NOTIZIARIO del 19 ottobre 2004

 
     

Berlusconi e Pecorella : niente appello per le vittime
di Rita Guma

Mentre procede a grandi passi la riforma dell'ordinamento giudiziario voluta dal governo, prosegue in sordina anche un altro progetto di legge voluto dal premier, quello per l'abolizione dell'appello in caso di assoluzione. Il progetto di legge - firmatario l'on. Gaetano Pecorella, avvocato di Silvio Berlusconi e presidente della Commissione Giustizia della Camera - e' stato presentato il 13 gennaio 2004 ed e' ora al vaglio della Commissione stessa.

Il presentatore, nella sua relazione, si appella al Protocollo n.7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali -, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984 e recepito nella legislazione italiana - che stabilisce come "chiunque venga dichiarato colpevole di una infrazione penale da un tribunale ha il diritto di sottoporre ad un tribunale della giurisdizione superiore la dichiarazione di colpa o la condanna". Tuttavia il firmatario del pdl con una circonvoluzione fa divenire quello che e' un diritto dell'imputato, la negazione di un diritto per la societa', di cui il PM e' rappresentante in giudizio.

Infatti in Italia il pubblico ministero non e' affatto la "pubblica accusa" come spesso si sostiene per conferirgli una connotazione negativa e persecutoria, ma il rappresentante degli interessi della collettivita' nei confronti dell'accusato. Infatti egli puo' anche chiedere, e spesso lo fa, l'archiviazione del procedimento prima del processo, o l'assoluzione prima della sentenza, qualora si convinca dell'insussistenza di prove o della non colpevolezza dell'accusato in base alle indagini effettuate o all'andamento processuale.

Secondo il ragionamento a sostegno del pdl, il protocollo della Convenzione "allo stato e' reso vano dal vigente codice di procedura penale nella parte in cui, prevedendo che possa essere impugnata la sentenza di primo grado di proscioglimento dell’imputato da parte del pubblico ministero, in caso di sentenza di condanna... non concede la possibilita' di ottenere un secondo grado di giudizio nel merito in favore del condannato, che ne avrebbe diritto in forza del principio esposto". Ma la Convenzione non parla di rifare il processo, bensi' di sottoporre la condanna, il che avviene, ad es. in Cassazione o presso i vari tribunali superiori europei.

Altrimenti non si finirebbe piu' la trafila, potendo il condannato chiedere sempre un ulteriore appello, in contrasto con l'altro principio invocato dal proponente, e cio'e quello della ragionevole durata del processo, stabilita dalla Costituzione e ribadita con il cosiddetto "Giusto processo". Potremmo poi rigirare il discorso, e considerare come a volte, in mancanza di prove adeguate, sia la societa' ad essere condannata a scontare la pena, pur se non la reclusione, ma - a seconda dei casi, in termini di ingiustizia per le vittime, di ordine pubblico o di possibile reiterazione del reato - soprattutto grazie ai patteggiamenti, voluti sempre dalla Casa delle Liberta'.

La questione e' stata gia' dibattuta, anche se sotto altri profili, in Commissione Giustizia della Camera. Vari dubbi di costituzionalita' con volonta' di approfondimento presso Costituzionalisti sono stati espressi da sinistra (Pisapia, DS) e da destra (Anedda, AN). Ma Pecorella ha affermato di non ritenere "necessario procedere alle audizioni di costituzionalisti. Pur ritenendo opportuno procedere preliminarmente all'elaborazione di un testo che tenga conto delle proposte emendative volte a miglioralo". Tuttavia ha accettato di sentire "i rappresentanti dell'Associazione Nazionale Magistrati, dell'Unione Camere Penali, del Consiglio Nazionale Forense, dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura e dell'Associazione Italiana Giovani Avvocati" prima di passare all'esame degli emendamenti.

Vi e' attualmente la proposta di introdurre al posto del primo articolo, l'emendamento Fanfani, che recita "Il Pubblico Ministero non può appellare contro la sentenza di condanna, salvo che questa abbia modificato il titolo del reato, ovvero abbia applicato una pena per quantita' e specie non prevista dal codice, ovvero non abbia applicato pene accessorie o misure di sicurezza la cui applicazione sia obbligatoria per legge. Può sempre appellare la sentenza di condanna al fine di chiedere la assoluzione dell'imputato."

Inoltre, intelligentemente continua: "Il pubblico Ministero non puo' appellare contro le sentenze di assoluzione, salvo che l'appello riguardi:
a) la mancata assunzione di una prova decisiva per dimostrare la sussistenza del fatto e la sua commissione da parte dell'imputato, purché della prova sia stata fatta richiesta a norma degli articoli 493 e 495;
b) la sopravvenienza o la scoperta, dopo la sentenza, di nuove prove che sole o unite a quelle gia' valutate, siano assolutamente decisive per il giudizio sulla sussistenza del fatto o la sua commissione da parte dell'imputato;
c) la inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità o di inutilizzabilita'".

Tale testo garantirebbe le vittime del reato da errori giudiziari o false testimonianze, o altri incidenti che si frappongono fra il tribunale e l'accertamento della verita', che poi e' il fine ultimo del giudizio. Grazie anche ad altri emendamenti proposti, similari o diversi, ma piu' tecnicistici - fra cui "1. Contro la sentenza di non luogo a procedere possono proporre ricorso per Cassazione: a) il procuratore della Repubblica; b) l'imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso.
2. La persona offesa può proporre ricorso per Cassazione nei soli casi di nullità previsti dall'articolo 419, comma 7" - la legge verrebbe completamente riscritta.

Ma a questo punto non sarebbe piu' nell'interesse dell'imputato eccellente, Silvio Berlusconi, pronunciatosi pubblicamente a favore, e del suo avvocato, on. Gaetano Pecorella. Ricordiamo infatti che Berlusconi "scese in campo" dopo, e non prima, che egli stesso, i suoi familiari e le sue aziende erano state oggetto di indagine da parte della magistratura.

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