NEW del 11 novembre 2005

 
     

Le modifiche costituzionali e i diritti dei cittadini
di ANM

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L'ANM mette in evidenza anche i rischi derivanti dalle modifiche della Corte Costituzionale, che si e' autodefinita organo di "controllo costituzionale, di suprema garanzia dell'osservanza della Costituzione" e non un organo giudiziario ed ha stabilito che i principi supremi "non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali".

Un primo rischio e' costituto dal disequilibrio introdotto dalla variazione del numero dei giudici, oggi scelto per un terzo dai tre poteri, mentre le modifiche aumentano da cinque a sette i membri nominati dal Parlamento, mentre vengono ridotti a quattro sia quello dei membri nominati dal Presidente della Repubblica, sia quelli eletti dalle supreme magistrature.

Il secondo rischio e' il carico pesantissimo che si verra' a generare a causa dell'allargamento delle prerogative della Consulta al controllo della legislazione delle autonomie locali, Comuni e Province (oggi gia' le Regioni comportano un carico significativo), cioe' 8.000 nuovi soggetti generatori di pratiche che paralizzerebbero il lavoro della Corte.

3. Il ruolo della Corte costituzionale nel sistema vigente e nel progetto di revisione costituzionale.
Nel marzo del 1960, nell’ambito di un giudizio per conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Siciliana circa la soppressione da parte dello Stato dei servizi ferroviari sulla linea Agrigento-Licata, la Corte costituzionale affrontò ex professo la questione del suo ruolo e della sua collocazione nell’ambito dell’ordinamento (sent. n. 13/1960). In quella occasione la Corte affermò che essa “esercita essenzialmente una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni”; sicché la sua decisione, “concernendo la norma in sé, concorre non tanto alla interpretazione ed alla attuazione, quanto all’accertamento della validità delle norme dell’ordinamento”, cui è connessa la efficacia erga omnes della eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Sulla base di tali considerazioni la Corte negò di poter “essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano” in ragione delle profonde differenze tra il compito affidatole (senza precedenti nell’ordinamento italiano) e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali.

Tornando sull’argomento nella sentenza n. 65 del 1965, la Corte - nell’affermare che la gratuità del giudizio costituzionale è principio connaturato al sistema della giustizia costituzionale - ribadì che l’interesse tutelato dalla giurisdizione costituzionale è quello “obiettivo” e “generale” di eliminare dall’ordinamento atti contrari a norme costituzionali (di modo che “il giudizio di legittimità costituzionale, pur ammettendo la partecipazione di parti private, si svolge al di sopra dei loro interessi, non consente ostacoli, anche lievi o indiretti, al proprio svolgimento”, gli è “naturalmente estraneo ogni concetto di soccombenza” e non tollera che siano colpiti da remore o oneri pecuniari “proprio coloro che collaborano a tale funzione” di difesa dell’ordinamento costituzionale). In altri termini la Corte, nei rapporti con gli altri poteri costituzionali, si pone quale organo costituzionale (non il solo) al quale è affidata la funzione suprema di difesa della legalità costituzionale, o meglio, dell’ordinamento costituzionale.

3.1. La funzione di difesa dell’ordinamento costituzionale svolta dalla Corte costituzionale è stata ulteriormente sottolineata e valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale sui principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Non è questa la sede per percorrere lo sviluppo delle numerosissime decisioni con le quali la Corte ha, di volta in volta, riconosciuto un principio supremo, descrivendone al contempo il contenuto essenziale caratterizzante (solo a titolo esemplificativo v. sent. nn. 98 del 1965, 30-31-32 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 183 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982, 232 del 1989, 170 del 1984, 168 del 1991, ordinanza n. 536 del 1995); è utile, invece, soffermarsi sulle conseguenze che la Corte ha tratto dalla ritenuta sussistenza dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale.

In primo luogo la Corte ha riservato ai principi supremi “una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale”, ritenendo sindacabili, ad esempio, sotto questo profilo, sia le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare “copertura costituzionale” apprestata dall’art. 7 Cost., sia la legge di esecuzione del Trattato della CEE. In secondo luogo - in occasione di un giudizio incidentale di legittimità costituzionale riguardante lo Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige - la Corte non solo ha ribadito la superiorità e, quindi, la prevalenza dei principi supremi sulle leggi di revisione costituzionale e sulle altre leggi costituzionali ma ha anche indicato i rimedi contro la sua eventuale violazione.

Con la sentenza n. 1146 del 1988, rigettando l’eccezione di insindacabilità delle disposizioni aventi valore di legge costituzionale, quanto meno per vizi sostanziali, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, la Corte ha stabilito che i principi supremi “ non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali”; ha precisato che hanno natura di principi supremi “tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione Italiana”; ha conseguentemente asserito che è la Corte “competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei confronti dei principi supremi dell’ordinamento dello Stato, giacché, “se così non fosse…si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore”.

