travaglio e Peter Gomez non sono solo dei nemici, ma una malattia, fanno venire l’orticaria. La sinistra intransigente è una sorta di setta diabolica, da isolare, da emarginare, da confinare nel silenzio, da tener lontana dalle televisioni e dalle comunicazioni. Il teorema del berlusconismo può essere questo: una società in transizione confusa e trasformistica si identifica nell’uomo che più le somiglia, che meglio la rappresenta; e ne fa un capo indiscutibile. Negli anni Venti quell’uomo è Mussolini e siccome è un tribuno, un violento, un istintivo, si può farne l’uomo del destino. E così nel contemporaneo con Berlusconi, che ha ripreso e rilanciato l’operazione politica perseguita anche da Craxi il cinghialone, l’uomo forte che va al potere, non importa se corrotto.

L’Inciucio di Gomez e Travaglio indulge anche a polemiche minori, come quelle su Giuliano Ferrara e la Armeni, ma è una raccolta precisa e seria sul trasformismo italiano. E anche una analisi seria degli errori e delle omissioni della sinistra negli anni in cui fu al governo e in cui non seppe fare le leggi antitrust e sul conflitto di interessi, consentendo a Berlusconi di durare e di riproporsi con protervia. L’accusa più forte che il campo «riformista», cioè trasformista, muove a Marco Travaglio non è politica, ma caratteriale: Travaglio è antipatico, fa venire l’orticaria al povero Bertinotti, e non solo a lui.

Il trasformismo è attento alle buone maniere, al bon ton. Passa con grande stile dal laicismo all’obbedienza al cardinal Ruini, dal marxismo al gesuitismo, da Darwin ai creazionisti. E chi lo considera un male perenne del Paese è un essere infetto da isolare, da mettere a tacere. Ma che rispetto intellettuale e politico si può avere per gente che, in buona sostanza, se ne infischia della libertà di informazione e mira soprattutto e soltanto a stare nella stanza dei comandi e dei buoni stipendi?

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Introduzione (di Peter Gomez e Marco Travaglio)
Dicono gli annali della politica che il primo a parlare di «inciucio» fu Massimo D’Alema. «Una cosa – disse a “Repubblica” – mi inquieta: l’inciucione, ma glielo racconto un’altra volta...» Era il 28 ottobre 1995, dieci anni fa. Poi, invece di raccontarlo, tentò di farlo. Con il governissimo Maccanico e poi con la Bicamerale. O forse – come ha rivelato nel 2002 in piena Camera Luciano Violante – l’aveva già fatto nel ’94 promettendo a Silvio Berlusconi di non toccargli quanto ha di più caro: le televisioni.

Nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia), alla voce «inciucio» si legge: «Nel linguaggio giornalistico, accordo informale fra forze politiche di ideologie contrapposte che mira alla spartizione del potere». Dieci anni dopo, in questo libro, raccontiamo gli inciuci che hanno portato alla spartizione della televisione pubblica da parte dei partiti di destra e di sinistra, e all’occupazione militare di quella privata da parte di un signore che, per inciso, è anche capo del governo. Con tanti saluti alla libertà d’informazione, alla libera concorrenza, alla separazione dei poteri.

Quante volte ci siamo domandati: ma come ha potuto Silvio Berlusconi arrivare dove sappiamo? Lui dice che si è fatto da solo, ma pecca di ingratitudine verso i tanti che gli han dato una mano. Certo, la loggia P2. Certo, i suoi misteriosi finanziatori degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Certo, Bettino Craxi e tutto il Caf. Ma tutto questo è finito nel 1993. E poi? Negli ultimi dodici anni, dopo la «discesa in campo», il Cavaliere ha governato 7 mesi la prima volta e 54 la seconda. Cinque anni e poco più. In mezzo, per sei anni e poco più, ha governato il centrosinistra. E proprio in quei sei anni Silvio Berlusconi, dato politicamente per morto, ha risolto brillantemente tutti i suoi problemi finanziari, riservandosi di sistemare quelli giudiziari nel suo secondo governo.

