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La sentenza della Corte dei Conti
che condanna sindaco Rutelli e assessori

CORTE DEI CONTI,Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio - Sent. n. 1545/2000/R RP, 19/11/01 - BISOGNO Presidente, DI FORTUNATO Consigliere, e LIBRANDI Consigliere relatore /c. Rutelli Francesco e altri.

SENTENZA nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 51683/R del registro di Segreteria, promosso ad istanza del Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio nei confronti di:

1.- RUTELLI Francesco, nato a Roma il 14 giugno 1954 ed ivi residente in Viale dell'Umanesimo n. 77, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Borghese n. 3 presso lo studio legale dell'avv. Giuseppe Guarino;

(omissis)

FATTO

Con atto di citazione del 12 marzo 1999, il Procuratore Regionale della Corte dei Conti presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio in Roma, ha convenuto in giudizio, davanti a questa Sezione giurisdizionale i signori: 1) RUTELLI Francesco, Sindaco del Comune di Roma; 2) TOCCI Walter, assessore alle politiche della mobilità e della Polizia Municipale del Comune di Roma; 3) LANZILLOTTA Linda, assessore alle politiche finanziarie del bilancio e delle risorse del Comune di Roma; 4) MONTINO Esterino, assessore alle politiche dei lavori pubblici e manutenzione urbana del Comune di Roma; 5) CECCHINI Domenico, assessore alle politiche del territorio del Comune di Roma; 6) LUSETTI Renzo, assessore alle politiche del personale e della qualità organizzativa dei servizi del Comune di Roma; 7) DEL FATTORE Sandro, assessore alle politiche dei servizi informativi e tecnologici del Comune di Roma; 8) DE PETRIS Loredana, assessore alle politiche della qualità ambientale del Comune di Roma; 9) CARDUCCI ARTENISIO Francesco, assessore alle politiche del turismo e grandi eventi del Comune di Roma; 10) PIVA Amedeo, assessore alle politiche sociali e dei servizi della persona del Comune di Roma; 11) BORGNA Giovanni, assessore alle politiche della cultura del Comune di Roma; 12) SANDULLI Piero, assessore alle politiche dei servizi informativi e tecnologici del Comune di Roma; 13) FARINELLI Fiorella, assessore alle politiche educative e dell'infanzia del Comune di Roma; 14) MINELLI Claudio, assessore alle politiche economiche e delle attività produttive del Comune di Roma; 15) BARRERA Pietro, dirigente superiore, capo di gabinetto del sindaco del Comune di Roma; 16) GAGLIANI CAPUTO Vincenzo, Segretario generale del Comune di Roma; 17) BIOLCHI Stefania, dirigente, responsabile del servizio del Comune di Roma; 18) LORENZETTI Fortunato, dirigente, responsabile del servizio del Comune di Roma; 19) FENU Alberto, dirigente superiore, responsabile del servizio del Comune di Roma, per sentirli condannare al pagamento a favore dell'Erario - beneficiario il Comune di Roma - della somma complessiva di lire 2.238.664.265 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese giudiziali. In particolare parte attrice, in relazione ad ogni singola fattispecie di danno erariale ed in proporzione ai rispettivi apporti causali - dopo aver ripartito la somma in questione in quote uguali - ha chiesto la condanna dei seguenti convenuti per gli importi appresso indicati:

(omissis)

La chiamata in giudizio dei convenuti trae origine da un esposto-denuncia pervenuto alla Procura Regionale il 27 ottobre 1995 e trasmesso dai consiglieri comunali di Roma Antonio Alibrandi e Teodoro Bontempo che segnalavano la particolare situazione creatasi nell'ambito dell'Amministrazione in ordine alla copertura di posti dirigenziali ed all'affidamento di incarichi professionali a collaboratori esterni. A sostegno della propria domanda la Procura Regionale ha riferito l'esito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza- Centro Repressione Frodi, contenute in due dettagliate informative nn. 3.106 e 16.724 rispettivamente in data 21 febbraio 1997 e 2 dicembre 1997. In particolare con l'informativa n. 16.724 del 2 dicembre 1997, la Guardia di Finanza ha illustrato tutte le consulenze esterne conferite nel triennio 1994-1995-1996 al fine di coadiuvare l'attività dei vari "assessori" del Comune di Roma. Quest'ultima informativa è corredata di ben sette raccoglitori contenenti le delibere e le ordinanze di nomina ed il rinnovo dei vari consulenti, le parcelle ed i mandati di pagamento nonché i curricula dei consulenti in questione. Successivamente venivano acquisiti dalla stessa Guardia di Finanza i prospetti riassuntivi dei vari mandati di pagamento emessi per ciascun consulente, con l'indicazione della spesa effettivamente sostenuta per gli anni 1994-1995-1996. E' stato così accertato che in tale periodo il sindaco e gli assessori del Comune di Roma hanno conferito numerosi incarichi di consulenza, più volte prorogati, a professionisti esterni, per coadiuvare l'attività dei vari "assessorati".