3.2. La giustizia costituzionale italiana, grazie alla Corte costituzionale, si è in tal modo insediata a pieno titolo nell’alveo del costituzionalismo moderno, tipico degli Stati costituzionali di democrazia pluralistica e caratterizzato dal principio basilare della limitazione del potere, per la realizzazione del quale, nell’antitesi “fra potere e razionalità della legge”, la giustizia costituzionale costituisce, per l’appunto, uno degli strumenti più efficaci, essendo preposta a svolgere la funzione “di custode ed interprete dei limiti giuridici posti dalla Costituzione”. Dalla celebre sentenza Marbury versus Madison del 1803, con la quale la Corte Suprema degli Stati Uniti, sviluppando peraltro quanto già asserito dal Federalist n. 78, affermò il principio della costituzione come legge suprema, la negazione del quale “… sovvertirebbe il vero fondamento di tutte le costituzioni scritte” e “darebbe in pratica al legislatore una vera e propria onnipotenza”; attraverso Kelsen, il quale osservava che “una costituzione cui manchi la garanzia dell’annullamento degli atti incostituzionali non è, in senso tecnico, completamente obbligatoria”, ad oggi, la storia del costituzionalismo moderno ed i compiti della giustizia costituzionale affidati alle Corti costituzionali ruotano attorno ad un filo conduttore comune, quello, come si esprime P. Haberle “di arginare e controllare il potere allo stesso modo in cui anche la Costituzione intera rappresenta un limite al potere”.

Sicché, come ha incisivamente osservato L. Elia, ricordando il pensiero espresso nel 1945 dall’illustre costituente Egidio Tosato, e richiamando altresì una famosa decisione della Corte costituzionale francese del 23 agosto 1985, la giustizia costituzionale costituisce “vero e proprio remedium omnipotentiae e delle tentazioni di onnipotenza” e “la loi votée n’exprime la volonté générale que dans le respect de la Constitution”. Il che corrisponde all’orientamento della Corte costituzionale seguito con la citata sentenza n. 1146, dalla quale promana il dato positivo, e non più solo teorico, che la Corte, lungi dal rivendicare una posizione di superiorità rispetto al legislatore, si configura essa stessa, rinvenendo in ciò la propria legittimazione, come strumento della Costituzione, la quale se ne serve per riaffermare la primazia del potere costituente sul potere derivato del legislatore.

Dunque, nelle moderne democrazie pluralistiche, come bene è stato sottolineato in dottrina (G. Azzariti), “le Corti costituzionali si propongono e si affermano come garanti dell’unità dell’ordinamento costituzionale…. : della unitaria ed unica legalità costituzionale”. Di qui il difficile compito della Corte di preservare - attraverso una complessa e sapiente opera di bilanciamento di principi e valori - la “unitaria ed unica legalità costituzionale” dal rischio di derive disgregatrici. Di qui, e a maggior ragione, la suprema esigenza di salvaguardare, anzi rafforzare, quale irrinunciabile fattore di integrazione e di equilibrio, l’estraneità e l’indipendenza della Corte costituzionale, quale custode del pactum societatis, dalle logiche della conflittualità politica, e dal senso di appartenenza e di schieramento tipici di questa.

3..3. La Corte costituzionale, grazie alla sua attuale composizione paritaria fra il numero dei giudici nominati dal Presidente della Repubblica, il numero dei giudici nominati dal Parlamento in seduta comune e quello nominato dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative, ha saputo garantire, non senza ricorrenti difficoltà, ma con saggezza ed autorevolezza un equilibrio fra “ragioni alte” della politica e “ragioni alte” della giurisdizione costituzionale, consentendo alla sua giurisprudenza di assurgere nello scenario europeo e mondiale a “punto di riferimento per tutte le riflessioni di giustizia costituzionale”. Il recente di progetto di revisione costituzionale approvato in Parlamento in prima lettura, apparentemente tocca solo marginalmente la Corte costituzionale; in realtà introduce innovazioni che potrebbero incidere, alterandoli profondamente, sulla sua natura e sul suo funzionamento.

Il nuovo art. 135, invero, aumenta da cinque a sette il numero dei giudici nominati dal Parlamento, dei quali tre vengono eletti dalla Camera e quattro dal Senato (viene soppressa l’esigenza della seduta comune del Parlamento); parallelamente riduce a quattro sia il numero dei giudici nominati dal Presidente della Repubblica, sia quello eletto dalle supreme magistrature. Contemporaneamente, con il nuovo testo dell’art. 128 si amplia enormemente la competenza della Corte, aprendo la strada al contenzioso delle autonomie locali (Province, Comuni e città metropolitane). Si immettono, così, nel circuito della giustizia costituzionale oltre ottomila nuovi soggetti che verrebbero ad incrementare in modo vertiginoso il cospicuo contenzioso di cui la Corte già oggi è chiamata ad occuparsi con riguardo alle sole Regioni. Se si ha presente che tali modifiche si inseriscono nel contesto di una democrazia maggioritaria (e che il connotato maggioritario del sistema elettorale non verrebbe alterato dalla legge elettorale in corso di approvazione che prevede un premio di maggioranza per la coalizione vincente) si deve constatare che le modifiche proposte potrebbero avere ripercussioni molto profonde sull’assetto della Corte. Con l’aumento della componente eletta dal Parlamento si accentua seriamente il rischio che la Corte, come qualsiasi altro organo di garanzia, diventi Corte della maggioranza politica del momento.

