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NEW del 22 ottobre
2005
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Le
modifiche costituzionali e i diritti dei cittadini Segue l'analisi effettuata dall'Associazione Nazionale Magistrati del progetto di revisione della seconda parte della Costituzione, con particolare accento sull'incidenza delle modifiche costituzionali sui diritti dei cittadini, sull’assetto della giustizia costituzionale e sul sistema di governo autonomo della magistratura (in grassetto le nostre note). Un primo rilievo riguarda il ruolo del Capo dello Stato nel CSM, che viene rafforzato. Tuttavia, rileva l'ANM, l'autonomia di questa figura dal potere politico rischia di essere fortemente condizionata, con le norme del maggioritario, dalla maggioranza parlamentare, per cui ridurre i bilanciamenti previsti precedentemente rischierebbe di minare l'autonomia del CSM e quindi della magistratura. 1. Premessa.
2. L’intervento
sul Consiglio Superiore della magistratura. 2.1. Nel sistema attuale l’attribuzione della presidenza del Consiglio superiore della magistratura al Capo dello Stato segna il punto di equilibrio tra due esigenze in qualche modo contrapposte: da un lato, quella di impedire pericolose interferenze del potere esecutivo nella vita dell’organo di autogoverno e, dall’altro, quella di evitare chiusure corporative dell’ordine giudiziario. Alla soluzione accolta in Costituzione si giunse per via di una mediazione tra proposte divergenti, l’una che mirava ad attribuire la presidenza del CSM al Ministro della giustizia, l’altra che invece riteneva più opportuno, in nome dell’autonomia del Consiglio superiore, che esso fosse presieduto da un magistrato, e specificamente dal primo presidente della Corte di cassazione. I pericoli, a cui sia l’una che l’altra delle proposte poi scartate avrebbero esposto la complessa architettura istituzionale, fecero propendere per l’attribuzione della presidenza al Capo dello Stato in quanto massimo organo di garanzia, espressione di un potere neutro. Non furono però del tutto accantonate le due proposte radicali, che ebbero in qualche modo un riconoscimento, sia con la previsione della partecipazione, quale membro di diritto, del primo presidente della Corte di cassazione, sia con l’attribuzione di competenze costituzionali concorrenti in materia di amministrazione della giustizia, o meglio dei servizi, al Ministro della giustizia. La soluzione adottata in Costituzione ha avuto il pregio di garantire il più alto grado di autonomia dell’organo consiliare mantenendo nel contempo aperto il suo collegamento con l’esterno. Le prerogative costituzionali del Csm ricevono tutela dalla presidenza del Capo dello Stato, che se ne fa garante non solo nei rapporti con gli altri poteri dello Stato, ma anche nei rapporti con l’ordine giudiziario, onde evitare influenze che ne possano compromettere l’imparzialità di azione (Corte cost., sent. n. 148 del 1983). Ed al contempo la presidenza del Capo dello Stato è di ostacolo a tentativi dello stesso Csm di interpretare la politicità della sua funzione in termini di legittimazione a prendere posizione nelle relazioni conflittuali tra le parti politiche. Ma, affinché tale tutela (che proviene dall’esterno del Consiglio) non si risolva in una perdita di autonomia dell’organo collegiale, sono stati predisposti opportuni meccanismi antagonisti. In questo contesto deve essere letta la previsione dell’elezione del vice presidente da parte dell’assemblea consiliare, efficace contrappeso alla obbligata individuazione del vice presidente all’interno della componente cd. laica, quindi estranea all’ordine giudiziario. La previsione di una vicepresidenza eletta dall’assemblea completa i contenuti di garanzia della presidenza del Capo dello Stato, perché attraverso essa si ha piena e chiara attestazione del massimo grado possibile di autonomia funzionale, in modo che non risulti in concreto un’eccessiva supremazia del capo dello Stato sul Csm. 2.2. Il fatto che la norma costituzionale sia frutto di una complessa mediazione rende chiaro che dalla sua modifica può derivare una significativa alterazione dell’equilibrio a suo tempo realizzato. Che poi la progettata modifica intenda comprimere l’autonomia del Csm è affermazione ancor più plausibile se solo si considera (pur senza trascurare l’intenso contenuto di garanzia dell’attribuzione della presidenza del Csm al Capo dello Stato) che già l’assetto attuale rappresenta un’anomalia rispetto all’ordinaria regola che vuole che la presidenza di un organo collegiale, peraltro di spiccata autonomia, sia espressa dall’interno dell’organo stesso. È stato scritto che la presidenza del Capo dello Stato ha una "natura ambigua" perché da essa promana un duplice rapporto con l’organo consiliare, ora di pura e semplice rappresentanza, ora di separatezza ed alterità. Il Capo dello Stato, nell’esercizio