I convenuti, ai quali è stato notificato invito a dedurre, hanno presentato memoria difensiva pervenuta alla Procura Regionale il 16 novembre 1998. In tale memoria veniva, tra l'altro, evidenziato che alla base della legge 8 giugno 1990, n. 142 e successive modificazioni vi è la netta separazione tra le funzioni di indirizzo e controllo politico che spettano agli organi di governo dell'ente locale e quelle di gestione amministrativa, tecnica e finanziaria attribuite ai dirigenti; - che tale separazione tra indirizzo politico ed attività di gestione comporta necessariamente che "gli organi di governo si dotino di un proprio supporto organizzativo, distinto dalle strutture dell'ente, di carattere squisitamente discrezionale e fiduciario". Per cui sarebbe illogico e limitativo negare la possibilità di chiamare a collaborare con il sindaco e gli assessori i collaboratori esterni. Del resto, hanno continuato i convenuti, lo stesso legislatore nel perfezionare il quadro normativo sulle amministrazioni locali, con l'articolo 6 della legge 15 maggio 1997 n. 127, ha sancito la possibilità di costituire uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco e degli assessori con contratti a tempo determinato. Nell'ambito dei cosiddetti "uffici di staff" del sindaco, della giunta comunale o degli assessori, le designazioni delle persone chiamate a collaborare con gli organi politici di governo, devono connotarsi per il preminente aspetto fiduciario e politico che le caratterizza. A tal riguardo la giunta comunale con deliberazione n. 1 del 4 gennaio 1994, ha fissato una vera e propria delibera "quadro" riguardante il conferimento degli incarichi nei suoi aspetti salienti. Successivamente, con memoria della giunta comunale del 29 luglio 1995, venivano nuovamente statuiti i "criteri e modalità di utilizzazione delle risorse professionali esterne nell'amministrazione comunale".

Gli incarichi professionali sono stati conferiti, ai sensi dell'art. 51, comma settimo, della legge n. 142/90 ai signori: (omissis)

Secondo l'assunto della Procura Regionale nel conferimento degli incarichi in questione è stata rilevata la genericità e l'indeterminatezza degli stessi; la loro eccessiva durata al punto da apparire quasi un sistema surrettizio per effettuare nuove assunzioni di personale; afferma, poi, parte attrice che non è possibile ipotizzare un livello qualitativo del personale dipendente dal Comune talmente scadente da richiedere una pressoché continua assistenza di esperti esterni; le altre censure riguardano l'assenza nei vari consulenti prescelti della specifica elevata professionalità ed esperienza nella materia oggetto della consulenza; la mancata considerazione del carattere di eccezionalità degli incarichi e della proroga degli stessi; il rilevante onere finanziario che ne è derivato per l'amministrazione; la mancanza di una puntuale esternazione dei motivi - che hanno indotto la giunta comunale ed il sindaco a ritenere insufficienti ed inidonee le strutture dell'ente per l'assolvimento dei medesimi compiti oggetto di consulenza, soprattutto quando gli stessi risultano analoghi a quelli svolti dagli uffici propri del Comune (cfr. ufficio comunicazione ed immagine, ufficio stampa, ufficio per i diritti dei cittadini, Avvocatura comunale, ecc.). A ciò ha aggiunto che solo a partire dal gennaio 1995 l'amministrazione comunale ha indicato, nel dispositivo delle ordinanze e delle delibere di conferimento, la clausola di stile con la quale si motiva la necessità di ricorrere alle consulenze "per esigenze straordinarie non sopperibili con il personale appartenente agli organici capitolini". Tutto questo, secondo l'assunto di parte attrice, induce ad affermare l'illiceità degli incarichi conferiti con addebitabilità ai convenuti dei conseguenti danni patrimoniali patiti dall'ente locale.

