NOTIZIARIO del 26 novembre 2004

 
     

Magistrati e avvocati : le ragioni del dissenso
di Carlo Dore jr.

Nella giornata di mercoledì, tanto gli avvocati penalisti quanto i magistrati hanno, seppur in ragione di motivazioni praticamente antitetiche, manifestato attraverso l'astensione dalle udienze il loro comune dissenso verso il disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario di prossima approvazione.

I punti della riforma su cui si incentrano le varie critiche delle suddette categorie di operatori della giustizia possono essere individuati nella configurazione dell'accesso alle funzioni di giudice e di P.M., nell'introduzione di un complicato sistema di concorsi per regolare la progressione dei magistrati verso le posizioni di maggiore prestigio e responsabilità, nella previsione (in evidente ossequio al teorema berlusconiano dell'intrinseca follia delle Toghe) di test psico-attitudinali per accedere alla magistratura.

In presenza di una disposizione che prevede un unico concorso utile per intraprendere tanto la carriera di giudice quanto quella di P.M. (fermo restando l'obbligo per i candidati di indicare quale funzione intendono svolgere e fatta salva la possibilità di modificare, a determinate condizioni, il contenuto di tale scelta nel termine di cinque anni dal superamento del concorso), gli avvocati rilevano che una simile misura non esclude comunque l'esistenza di quelle strette relazioni tra giudici e magistrati preposti a svolgere la funzione requirente da cui può derivare un'alterazione dell'equilibrio del processo.

Individuandosi l'origine di tali relazioni nella possibilità che un soggetto attualmente investito della funzione giudicante abbia in passato svolto la sua attività presso un ufficio del P.M. , essi individuano nella separazione delle carriere lo strumento utile per assicurare l'attuazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. In verità, un simile progetto costituisce un'ulteriore esasperazione della ratio che caratterizza la sopra citata norma del ddl di riforma, già peraltro oggetto dei primi dubbi di costituzionalità sollevati dall'ANM.

Infatti, la netta distinzione, delineata dalla riforma, della posizione dei soggetti destinati a ricoprire la funzione di giudice da quella di quanti scelgono di assumere la qualifica di P.M. sembra collidere apertamente con il dettato dell'art. 104 Cost. che assicura l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.

Assecondando la tendenza già manifestata attraverso l'approvazione di alcune delle ben note leggi in tema di giustizia che hanno caratterizzato la presente legislatura, siffatto disegno mira infatti a sottoporre i PM al giogo dell'Esecutivo, attribuendo così al potere politico un arma di indubbia efficacia per paralizzare rapidamente quelle indagini ritenute "non funzionali" al perseguimento degli obiettivi (virtuali e reali) propri del Governo.

Ma una profonda lesione degli appena richiamati principi di autonomia ed indipendenza può derivare anche dall'introduzione, in luogo dell'attuale criterio dell'anzianità di servizio, del sistema di concorsi utile a scandire la progressione della carriera dei magistrati, sistema accolto con favore dai penalisti in quanto utile a riservare agli elementi "più meritevoli" l'accesso alle posizioni di maggiore responsabilità.

Premesso infatti che la sola preparazione teorica non può costituire l'esclusivo parametro per valutare la competenza e la professionalità di un magistrato, un sistema così congegnato potrebbe in astratto facilitare l'esclusione dei soggetti non contigui ai centri di potere (ed in questo senso qualificabili come "non meritevoli") dall'assegnazione delle funzioni più prestigiose e gratificanti.

In altre parole, il sistema delineato dalla riforma sembra perfettamente idoneo ad asservire la magistratura ai contingenti voleri delle forze politiche di maggioranza.

Speciale Giustizia


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