delle sue attribuzioni, ora agisce come presidente dell’organo, ora come soggetto distinto ed altro, a conferma dell’effettività del principio fondamentale per il quale l’unità dell’ordinamento è realizzata dalla partecipazione del Presidente della Repubblica ad ogni potere dello Stato, sia pure in modo non "ultimativo e determinante" (G. U. Rescigno). Con questa premessa sulla rilevante dimensione politica del ruolo del Capo dello Stato si giustifica la conclusione che la Costituzione, con la scelta sulla presidenza del Csm, "sposta la tradizionale influenza dell’esecutivo sulla magistratura dal Governo al Presidente della Repubblica". (ancora G. U. Rescigno). Nel vigente sistema costituzionale l’elezione del vicepresidente da parte dell’assemblea plenaria del Csm significa l’instaurazione, anche se in modo implicito, di un rapporto fiduciario con un organo vicario, che non esaurisce i suoi compiti all’interno dei confini di un’ordinaria supplenza del presidente. Si deve infatti tener presente che per costante prassi costituzionale (in qualche modo necessitata dall’ampiezza dei poteri e dei compiti del Capo dello Stato) il vice presidente assume ordinariamente i compiti di presidenza dell’organo, a prescindere da fatti occasionali e temporanei di impedimento o di assenza. Il vice presidente, ancora, compone, unitamente ai membri di diritto del Csm e non come delegato del Capo dello Stato ma iure proprio, il Comitato di presidenza, che è titolare di importanti poteri di promozione e di esecuzione dell’attività del Csm stesso. Il Comitato di presidenza è sì previsto e disciplinato da una legge ordinaria - la legge istitutiva del Csm - ma non va dimenticato il ricco dibattito sulla sua costituzionalità e sulla opportunità che la sua presidenza fosse attribuita al Capo dello Stato, in ragione della rilevanza, addirittura decisiva, delle sue deliberazioni (Santosuosso). L’iniziativa della revisione costituzionale vuole allora spezzare il collegamento fiduciario del vice presidente con l’assemblea, irrobustendone di contro il legame con il Presidente della Repubblica, che si esprime ordinariamente, in termini di fisiologica intensità, con il conferimento della delega per l’esercizio stabile e continuativo di alcune funzioni. Alla compressione dell’autonomia del Csm si accompagna, nel disegno di revisione, lo svilimento della figura del vice presidente, che, allontanato dall’assemblea plenaria, è destinato a veder limitato il suo ruolo all’interno del rapporto di delega con il Capo dello Stato, a vedere dunque potenziati i compiti di esercizio di un potere altrui, con inevitabile depauperamento del ruolo di mediazione e moderazione autorevole del dialogo, ed a volte dello scontro, tra le componenti del Csm. Ruolo questo che non si addice al Capo dello Stato, per la neutralità che ne connota la funzione, e di cui però si avverte la necessità per un’ordinata vita del dibattito consiliare e per preservare integre le attribuzioni del presidente della Repubblica quale organo esterno al Csm. Soltanto l’instaurazione di un rapporto fiduciario, attraverso il meccanismo di designazione elettorale, può dare legittimazione all’esercizio di un così difficile compito. Non va poi trascurato che il rafforzamento del ruolo del presidente della Repubblica in relazione di alterità rispetto al Csm va di pari passo con l’indebolimento da tutti denunciato del ruolo del presidente nei confronti del Governo. A fronte di una consistente erosione di poteri e funzioni presidenziali in nome di un premierato che mette duramente alla prova la tenuta stessa del concetto di costituzionalismo, nei rapporti con il Csm, e per esso con la Magistratura, il Capo dello Stato vede affermata una posizione di prevalenza che per l’autonomia e l’indipendenza costituisce non tanto uno strumento di salvaguardia ma un fattore di rischio. Come è stato osservato (Carlassare), il mantenimento, dopo il quarto scrutinio, del criterio della maggioranza assoluta per l’elezione del Capo dello Stato è un dato di destabilizzazione in un contesto politico – elettorale incentrato sul sistema maggioritario senza che si sia posto mano ad una seria revisione del sistema per l’individuazione di limiti e freni allo strapotere della maggioranza. In questo scenario non si può ragionevolmente contare sull’elezione di un Capo dello Stato veramente indipendente dalla maggioranza di governo, e si fa pressante il pericolo che veda scolorire la neutralità della funzione e non sia più nelle condizioni politiche per esprimere, nella concretezza della vita istituzionale, il sapiente raccordo, a fini di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, tra la dimensione di componente interno al Csm e di organo esterno ad esso. Di tanto, il progetto di attribuirgli la designazione del vice presidente è più che un serio allarme.
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