La loro responsabilità si configura chiaramente a titolo di colpa grave, atteso che i convenuti hanno agito, reiteratamente, con la consapevolezza dell'antidoverosità del loro comportamento elusivo nonché travalicando i limiti che regolano il ricorso a competenze professionali esterne, imposti dall'art. 51, 7° comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142, dalle delibere della giunta e dal regolamento comunale, limiti di cui i convenuti erano ben consapevoli. Per gli incarichi di consulenza affidati con delibere di giunta, la cennata responsabilità va affermata anche per gli amministratori comunali che parteciparono con espresso voto favorevole alle delibere di nomina dei suindicati consulenti. Sempre secondo le argomentazioni svolte dalla Procura Regionale la responsabilità si estende anche, ai sensi dell'art. 53, 1° e 3°comma, della legge 142/90 ai convenuti GAGLIANI CAPUTO, BARRERA, BIOLCHI, LORENZETTI e FENU che in qualità rispettivamente, il primo di Segretario Generale, gli altri di "responsabile del servizio", apposero alle delibere menzionate i pareri di legittimità e di regolarità tecnico-amministrativa.

I convenuti hanno presentato memoria difensiva (Rutelli, Tocci, Lanzillotta, Montino, Cecchini, Lusetti, Del Fattore, De Petris, Carducci Artenisio, Piva, Borgna, Sandulli, Farinelli, Minelli) datata novembre 1998 con la quale hanno respinto gli addebiti sotto ogni profilo. In particolare, hanno affermato che per quanto concerne i curricula in ordine ai quali viene eccepita una inadeguata "professionalità", nel caso dei consulenti chiamati a supportare gli amministratori nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali di indirizzo e di controllo politico, la scelta non poteva essere effettuata , in via prioritaria sulla base di titoli accademici, ma, piuttosto, sulla base di quel criterio dello intuitus personae che pone in capo a colui che deve effettuare la scelta il compito di valutare la idoneità del soggetto prescelto a soddisfare le proprie esigenze. Dunque, hanno continuato i convenuti, la scelta in quanto finalizzata a soddisfare esigenze soggettive è fondata in larga misura su considerazioni di natura personale e fiduciaria; ha carattere discrezionale e non può essere sindacata nel merito. La decisione di rinnovare gli incarichi di collaborazione professionale, poi, non poteva e non può rappresentare un indizio, una prova della loro illegittimità o addirittura uno "stratagemma per giustificare delle vere e proprie assunzioni". Per quanto riguardava l'eccepita carenza di motivazioni si faceva espresso riferimento ai puntuali richiami alle leggi ed alle disposizioni interne contenute in particolare nella delibera della Giunta n.1 del 1994, che rappresentavano - a loro dire - una giustificazione sufficiente per il ricorso a professionalità esterne. Infine, in merito alla eccessiva onerosità dei corrispettivi, si evidenziava che non emergevano casi di compensi abnormi e che gli stessi potevano considerarsi in linea con quelli di mercato. Il dott. Barrera ha presentato memoria difensiva datata 16 novembre 1998, nella quale sono state riportate le stesse argomentazioni contenute nella memoria collettiva del novembre 1998, con una ulteriore precisazione: "nessun addebito può essere mosso al Capo di Gabinetto che ha espresso il parere di regolarità tecnico-amministrativa in calce alle delibere inquisite dalla Procura Regionale".

I convenuti Biolchi, Lorenzetti e Fenu hanno presentato ulteriori memorie difensive rispettivamente in data 30 ottobre, 24 ottobre e 13 novembre 1996. Il Sindaco Rutelli ed i dott.ri Barrera, Gagliani Caputo e Borgna hanno anche chiesto di essere personalmente sentiti ma le argomentazioni addotte dai convenuti non sono state ritenute dalla Procura Regionale idonee a superare i profili di responsabilità amministrativa prospettati. (omissis)

