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La sentenza della Corte di Cassazione
di assoluzione di Berlusconi

<precedente

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE VI PENALE - Sentenza 7 novembre 2001 n. 39452 - Pres. Fulgenzi, Est. Cortese - P.G. (Hinna Danesi) c. Berlusconi Silvio ed altri.

Altri motivi dei ricorsi Nanocchio e Capone.

Il Nanocchio ha dedotto che illegittimamente gli è stata negata l’attenuante ex articolo 114 Cp in relazione alla sua minima partecipazione all’episodio delittuoso. Il motivo è infondato. L’impugnata sentenza ha, invero, correttamente osservato sul punto che il Nanocchio, con la sua piena e consapevole adesione all’accordo corruttivo (e la successiva ricezione della sua parte di tangente), ha concorso al delitto, indipendentemente dalla sua ridotta partecipazione allo svolgimento delle indagini (e conseguente esclusione dalla redazione dei relativi verbali), in un modo che non può assolutamente considerarsi marginale e trascurabile, sì da consentire, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale al riguardo, il riconoscimento dell’attenuante "de qua".

Capone Giuseppe ha dedotto l’illegittimità del diniego di concessione delle attenuanti generiche, siccome basato esclusivamente sulla rilevazione dei precedenti penali, e la mancata considerazione dell’avvenuto risarcimento del danno. Trattasi di rilievi infondati. Del tutto corretto è, invero, il diniego delle attenuanti generiche basato sui precedenti penali. Quanto al dedotto risarcimento del danno, la sussistenza dei presupposti per la riconoscibilità dell’invocata attenuante ex articolo 62 n. 6 Cp non può che essere esclusa, alla stregua della natura del reato e tenuto conto dell’epoca della avvenuta presunta riparazione.

Conclusioni sulle posizioni Sciascia, Capone e Nanocchio

Risultando infondate tutte le deduzioni ed eccezioni concernenti i prevenuti Sciascia, Capone e Nanocchio, i loro ricorsi devono essere rigettati. Posizione Berruti (capo D) Il ricorso di Berruti Massimo Maria è infondato. Esaminando partitamente i motivi dallo stesso proposti, si osserva quanto segue. L’eccezione di irritualità del sequestro del "passi" per Palazzo Chigi, già respinta dalla impugnata sentenza (pp. 104 ss.) con articolata motivazione (ove si richiamano l’autorizzazione del Gip in data 11 agosto 1994, il sequestro emesso in data 20 settembre 1994 relativo ad alcune agende e logicamente comprensivo del "passi" rinvenuto all’interno di una di esse, e l’irrilevanza del mancato rispetto, da parte del Pm, degli articoli 261 Cpp e 82 disp. att. Cpp), è priva di qualsiasi rilievo processuale, per effetto dell’ammissione, da parte del Berruti, della visita da lui fatta in quell’epoca a Palazzo Chigi. L’eccezione di inutilizzabilità dei tabulati telefonici, in quanto acquisiti (peraltro non in originale) mediante decreto immotivato del Pm è fondata, alla stregua della sentenza Cassazione Sezioni unite 8 maggio 2000, D’Amuri. La conseguente inutilizzabilità dei tabulati non influisce peraltro sulla pregnante valenza accusatoria del restante quadro probatorio (v. pp. 219 ss. sentenza), quale sarà illustrato in prosieguo.