Missione compiuta.
Secondo Bill Emmott, direttore di un settimanale non proprio sovversivo come l’«Economist», «Berlusconi è una creatura dell’opposizione». E, aggiungiamo noi, viceversa. In questo libro, che è il seguito naturale di Regime, raccontiamo che cosa è accaduto nell’ultimo decennio: da quando quel cadavere politico fu rianimato dai suoi sedicenti oppositori con respirazioni bocca a bocca, promosso padre costituente, beneficiato prima con provvidenziali «distrazioni» che gli consentirono di quotare in Borsa i suoi debiti, poi con leggi su misura (vedi alla voce Maccanico) e leggi insabbiate (vedi alla voce conflitto d’interessi) che salvarono il suo monopolio dichiarato incostituzionale dalla Consulta fin dal ’94. Lo facciamo mettendo in fila i fatti, con qualche retroscena e documento inedito. Per esempio i rapporti dei «Comitati corporate» del Biscione, cioè delle riunioni del 1993 a Milano2 in cui Berlusconi e i suoi boys pianificavano l’occupazione della Rai per salvare la Fininvest. Per esempio i carteggi segreti degli emissari in Italia delle major americane, che informavano allibiti i big boss di Hollywood di quanto stava accadendo con il duopolio che diventava monopolio.

Raccontiamo come la rinata partitocrazia di destra e di sinistra s’è mangiata la televisione «pubblica» (per non parlare delle Authority) con un inciucione bipartisan che ha la faccia di Claudio Petruccioli, il presidente diessino della Rai scelto dal padrone di Mediaset. Raccontiamo le nuove censure del regime che declina, sempre più patetiche e disperate: le ultime (si spera) raffiche dei gerarchi in fuga contro Enzo Biagi, Michele Santoro, Massimo Fini, Oliviero Beha, Report di Milena Gabanelli, Carlo Freccero, i ragazzi di XII Round, Daniele Luttazzi, Corrado e Sabina Guzzanti, Beppe Grillo, Paolo Rossi, Dario Fo, Paolo Hendel, Monica Guerritore, Adriano Celentano e i tanti militi ignoti della fu informazione. Raccontiamo le nuove gesta del Tg1-Pravda di Clemente J. Mimun e degli altri Cinegiornali Luce anni 2000. Raccontiamo vita e miracoli degli Inciucio Boys, gli eterni galleggianti che piacciono a tutti perché servono a tutti, anzi servono tutti: i Vespa di destra, i Vespa di sinistra, i Vespa contemporaneamente di destra e di sinistra, buoni per tutte le stagioni. E dunque, oltre al capostipite di Porta a Porta, Enrico Mentana, Giovanni Floris, Barbara Palombelli, Klaus Davi, Lucia Annunziata e il forzista dalemiano Agostino Saccà con l’amico del cuore Claudio Velardi.

Raccontiamo i talk show ridotti a salotti di chiacchiere fra politici e soubrettes, con il semiconduttore di turno che dirige il traffico delle opinioni e garantisce l’assenza di notizie e fatti. Raccontiamo infine gli assalti a due giornali politicamente lontani mille miglia, ma ancora faticosamente liberi: la cacciata di Furio Colombo dall’«Unità», reclamata a gran voce da Berlusconi e prontamente concessa dalla Quercia; e la scalata al «Corriere della Sera» tentata dai «furbetti del quartierino» ben appoggiati dalla finanza berlusconiana, dalla finanza fazista e dalla finanza rossa, e fortunatamente fallita grazie alla Procura di Milano.

Ogni notizia, affermazione, citazione contenuta nel libro è accompagnata da una nota che ne indica la fonte. Sui fatti, dunque, chiediamo di essere giudicati ed eventualmente smentiti. Non su categorie dello spirito come «demonizzazione», «girotondismo », «riformismo», «radicalismo», che francamente sfuggono a noi umili cronisti. (....) È un libro contro Berlusconi e l’Unione? Un libro qualunquista che vuole dimostrare che, a destra come a sinistra, «sono tutti uguali»? No, non lo è. È un libro che racconta fatti (purtroppo) realmente accaduti. Con quali scopi? Soprattutto due. Primo: tentare di spiegare come mai nel 2004 e nel 2005 l’Italia è precipitata nella classifica di Freedom House (letteralmente «Casa della libertà», ma americana) sulla libertà d’informazione fra i paesi «parzialmente liberi»: prima al 74° e ora al 77° posto, fra la Bulgaria e la Mongolia. E perché negli ultimi anni il nostro Paese è stato ammonito, redarguito, condannato dall’Onu, dal Parlamento europeo, dal Consiglio d’Europa, dall’Osce e da Reporters sans frontierès?

(continua)


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