Con memoria depositata in data 12 aprile 2000 gli avvocati Giulio Correale ed Ivo Correale nell'interesse di Giovanni BORGNA, dopo aver illustrato la posizione del convenuto, hanno contestato la proposta azione risarcitoria perché infondata ed hanno concluso chiedendo l'assoluzione del convenuto. In via assolutamente subordinata hanno chiesto l'applicazione del potere riduttivo. Con memoria depositata il 10 aprile 2000, gli avvocati Giulio Correale ed Ivo Correale per Piero SANDULLI, dopo avere evidenziato l'infondatezza della proposta azione risarcitoria della Procura Regionale, hanno chiesto in via principale l'assoluzione del convenuto ed in via ulteriormente gradata hanno chiesto l'applicazione del potere riduttivo. Con memoria depositata il 12 aprile 2000, gli avvocati Giulio Correale ed Ivo Correale per il dott. Pietro Barrera hanno eccepito in via pregiudiziale la decadenza dell'azione della Procura Regionale in ordine al pagamento del convenuto della somma di lire 3.636.363 attinente alla delibera della giunta comunale di Roma n. 1184 del 12 aprile 1994. A tal riguardo hanno rilevato che parte attrice ha notificato il giorno 8 luglio 1999 un "atto rettificativo di errore materiale" riguardante l'atto di citazione n. 1999/01313/LTR del 12 marzo 1999. Nell'atto così denominato, hanno continuato i difensori del convenuto, per la prima volta compare questo addebito a carico del dott. Barrera per cui quello che la Procura Regionale ha qualificato "atto rettificativo di errore materiale"non è altro che un nuovo atto di citazione, il quale deve essere dichiarato nullo. Nel merito hanno chiesto di mandare assolto il convenuto Pietro BARRERA per l'infondatezza della domanda attrice nei suoi confronti. In via subordinata di esercitare nella maniera più ampia il potere riduttivo.

Con memoria depositata in data 21 aprile 2000, gli avvocati Sergio RISTUCCIA ed Andrea SPADETTA, nell'interesse di Walter TOCCI e Linda LANZILLOTTA hanno, tra l'altro, evidenziato l'infondatezza della domanda attrice e la non sussistenza della colpa grave nel comportamento dei convenuti. Hanno concluso chiedendo in via principale l'assoluzione dei convenuti; in subordine l'applicazione del potere riduttivo nei confronti di Walter TOCCI e di Linda LANZILLOTTA considerati i grandi vantaggi conseguiti dalla comunità amministrata a seguito degli espletamenti degli incarichi in questione. Con memoria depositata in data 28 aprile 2000, l'avv. Giuseppe GUARINO per l'On. Francesco RUTELLI ha, tra l'altro affermato l'infondatezza della domanda della Procura Regionale ed ha precisato che dopo l'entrata in vigore della legge 15 maggio 1997, n. 127 sono intervenute le disposizioni contenute nella successiva legge 25 marzo 1999, n. 75, che ha così testualmente disposto:"le disposizioni di cui all'art. 51, comma 7, della legge 8 giugno 1990, n. 142, così come integrate dall'art. 6, comma 8, della legge 15 maggio 1997, n. 127, si applicano in ciascun Comune e in ciascuna Provincia, a decorrere dalla data delle prime elezioni effettuate ai sensi della legge 25 marzo 1993, n. 81". Tali norme, secondo le argomentazioni svolte al riguardo, hanno determinato la estinzione del giudizio per "cessata materia del contendere" considerato che la legge n. 75 del 1999 ha un indiscutibile carattere retroattivo ed i suoi effetti si dispiegano a decorrere dalla data delle prime elezioni effettuate ai sensi della ripetuta legge n. 81/1993. In ogni caso, ha aggiunto che la delibera n. 1 del 1994 non aveva formato oggetto di contestazione da parte della Procura Regionale, per cui nessuna responsabilità poteva essere elevata nei confronti dei componenti della Giunta essendo ormai scaduto il termine dei cinque anni fissato dall'art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Alla odierna pubblica udienza, il Procuratore Regionale si è opposto a tutte le eccezioni sollevate, ha confermato gli atti scritti ed ha conclusivamente chiesto la condanna di tutti i convenuti. I difensori dei convenuti hanno ribadito le argomentazioni svolte nelle memorie depositate evidenziando i profili più significativi. La Corte si è riservata la decisione.

DIRITTO

1.- Ai fini della pronuncia in questione, il Collegio deve preliminarmente soffermarsi sul tema concernente i poteri degli enti locali in materia di "collaborazioni esterne" tenendo presente che il Procuratore Regionale ha chiamato in giudizio i convenuti indicati in epigrafe per le consulenze esterne conferite nel triennio 1994, 1995 e 1996. La fattispecie è la seguente. La legge 8 giugno 1990 n. 142, ha previsto - all'art. 51, comma settimo - che "per obiettivi determinati e con convenzione a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto professionale". L'art.13 della legge 25 marzo 1993 n. 81, riguardante l'elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia, ha previsto che il comma quinto, dell'articolo 36 della legge 8 giugno 1990, n. 142, è sostituito dai seguenti: "5. Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il Sindaco e il Presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del Comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni". "5 bis.- Tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall'insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. In mancanza il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell'art. 48". "5 ter.- il Sindaco e il Presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dall'art. 51 della presente legge nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali".