Del tutto generica, e inidonea a superare i pertinenti rilievi svolti sul punto nell’impugnata sentenza (p. 118 s.) è la deduzione relativa alla omessa rinnovazione del dibattimento attraverso l’audizione di Fazzi Giuseppe, necessaria in relazione al complessivo (e carente) quadro probatorio emerso. Circa il vizio di motivazione, denunciato in relazione alle dichiarazioni accusatorie del Corrado, ritenute probatoriamente efficaci, nonostante i riscontri negativi in ordine ad aspetti decisivi, rilevasi che il vizio "de quo" non sussiste. L’impugnata sentenza ha, invero, reso, in ordine alla responsabilità del Berruti, una motivazione congrua e logica, che fa leva: - sulle precise dichiarazioni accusatorie predibattimentali del Corrado (pienamente utilizzabili, secondo quanto già precisato per le dichiarazioni del Nanocchio), considerate intrinsecamente attendibili alla stregua dei collaudati parametri dell’autoaccusatorietà della immediatezza, della spontaneità del disinteresse e della costanza; - sulle dichiarazioni del Tanca (rese a dibattimento e, quindi, pienamente utilizzabili in riscontro di quelle del Corrado, giusta il disposto del comma 2 dell’articolo 1 del Dl 2/2000 convertito nella legge 35/2000), confermative dei passaggi essenziali del racconto del Corrado, salva solo una versione (non negatoria ma) più sfumata (logicamente spiegata col comprensibile intento di circoscrivere il proprio coinvolgimento nella vicenda e la valenza accusatoria delle proprie affermazioni), sui punti relativi alla esplicita rivelazione, da parte del Corrado, del nome del suo mandante, e al contenuto della risposta data dal Tanca stesso alla sollecitazione ricevuta; - sulla annotazione nel registro Dia, confermativa dell’incontro avvenuto fra Tanca e Corrado; - sulla conferma dei rapporti e delle telefonate intercorsi fra Corrado e Berruti, risultante dalle ammissioni dello stesso Berruti e dalla deposizione del teste Tatano; - sulle significative ammissioni del Berruti circa la discussione col Corrado sull’argomento della verifica Mondadori e sulla possibilità di contattare Tanca.

Neppure sussiste il denunciato vizio di assenza di motivazione in ordine al preteso nesso causale tra il silenzio del Tanca e la presunta sollecitazione del Berruti. L’impugnata sentenza ha, invero, motivato in modo logico e compiuto (così confutando in modo efficace anche il rilievo sulla natura tentata, e non consumata, del reato) sul positivo effetto sortito dalla sollecitazione del Corrado sulla condotta del Tanca, rimasto silente per oltre un mese sulla vicenda Mondadori, pur dopo l’ammissione di aver percepito somme di denaro in occasione di numerose verifiche, e resosi addirittura parte attiva nella sollecitazione al silenzio nei confronti del coimputato Ballerini. Infondato è il rilievo sull’inconfigurabilità del reato in relazione al mero suggerimento di esercitare una facoltà legittima. Il reato di favoreggiamento personale è, infatti, un reato a forma libera, che può essere integrato da qualunque comportamento teso a intralciare il corso della giustizia (vedi fra le tante Cassazione 21 ottobre 1988, Di Renzo; 28 novembre 1986, Amato) e, quindi, anche dalla pressione esercitata su un terzo, indipendentemente dalla posizione dello stesso rivestita nel procedimento (e salvo naturalmente il caso, non ricorrente nella specie, del legittimo esercizio del proprio mandato difensivo), affinché taccia, per favorire altri, la conoscenza di fatti a lui noti (Cassazione 8 aprile 1986, Amato; 3 marzo 1983, Giacometti; 31 maggio 1990, Caruso). Non pertinente in causa è il rilievo circa la ritenuta applicabilità analogica della causa di non punibilità di cui all’articolo 376 Cp, posto che nella specie l’"aiuto" non consiste in una dichiarazione falsa o reticente del Berruti, bensì nell’induzione al silenzio di altro soggetto, la cui eventuale ritrattazione non può ovviamente riverberarsi a vantaggio dell’inducente (come già correttamente sottolineato nella impugnata sentenza a p. 236).

Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 378 Cp, in riferimento all’articolo 25 Costituzione, per indeterminatezza della fattispecie criminosa. Premesso, infatti, che tutti i comandi giuridici sono per loro natura di carattere generale e astratto e che, nell’indicare i fatti tipici costituenti reato, la legge a volte fa una descrizione minuta di essi ma spesso si limita a dare un’ampia nozione del fatto, senza scendere a particolari di esecuzione, rilevasi che il concetto di "aiuto" di cui all’articolo 378 Cp ha un’obiettività ben definita in quanto riceve una sufficiente specificazione dai contenuti che deve in concreto assumere (elusione delle investigazioni dell’Autorità o sottrazione alle ricerche di questa) per acquisire rilevanza penale. Infondato, infine, è il motivo sull’assenza di motivazioni in ordine agli argomenti addotti a sostegno del richiesto contenimento della pena nei limiti del già espiato e comunque in quelli della convertibilità. L’impugnata sentenza, infatti, in reiezione delle relative pretese dell’imputato, reca una congrua spiegazione del perché il contenimento della pena non è potuto andare al di sotto degli otto mesi di reclusione, facendo riferimento alla oggettiva gravità del fatto, diretto a influire sullo svolgimento di indagini afferenti a un grave episodio di mercimonio delle pubbliche funzioni.

Quanto alla pretesa, fatta valere dal Berruti nella memoria aggiunta, di ritornare davanti al giudice di merito per sentire il Corrado a sensi dell’articolo 197bis Cpp, come introdotto dalla legge 63/2001, la stessa è destituita di giuridico fondamento, in relazione all’epoca di entrata in vigore della norma invocata e al dettagliato regime transitorio contenuto nell’articolo 26 della legge 63/2001, che, in particolare, prevede, al comma 5, che alle dichiarazioni acquisite al fascicolo del dibattimento e già valutate ai fini della decisione si applicano nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione le disposizioni vigenti in materia di valutazione della prova al momento delle decisioni stesse.

Né appare esente da manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale di tale ultima disposizione in riferimento ai principi di cui al novellato articolo 111 Costituzione, posto che, da un lato, è la stessa legge costituzionale 2/1999, innovativa del citato articolo 111 Costituzione, all’articolo 2, ha demandato al legislatore ordinario di regolare l’applicazione dei principi in essa contenuti ai procedimenti penali in corso e, dall’altro, la disciplina transitoria recata prima dal Dl 2/2000 convertito nella legge 35/2000, e poi dalla legge 63/20001, ha equamente contemperato l’esigenza di una rapida applicazione dei nuovi principi ai procedimenti pendenti con quelle, ritenute specificamente meritevoli di tutela dal legislatore costituente a fronte delle rilevanti innovazioni introdotte, della non dispersione delle prove e dell’accertamento della verità come finalità del processo.

Posizione Zuccotti

Il ricorso di Zuccotti Alfredo è infondato. Nell’impugnata sentenza, infatti, le risultanze processuali che hanno impedito, in presenza di una causa estintiva del reato, una pronuncia di assoluzione nel merito del prevenuto, sono state con precisione identificate: a) nell’acclarata circostanza che egli accompagnò lo Spazzoli a ritirare la busta contenente il denaro destinato ai finanzieri, nonché all’incontro con questi ultimi, e presenziò allo scambio della stessa busta; b) nelle modalità del fatto, rivelatrici, unitamente alla logica inspiegabilità di un suo coinvolgimento "all’oscuro" nell’operazione, della sua consapevolezza del contenuto della busta e della causale della illecita dazione; c) nell’assenza di qualunque elemento che potesse indurlo a credere a una vicenda di tipo concussivo. Nel suo ricorso lo Zuccotti sottopone a censura la ricostruzione e la lettura del materiale probatorio - quali operate dalla Corte di appello - con rilievi di ordine logico-valutativo e, in parte, di legittimità, comportanti, ove fondati, per il loro stesso tenore, un rinvio al giudice di merito (incompatibile, come noto, con l’obbligo di immediata declaratoria delle cause di estinzione), e inidonei, per sé soli, a supportare direttamente, col carattere dell’evidenza, una pronuncia di non colpevolezza nel merito.

Ricorso di Silvio Berlusconi.

