NOTIZIARIO del 05 agosto 2004

 
     

Immunità : se diventa impunità va cambiata
di Rita Guma

I limiti dell'immunita' diplomatica (e dell'immunita' in generale) sono tornati ad essere oggetto di polemica grazie al caso del quarantunenne diplomatico saudita accusato di violenza sessuale su una ragazzina britannica di 11 anni.

L'uso fatto in casi come questo di una protezione finalizzata a ben altri e piu' nobili scopi, ha sollevato un'ondata di indignazione, tanto che il Foreign Office ha fatto pressioni sul governo di Riyad perche' revochi l'immunita' al proprio rappresentante. I Sauditi insistono di star cooperando, ma non hanno ancora indicato quale azione potrebbero intraprendere.

Il processo per abuso sulla minore potrebbe quindi non essere celebrato in tempi brevi, e l'inchiesta della polizia resta congelata, anche perche' grazie all'immunita', il diplomatico non puo' essere interrogato.

Il principio dell'immunita' diplomatica - ovvero il proverbiale "ambasciator non porta pena" - venne formalizzato nel Congresso di Vienna sulle relazioni diplomatiche nel 1961. L'articolo 1 dice che "la persona di un agente diplomatico e' inviolabile. Egli non puo' essere sottoposto ad alcuna forma di arresto o detenzione".

Ogni anno l'immunita' diplomatica viene invocata per coprire, nella sola Gran Bretagna, una ventina di reati gravi, divenendo di fatto un passaporto di impunita'.

In alcuni casi il Paese di provenienza del diplomatico accetta di collaborare, come nel 2002, allorquando un funzionario diplomatico colombiano a Londra, Jairo Soto-Mendoza, fu accusato di aver colpito a morte un uomo che aveva attaccato suo figlio.

Il diplomatico e suo figlio narrarono l'accaduto alla polizia spontaneamente, ma non poterono essere interrogati ne' detenuti finche' la Colombia - dopo quattro mesi - revoco' l'immunita' diplomatica e Soto-Mendoza fu giudicato per omicidio in un Tribunale.

Un Paese che si trovi invece a subire il rifiuto di revoca dell'immunita' non riesce a perseguire il colpevole, che puo' andare e venire in qualsiasi momento portando con se' i suoi effetti personali e magari nascondendo all'estero le prove del delitto.

Lo Stato ha allora altra scelta che dichiarare l'autore delle offese "persona non grata" ed espellerlo. Ma cio' viene fatto di rado, ed anche in quei casi non garantisce una giusta punizione, la prevenzione di futuri delitti ed un equo risarcimento alla vittima.

La carta dell'immunita' diplomatica e' stata anche spesso usata dagli ex dittatori (Pinochet, Saddam) per tentare di eludere i tribunali stranieri che li volevano perseguire, a volte non riuscendovi e comunque scatenando le critiche delle associazioni per i diritti umani che invocano l'invalidita' di questo istituto per chi si sia macchiato di crimini contro l'umanita', in base alla Convenzione contro la Tortura del 1948.

L'insieme di queste vicende ha convinto persino alcuni avvocati ipergarantisti che l'istituto dell'immunita' diplomatica vada modificato, sebbene essi mettano in guardia sulla delicatezza di un eventuale revisione dell'articolo in questione.

Ma lo stesso parlamento europeo - in una raccomandazione del 2001 relativa alla "schiavitu' domestica" praticata dai funzionari delle ambasciate - chiedeva che fosse modificata la convenzione di Vienna abolendo l'immunita' diplomatica per tutti gli atti relativi alla vita privata.

D'altra parte l'immunita' diplomatica non ha mai veramente garantito coloro che ne dovevano essere protetti laddove sarebbe stata applicata allo scopo per cui era stata creata: dittatori e "Stati forti" non si sono mai fatti scrupolo ne' di violare la Convenzione di Vienna ne' di calpestare quella di Ginevra.

by www.osservatoriosullalegalita.org

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