La Giunta del Comune di Roma con deliberazione n. 1 adottata il 4 gennaio 1994 - dopo aver premesso che per il periodo decorrente dal 1° gennaio 1994 intendeva avvalersi di collaborazioni esterne e che dette collaborazioni esterne presupponevano, da un lato, il possesso di una adeguata professionalità e dall'altro, l'esistenza di un rapporto fiduciario con gli organi elettivi e che, pertanto, la scelta dei singoli professionisti non poteva che essere rimessa alla discrezionalità del Capo dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 36, comma 5 ter, della legge 142/90 - ha autorizzato: 1) il sindaco e ciascun assessore ad avvalersi, per il periodo 1 gennaio - 30 giugno 1994 , della collaborazione di consulenti esterni ad alto contenuto di professionalità nel numero massimo complessivo di tre unità; 2) di stabilire che il compenso forfettario da erogare per ciascuna di dette consulenze non può superare la somma di lire 6.000.000 mensili; 3) di approvare lo schema di disciplinare d'incarico.

Tali incarichi sono stati rinnovati semestralmente alle rispettive scadenze; è stato ritenuto, infatti, che nell'ambito dei ruoli organici capitolini non vi fossero specifiche professionalità per cui l'amministrazione comunale poteva proseguire i propri obiettivi anche mediante il supporto di consulenti esterni, sia a livello di "staff" che di singolo esperto alle dirette dipendenze degli amministratori e cioè del sindaco e degli assessori. In particolare, veniva sempre ribadito (cfr. anche la deliberazione n. 3289 in data 24 settembre 1996 della giunta comunale), che le suddette collaborazioni esterne presupponevano, da un lato, il possesso di una elevatissima specifica professionalità e, dall'altro, l'esistenza di un rapporto fiduciario con gli organi elettivi e che, pertanto, la scelta dei singoli professionisti non poteva che essere rimessa alla discrezionalità del Capo della amministrazione, ai sensi dell'art. 6, comma 5 ter, della legge 142/90; - che tali collaborazioni non rientravano tra quelle di cui all'articolo 17 del regolamento per l'organizzazione degli uffici e dei servizi dell'amministrazione comunale e per l'ordinamento della dirigenza che erano espressamente previste per l'espletamento dell'attività di gestione e non di indirizzo e controllo; - che, pertanto, sindaco ed assessori sono autorizzati ad avvalersi della collaborazione di consulenti esterni per cui venivano impegnati i fondi per provvedere al pagamento dei suddetti consulenti; - che nei casi in cui risulti verificata la mancanza di idonee competenze e risorse professionali nell'ambito degli organici capitolini, tali da non poter sopportare ad alto livello l'attività politica di indirizzo e controllo, si riteneva necessario consentire al sindaco e agli assessori di avvalersi di collaborazioni esterne; - che tale attività di consulenza professionale doveva avere un carattere di temporaneità legata alla realizzazione di obiettivi rientranti nel ruolo di indirizzo e controllo proprio degli organi politici, con esclusione di compiti propri degli organi amministrativi e della dirigenza. In tal senso la giunta comunale autorizzava il sindaco e ciascun assessore ad avvalersi della collaborazione di consulenti esterni di alta professionalità, ai quali potevano essere affidati incarichi temporanei a supporto dell'attività programmatica di indirizzo e controllo propria degli organi politici, con esclusione di qualsiasi sovrapposizione di compiti rispetto agli organi amministrativi ed alla dirigenza comunale