Il primo motivo del ricorso proposto da Berlusconi Silvio è fondato. La stessa Corte di appello premette, nella sua motivazione, che non esistono, a carico di Berlusconi, prove dirette, né orali né documentali, e che la sua responsabilità non può essere affermata unicamente in ragione della sua posizione di vertice in seno alla Fininvest. Essa, però, ritiene di ravvisare a carico del predetto la prova della responsabilità (sia pure, stante l’estinzione del reato conseguente alla contestuale concessione delle attenuanti generiche, ai soli effetti civili) sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti. Questi vengono essenzialmente identificati: - nella consegna del denaro ai militari della Guardia di Finanza da parte di Sciascia; - nella provenienza del denaro da una provvista Fininvest; - nella riferibilità dell’autorizzazione ai pagamenti ai vertici del Gruppo, costituiti da Paolo e Silvio Berlusconi; - nell’inattendibilità della confessione di Paolo nella parte (del tutto collimante, peraltro, con la versione di Sciascia), in cui ha dichiarato di essere stato lui, e da solo, a dare le dette autorizzazioni e a fornire le dette provviste, prelevandole da fondi neri di provenienza Edilnord; - nella conseguente necessaria attribuzione delle autorizzazioni in questione all’altro soggetto del vertice del Gruppo e cioè a Silvio Berlusconi.

Significativi elementi di conferma della prova logica così conseguita vengono poi ravvisati: - nella disponibilità all’epoca dei fatti, da parte di Silvio Berlusconi e della sua famiglia, di una ingente quantità di denaro, depositata su libretti di risparmio al portatore, e movimentata, per finalità mai disvelate, a mezzo soprattutto di Giuseppino Scabino, persona indicata da Sciascia come quella che, in più occasioni, provvide materialmente a fornirgli la provvista per il pagamento delle tangenti; - nella concomitanza temporale di due sospesi di cassa con le due dazioni Videtime; - nella riunione svoltasi ad Arcore, nell’abitazione di Silvio Berlusconi, nel corso della quale il legale di Sciascia - assente Paolo Berlusconi - lo informò della ordinanza custodiale emessa a carico del proprio assistito; - negli stretti rapporti intercorsi, all’epoca dei fatti, tra Silvio Berlusconi e Sciascia, sovente destinatario di munifiche e non chiarite elargizioni di denaro da parte del primo, e nell’assenza di analoghi rapporti tra Sciascia e Paolo Berlusconi; - nel diretto interesse di Silvio Berlusconi a un controllo superficiale e addomesticato da parte della Guardia di Finanza.

Nessun rilievo a fini probatori nei confronti di Berlusconi è stato invece attribuito dalla Corte di merito alla vicenda del "passi" per Palazzo Chigi sequestrato al Berruti e al connesso incontro da quest’ultimo ivi avuto con Berlusconi nel giugno del 1994. La validità degli elementi indiziari indicati e la conseguenzialità logica delle conclusioni ricavatene trovano una decisiva smentita nella stessa sentenza impugnata, consentendo e imponendo, stante la definitività del materiale istruttorio acquisito ed esposto, di rilevare in questa sede, agli effetti degli articoli 530 Cpv e 129 Cpp, la palese inadeguatezza del medesimo ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato. Il primo rilievo da fare è, invero, che il ragionamento sillogistico operato dalla Corte milanese si basa su una premessa essenziale - attribuzione al vertice proprietario del gruppo Fininvest, costituito da Paolo e Silvio Berlusconi, della competenza nelle "materie" in questione - desunta da una interpretazione delle dichiarazioni rese da Paolo Berlusconi che ne travalica il reale tenore (quale risultante dalla stessa sentenza).Paolo Berlusconi - che ha posto ai vertici del gruppo Fininvest prima il fratello Silvio (cui ha attribuito la strategia globale dell’impresa) e poi se stesso (competente per l’aspetto tattico strategico) - ha infatti precisato, in ordine alle questioni di pagamento di tangenti, che «era bene che facesse carico direttamente» a lui, «in quanto rappresentante della proprietà, questa incombenza».

