NOTIZIARIO del 2 settembre 2004

 
     

Custodia cautelare, corsi e ricorsi storici
di Demetrio Delfino*

Dopo il suicidio in carcere del Sindaco di Roccaraso, prima di esprimere la mia opinione sull'accaduto, ho preferito cercare di capire un poco meglio di comprendere cioè, per quanto possa essere possibile, non solo le ragioni personali di un gesto così estremo ma, anche, le cause istituzionali, se presenti, che direttamente o indirettamente, possano aver rappresentato una qualche concausa nell'evento.

Comunque, dinnanzi ad un suicidio di un uomo delle Istituzioni, maturo e con una cultura superiore oltre che con una buona esperienza politica, la prima sensazione che ritengo ogni persona sensata provi, sia quella di un profondo preliminare rispetto. Io vorrei però provare a fare una riflessione un po' più profonda di quelle che sono state fatte, nell'immediato, da vari editorialisti dei più significativi quotidiani e settimanali.

E' d'evidenza che nessuno ha la capacità di cogliere le vere ragioni personali che possano aver indotto il Sindaco di Roccaraso al suicidio ma, comunque, ritengo che un gesto del genere sia innanzitutto anche provocato da una profonda disperazione forse dettata dall'impossibilità di gestire una situazione che, a torto o a ragione, è diventata così grande e importante tale da non poter essere più amministrata in modo razionale e sereno.

Non credo sia giusto aggiungere altro a riguardo anche perché, i non pochi episodi simili già accaduti, hanno reso note non poche varianti comportamentali collegate ai fatti più diversi. Credo che invece si possa fare qualche riflessione in più in ordine a quelle che possono essere state le possibili cause istituzionali.

Una delle prime considerazioni che sono state fatte, afferiscono alla mancanza di idonee garanzie nell'applicazione della custodia cautelare in carcere in pratica, esemplificando e a meri fini divulgativi, i gravi indizi di colpevolezza ( vedi articoli 272 e seguenti c.p.p.) non sarebbero sufficienti, di per se soli, a giustificare il carcere in attesa del processo.

Superfluo e forse inappropriato sarebbe discutere intorno alle norme del codice di procedura penale che disciplinano le misure cautelari personali, che peraltro ritengo articolate con sufficiente analisi, anche perché una razionale disamina richiederebbe comunque una necessaria conoscenza tecnica.

Quello che però ritengo possa evidenziarsi è che il magistrato, nel disporre la misura, deve accertare se sussistono o meno i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati che possono quindi giustificare la misura e che, sempre la custodia in carcere, viene disposta in mancanza di un processo che può consentire all'interessato una completa difesa. Il problema, a questo punto, è comprendere se la misura in esame possa giustificarsi anche in mancanza di un processo.

Probabilmente sì, e dico sì perché comunque non si comprende allora come sia possibile evitare che un reato di una certa rilevanza possa proseguire i suoi devastanti effetti se il suo presunto autore è nella possibilità di reiterare la sua condotta criminosa. Mi pare che su questo punto dubbi non possano esserci: un soggetto che si ritiene comunque pericoloso per la collettività è necessario che sia momentaneamente messo nella condizione di non far del male, in tempi brevi si verificherà il reale fondamento delle accuse mosse tramite un idoneo processo.

E allora, mi viene da pensare che la cosa più complessa e difficile sia proprio quella di capire, fino in fondo, se effettivamente si possano ritenere presenti quei gravi indizi che possono giustificare tale misura: è d'evidenza l'assoluta delicatezza della valutazione del magistrato.

Tempo fa, fui criticato, ritengo senza alcun motivo, su una considerazione che adesso vorrei riproporre e cioè che l'unica garanzia di legalità in casi del genere, sia solo una e cioè, quella del dubbio. E dico dubbio perché ritengo che la linea guida, per il magistrato procedente, debba essere quella della continua e affannosa ricerca della verità per evitare qualsiasi superficialità e per fare in modo che la sua valutazione possa essere non solo ponderata ma, altresì, cosa che ritengo determinante, profonda e giuridicamente supportata.

Lo stimolo per cercare di percorrere un giusta strada nelle valutazioni più difficili non può che essere, a mio avviso, quello di dubitare e quindi di ricercare continuamente prima di prendere una decisione, il non mettersi in discussione, significherebbe solo ritenere, con grave presunzione, di voler superare l'abisso della naturale constatazione che in ogni caso, la giustizia umana non può che essere imperfetta e come tale può non essere giusta.

La conclusione di questa seconda riflessione, a mio parere, non può che essere una: non è solo un problema di trovare la legge più giusta e più appropriata al problema ma, soprattutto, il problema di fondo è quello di trovare uomini giusti e, soprattutto, uomini profondamente responsabili.

La terza riflessione che vorrei fare, afferisce al possibile proseguo di quelle condotte delittuose che hanno caratterizzato la vita politica italiana di oltre dieci anni fa e cioè, a quella corruzione e concussione che ha provocato, nell'immediato, stupore e sdegno nell'animo degli Italiani. Tangentopoli prosegue, è stato detto, quello che ha fatto il pool di mani pulite, in fondo, non è servito a niente! Prescindendo dal singolo episodio in esame, io credo che non sia proprio così o, perlomeno, l'affermazione non possa che essere incompleta.

La corruzione, si sa, è un problema vecchissimo, già l'Impero Romano era affetto da questa gravissima malattia la quale ha rappresentato una delle cause della sua disgregazione. Malgrado ciò, già nell'antica Roma ci furono imperatori e funzionari probi e già nell'antica Roma, in alcuni periodi, si cercò di arginare questo problema. Il fenomeno proseguì a fasi alterne fino ai giorni nostri, fino a quando, con grande meraviglia, gli Italiani si accorsero che non pochi nostri rappresentanti erano corrotti.

Il pool rappresentò una sorta di deus ex macchina comparso, come in una tragedia greca, per risolvere il problema ma, purtroppo, come avveniva già nell'antica Grecia, lo stesso pool era destinato, una volta arginato il problema, a sfaldarsi. E' d'evidenza che il fenomeno si sarebbe ripresentato un'altra volta soprattutto se, come avvenuto nella nostra Repubblica, tutti i buoni propositi per risolvere il problema sono svaniti nel nulla.

E allora quale potrebbe essere la conclusione di questa riflessione? Io credo solo una: anche in questo caso ci auguriamo di cuore di avere o gli stessi o altri uomini che possano avere la giusta forza e la giusta determinazione per affrontare nuovamente questa gravissima malattia, il tutto, dipende anche da noi: la scelta più importante, in queste situazioni, è solo una scelta di uomini.

* avvocato, componente del comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio Onlus

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