In attuazione dell'art. 51, comma settimo, della legge n. 142/1990, il Consiglio comunale di Roma con deliberazione n. 73 del 3-10 aprile 1995. ha approvato il "regolamento" per l'organizzazione degli uffici e dei servizi dell'amministrazione comunale e per l'ordinamento della dirigenza ed all'articolo 17 ha disposto: 1.- che l'affidamento a professionisti esterni all'amministrazione di incarichi professionali o di consulenza per il perseguimento di obiettivi o lo svolgimento di determinati compiti, coerenti con gli obiettivi prefissati dalla stessa amministrazione ed ai quali la medesima non possa far fronte con il personale in servizio, è disposto dalla giunta comunale, su proposta dell'assessore alle politiche del personale e della qualità sentito l'assessore competente, con deliberazione adeguatamente motivata e corredata del curriculum personale del professionista cui si intende affidare l'incarico; 2.- che l'affidamento di incarichi a professionisti esterni ha sempre carattere di eccezionalità, nei limiti delle strette necessità. L'articolo 19, comma primo, dello stesso regolamento comunale, poi, ha previsto che "nel rispetto delle disposizioni contenute nell'art. 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni, la giunta comunale, su proposta dell'assessore competente, può conferire direttamente incarichi professionali, anche al di fuori delle attività di ufficio, ai professionisti dipendenti dell'amministrazione nel rispetto, tra l'altro, dei criteri di seguito elencati: a) l'incarico non può essere conferito ove esistano appositi uffici comunali specificamente preposti all'espletamento delle attività oggetto dell'incarico medesimo e dotati di figure professionali idonee e di personale sufficiente; b) l'affidamento dell'incarico deve risultare economicamente conveniente per l'amministrazione rispetto ai costi del conferimento di un incarico esterno; c) l'espletamento dell'incarico deve essere di tipo occasionale ed avere oggetto determinato anche in riferimento alla durata della prestazione; d) nel conferimento di tali incarichi l'Amministrazione tende alla promozione e valorizzazione delle capacità professionali di tutti i dipendenti in possesso di specifici requisiti professionali. Inoltre, lo statuto comunale all'art. 24, comma quarto, ha previsto che "l'amministrazione promuove e realizza il miglioramento delle prestazioni del personale attraverso la formazione, la responsabilizzazione dei dipendenti e la valorizzazione delle risorse umane".

Successivamente l'art. 6, comma 8, della legge 15 maggio 1997 n.127, ha statuito che al comma 7, dell'art. 51 della legge n. 142 del 1990, è aggiunto il seguente periodo: "il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può, inoltre, prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco, del Presidente della Provincia, della Giunta e degli Assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti dai dipendenti dell'ente, ovvero, purché l'ente medesimo non abbia dichiarato il dissesto e non versi nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all'art. 45 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e successive modificazioni, da collaboratori assunti a tempo determinato". E' seguito il decreto - legge 26 gennaio 1999 n. 8, convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1999 n. 75, che all'art. 2, comma 2 bis, ha statuito che "le disposizioni di cui all'art. 51, comma settimo, della legge 8 giugno 1990 n. 142, così come integrate dall'art. 6, comma ottavo, della legge 15 maggio 1997 n. 127, si applicano a ciascun Comune e in ciascuna Provincia, a decorrere dalla data delle prime elezioni effettuate ai sensi della legge 25 marzo 1993, n. 81".

A ciò aggiungasi che nella varie deliberazioni, concernenti la materia degli incarichi di consulenze esterne che si sono succedute dal 1994 al 1996, l'amministrazione comunale nelle premesse delle delibere stesse ha fatto anche riferimento all'art. 3 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 avente ad oggetto la razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992 n. 421; alle modificazioni apportate con l'art. 2 del decreto legislativo 10 novembre 1993 n. 470 (vedasi, tra le altre, la delibera della Giunta Comunale n. 1 del 4 gennaio 1994) e con il decreto legislativo n. 546 del 1993 (cfr. anche deliberazione del Consiglio Comunale n. 73 del 3-10 aprile 1995) nonché ai principi fondamentali della riforma in parola che hanno statuito la netta distinzione tra direzione politica e direzione amministrativa e che hanno attribuito agli organi di direzione politica le funzioni di indirizzo, di controllo, la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, nonché il compito di verificare la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite; spettano, invece, ai dirigenti gli atti di gestione ossia tutto ciò che concerne la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa. 2.- In tale contesto, il Collegio deve pregiudizialmente esaminare le eccezioni sollevate sotto vari profili dai convenuti, prima tra tutte quello attinente il difetto di giurisdizione prospettato quale limite alla cognizione di questo giudice sia sotto il profilo della sindacabilità degli atti della pubblica amministrazione, sia sotto l'angolazione dell'esistenza di un vincolo di presupposizione dell'illegittimità dell'atto per affermare l'illiceità del comportamento. Al riguardo va, innanzitutto, precisato che nel giudizio di responsabilità amministrativo - contabile gli atti della pubblica amministrazione non vengono in rilievo come tali e cioè come espressione della volontà dell'amministrazione ovvero come concreto esercizio del potere funzionale di cui l'autorità emanante è investita, ma come fatti giuridici idonei a modificare la realtà giuridica ed ha produrre perciò i conseguenti effetti giuridici. Sicché, in termini generali, l'accertamento anche incidentale, di questo giudice non cade mai sulla legittimità - illegittimità di un atto, ma sulla liceità-illiceità del fatto giuridico, che modificando la realtà giuridica ha comportato una diminuzione patrimoniale per la pubblica amministrazione. Invero, la categoria del legittimo - illegittimo attiene al rapporto esterno tra momento dell'autorità inteso quale esercizio di un potere da parte dell'amministrazione ed i diritti dei privati rispetto al giudizio di rispondenza dell'atto a schemi normativamente prefissati. Come tale il provvedimento è riferibile soltanto all'amministrazione, cioè all'ente cui l'autorità viene conferita.