Ad avvalorare questa prospettiva concorre altresì il mutamento del ruolo del Presidente della Repubblica, il quale, alla luce del novellato art. 83, potrebbe non configurarsi più come l’espressione della maggioranza delle forze politiche rappresentate in Parlamento, bensì, assai più riduttivamente (per effetto del principio maggioritario che caratterizza il sistema elettorale), anch’esso organo della maggioranza politica del momento (dopo il quinto scrutinio è sufficiente per la sua elezione la maggioranza assoluta dei componenti l’Assemblea della Repubblica), perdendo così il connotato istituzionale di garanzia e di neutralità. Le nomine dei quattro giudici costituzionali riservate al Presidente della Repubblica, di conseguenza, non si sottrarrebbero al timore di essere il frutto di scelte operate in prevalente, se non esclusivo, gradimento della maggioranza. Sulla estensione delle competenze della Corte al contenzioso delle autonomie locali è sufficiente ricordare, poi, quanto ebbe ad osservare nel 1997 l’allora Presidente della Corte costituzionale Granata in relazione ad analoga innovazione contenuta nel progetto proposto dalla Commissione bicamerale: “la sopravvenienza alluvionale di controversie che con le nuove competenze – è prevedibile, anzi certo - si scaricherebbe sulla Corte, con un devastante moltiplicatore complessivo di dimensioni praticamente incalcolabili”.

Ora, come è noto, il sistema di nomina delineato dall’art. 135 Cost. (nel testo vigente) è il risultato di un equilibrio delicato, diretto ad armonizzare fra loro esigenze diverse: assicurare l’imparzialità e l’indipendenza dei giudici; garantire un livello di competenza tecnico-giuridica di eccellenza; portare nella Corte esperienze, culture e sensibilità diverse, in sintonia con quelle presenti nelle istituzioni politiche e nella società civile. E fino ad oggi, come si è osservato, tale fragilissimo equilibrio la Corte ha saputo efficacemente assicurare. Per contro, il numero preponderante dei giudici costituzionali di nomina parlamentare, non più eletti in seduta comune, e la possibile perdita del ruolo di garanzia e di neutralità del Capo dello Stato, potrebbero coinvolgere la Corte nella conflittualità politica, con l’effetto di ridurre la sua credibilità e di sminuire il suo irrinunciabile ruolo di garanzia.

Il contenzioso delle autonomie locali, a sua volta, aggiungendosi al già “preoccupante” livello del contenzioso delle Regioni (v. Camera dei deputati, rapporto 2004-2005 sullo stato della legislazione, 11 luglio 2005), non solo alimenterebbe il rischio della deriva politica della Corte, soffocata dalla risoluzione di innumerevoli questioni di scarso rilievo, ma, per il suo carattere invasivo, finirebbe per intasare e paralizzare la stessa efficienza qualitativa e quantitativa della Corte, minando irreparabilmente la centralità del giudizio incidentale (quello, per intenderci, che riguarda la tutela dei diritti e della legalità costituzionale). Senza escludere che un ulteriore, complicatissimo contenzioso “politico” potrebbe scaturire dal controverso, farraginoso e, per molti aspetti, scarsamente comprensibile art. 70 del progetto di revisione, disciplinante il rapporto fra Camera e Senato nel procedimento di formazione delle leggi. I rischi di alterazione del ruolo di garanzia della Corte, a loro volta, finirebbero inevitabilmente per scaricarsi, sia pure indirettamente, anche sulla Prima parte della Costituzione, formalmente rimasta invariata.

Una Corte costituzionale, non più “guardiana imparziale ed indipendente della legalità costituzionale”, non sarebbe, infatti, in grado di assicurare effettivamente la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e dei principi supremi, primi fra tutti quelli dell’uguaglianza e della tutela giurisdizionale. E’, perciò, auspicabile che la Corte attuale, mantenendo fede alla propria giurisprudenza, continui a ritenersi “competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei confronti dei principi supremi dell’ordinamento dello Stato” e continui ad esercitare tale irrinunciabile controllo per assicurare l’effettività del sistema delle garanzie giurisdizionali della Costituzione in relazione alle sue norme di più elevato valore.

Il sistema degli equilibri e delle garanzie costituzionali costituisce un patrimonio prezioso ed inestimabile, la cui compromissione equivarrebbe a cancellare due secoli di costituzionalismo.

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