In ogni caso, nel nostro ordinamento i rapporti tra giudizio civile, giudizio amministrativo e giudizio amministrativo-contabile sono di assoluta autonomia in quanto non sono previste né preclusioni, né precedenze, né effetto di giudicato dell'uno rispetto all'altro giudizio. Né, d'altro canto, il controllo esterno ha altra funzione oltre a quella di immettere, conferendogli efficacia, o di non immettere, negandogli efficacia, l'atto amministrativo nella realtà giuridica. Da ciò consegue la impercorribilità di qualsiasi costruzione giuridica che intenda legare o comunque posporre l'accertamento della responsabilità amministrativo-contabile all'accertamento dell'illegittimità di atti dell'amministrazione. Anzi, va detto che nella maggior parte dei casi il fatto illecito, causativo del danno, nasce proprio dall'essersi prodotti gli effetti dell'atto amministrativo non annullato né in sede di controllo, né in sede giurisdizionale e perciò munito di quella che viene chiamata presunzione di legittimità. In effetti l'azione di responsabilità amministrativo-contabile si radica nell'inadempimento da parte dell'amministratore o del funzionario di norme giuridiche o di obblighi di servizio su di lui incombenti in funzione dell'attività conferitagli e cioè in un comportamento illecito del soggetto agente, comportamento che si sia manifestato in fatti giuridici contra ius modificativi della realtà giuridica e perciò produttivi di un danno ingiusto. Nei detti termini sono, pertanto, oggetto di valutazione di questo giudice gli atti della pubblica amministrazione ed in tali termini la cognizione di questo giudice non incontra le preclusioni del giudice della legittimità degli atti.

Resta fermo, in ogni caso, che nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, l'atto della pubblica amministrazione viene in rilievo come componente del comportamento del soggetto agente ovvero per gli effetti modificativi della realtà giuridica che ha prodotto e non nella sua funzione tipica di esercizio del potere attribuito all'autorità e rispetto al quale è possibile la valutazione in termini di legittimità-illegittimità. Rimane anche fermo che il giudizio amministrativo investe l'atto per mantenerlo nella realtà giuridica od espungerlo; che il giudizio civile attiene alla responsabilità dell'amministrazione, o dei suoi funzionari ed agenti, verso terzi e che perciò in questo giudizio per affermare l'esistenza dell'illecito occorre privare l'atto della sua forza propria e perciò disapplicarlo. Nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, invece, viene in rilievo il comportamento del soggetto convenuto in relazione al rapporto che intercorre tra detto soggetto e la pubblica amministrazione al fine di valutare se l'attività dispositiva dell'ente sia stata o meno contraria ai doveri d' ufficio. La responsabilità, perciò, non nasce dall'atto - che questo giudice non deve né annullare, né disapplicare - ma da una attività produttiva di danno. Nella fattispecie va, quindi, affermato che la responsabilità dei convenuti è fondata sull'aver affidato consulenze a terzi estranei all'apparato amministrativo del Comune per cui non è ipotizzabile alcun difetto di giurisdizione stante anche la puntuale previsione normativa contenuta nell'articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142.

Ne consegue l'infondatezza dell'eccezione prospettata, dal momento che non è possibile precludere l'azione risarcitoria avanti a questo giudice quando è palese la responsabilità dei convenuti che si radica sulla violazione da parte dei soggetti agenti di precostituiti obblighi di servizio e perciò di doveri di "comportamento"nascenti dal rapporto che lega il soggetto alla pubblica amministrazione (c. d. rapporto di servizio). Si tratta, perciò, di responsabilità di natura contrattuale e non di una responsabilità aquiliana fondata sul neminem laedere con i conseguenti effetti in tema di prescrizione. 3.- L'eccezione di prescrizione, nei termini in cui è stata sollevata, è manifestamente infondata. Infatti, sostengono al riguardo i convenuti che la Giunta comunale "ha adottato una delibera di carattere generale, la n. 1 del 4 gennaio 1994 che ribadisce la necessità di predisporre "uffici di staff" alle dirette dipendenze del sindaco e dei singoli assessori e che tale delibera richiama l'art. 51, settimo comma, della legge n. 142 del 1990". Per la scelta dei collaboratori esterni i criteri di riferimento non sono stati, però, quelli indicati in quest'ultima legge ma è prevalso il c.d. "rapporto fiduciario".

"Ora siccome la delibera n. 1 del 1994 non ha formato oggetto di contestazione da parte della Procura Regionale, nessuna responsabilità può essere elevata nei confronti dei componenti della Giunta per la sua adozione, né potrebbe più essere sollevato alcunché, essendo scaduto il termine di cinque anni fissato inderogabilmente dall'art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20". A ciò hanno aggiunto che "i provvedimenti adottati dal sindaco e dagli assessori entro il 30 giugno 1994, costituendo applicazione della predetta delibera, non potrebbero dunque in alcun caso dar luogo a responsabilità, poiché la predetta delibera n.1 del 4 gennaio 1994, non può essere disapplicata e copre tutti gli atti emessi in sua esecuzione". "Per il periodo successivo al 30 giugno 1994, sindaco ed assessori, pur non essendovi obbligati, non si sono discostati dalle regole che si erano già date con la delibera n. 1 del 1994. Il numero degli addetti agli staff, i compensi, la durata dei rapporti sono stati sempre - a loro dire - quelli prestabiliti con la ripetuta deliberazione n. 1 del 1994. Ritiene il Collegio che le argomentazioni svolte al riguardo non possono essere condivise dal momento che, con riferimento alla delibera n. 1 del 1994 ed alla delibera n. 73 del 1995, l'eccezione di prescrizione così come sollevata è semplicemente improponibile.

Infatti, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali - articolo 58 della legge 8 giugno 1990 n. 142 - è previsto che l'azione di responsabilità si prescrive con il decorso del quinquennio dalla "commissione del fatto". Detta espressione non può essere intesa nel senso che è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento patrimoniale all'ente pubblico, considerato che l'elemento "fatto" comprende non solo la condotta del soggetto, ma anche l'evento antigiuridico che ad essa consegue. Da ciò discende che, ove il pubblico nocumento insorga a distanza di tempo dal comportamento colpevole dell'amministratore o del dipendente di cui al citato articolo 58 della legge 142 del 1990, è dal quel momento che comincia a decorrere il termine prescrizionale quinquennale previsto dalla norma in questione. In altri termini, l'inizio della prescrizione per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui diviene perfetta la fattispecie dannosa (il fatto dannoso), nei suoi due elementi costitutivi dell'azione-omissione e dell'effetto lesivo di questa.

Quando le due componenti risultano distanziate nel tempo, ossia quando l'effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifica in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell'azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia a decorrere la prescrizione. Prima del verificarsi dell'effetto lesivo, dunque non vi è "interesse"ed in ogni caso mancano i requisiti della certezza e dell'attualità che legittimi ad agire, non essendosi ancora verificato il nocumento patrimoniale di cui si intende chiedere il risarcimento. Il che postula non soltanto il compimento della condotta illecita, ma anche la realizzazione concreta del danno. Ciò trova puntuale conferma normativa oltre che nell'articolo 2935 c.c.,in base al quale la "prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" (cfr., per tutte, SS.RR. n. 62/a del 25.10.1996), anche nell'articolo 2934 c.c., atteso che esso è fondato sull'inerzia del soggetto attivo del rapporto e sull'adeguamento di una situazione di diritto ad una composizione di interessi realizzatasi in atto per una volontà del titolare stesso, che appunto attraverso l'inerzia mostra di non avervi interesse". Inerzia ex art. 2934 c.c., che come manifestazione di volontà del soggetto attivo del rapporto di disposizione del diritto in termini di estinzione dello stesso, non è ravvisabile nelle ipotesi, come quella in esame, in cui il soggetto non sia titolare del diritto al risarcimento, o, ancorché titolare, non possa esercitarlo. Quindi non può ritenersi inerte la parte danneggiata in un regime di responsabilità secondo cui valgono i principi posti dal citato art. 2934 c.c., in base al quale il termine iniziale di prescrizione decorre non già dall'illecito (commissione del fatto illecito), bensì dalla definitività e conoscibilità obiettiva del danno (fatto dannoso). In tal senso è anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui in mancanza della percezione del danno, non è possibile giuridicamente, e non soltanto in via di mero fatto, esercitare l'azione risarcitoria (Cass. Civ., Sez. I, n. 3160 del 4.4.1996).

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