Da tali dichiarazioni risulta solo un collegamento, in termini di opportunità ("era bene"), fra l’"incombenza" in questione e la persona di Paolo Berlusconi, quale "rappresentante della proprietà", e non è quindi possibile leggervi, come ha arbitrariamente fatto il giudice di merito, quell’imprescindibile e oggettiva attribuzione dell’incombenza stessa al vertice proprietario del gruppo nella sua composizione comprensiva di entrambi i fratelli Berlusconi, dalla quale si è poi fatta derivare una volta escluso il coinvolgimento di Paolo, la responsabilità di Silvio. Ma frutto di un’argomentazione priva di solide basi appare anche l’essenziale passaggio motivazionale della sentenza, relativo alla ritenuta inattendibilità delle convergenti dichiarazioni di Sciascia e Paolo Berlusconi sulla riferibilità a quest’ultimo della condotta inerente all’autorizzazione ai pagamenti e alla fornitura della relativa provvista. Tale inattendibilità è stata, invero, basata in modo particolare sul duplice rilievo che l’indicazione, fatta da Paolo Berlusconi, dei fondi neri Edilnord quale fonte della provvista del denaro, sarebbe smentita dalle risultanze processuali, e che, di converso, è emersa l’esistenza di elevatissime quantità di contanti e di fondi "non contabilizzati" nell’ambito del gruppo, gestiti su disposizione di Silvio Berlusconi, attraverso un meccanismo di erogazione di cassa effettuate da Istifi Spa (che operava come una vera banca del gruppo) a favore delle varie società e di successivi ripianamenti delle partite con assegni prelevati da libretti al portatore.

Ora, da un lato, la Corte d’appello, dopo aver correttamente, in contrasto col Tribunale, riconosciuto l’esistenza e la destinazione a finalità illecite dei fondi neri Edilnord, ne ha escluso lo specifico utilizzo: - per le tangenti Mondadori (dicembre 1991) e Mediolanum (aprile 1992), in base all’arbitraria considerazione che Paolo Berlusconi, ricevuto nel gennaio 1990 il saldo di detti fondi (ammontare a un importo di 300-400 milioni, perfettamente "capiente", quindi, per le dette tangenti), non avrebbe potuto preservarne la separata identità, indispensabile per la sicura attribuzione delle imputazioni riferite; - per le tangenti Videotime (giugno e settembre 1989) in base a una lettura delle dichiarazioni di Pellegrini e Roncucci che non tiene in alcun conto il dato, riportato nella stessa sentenza (p. 144), secondo cui il Pellegrini, dai fondi extracontabili accumulati nella misura di 700-800 milioni l’anno, consegnò di volta in volta, fino al 1987, a Paolo Berlusconi tutto quanto questi gli richiedeva, così evidentemente mettendo il medesimo nella condizione di disporne a suo libito per le esigenze e nei tempi che ritenesse.

Dall’altro lato, quanto alla disponibilità, da parte di Silvio Berlusconi, di ingenti somme di denaro depositate su libretti di risparmio al portatore e alle anomale movimentazioni di tali importi, è la stessa Corte milanese (p. 153 della sentenza) ad attribuire a tali circostanze una "rilevanza assolutamente marginale", escludendo che possano costituire prova di una diretta derivazione del denaro utilizzato per il pagamento delle tangenti alla Guardia di Finanza. E tale conclusione è del tutto ovvia, se si considera il volume degli importi movimentati (intorno ai 130 miliardi: v. p. 50 della sentenza di primo grado), in raffronto all’entità, delle tangenti di cui si parla. Del tutto neutro ai fini dell’argomento in discorso è anche il fatto, impropriamente valorizzato dalla Corte di appello, che il denaro venisse normalmente consegnato a Sciascia, secondo quanto ammesso da quest’ultimo, dallo Scabini, cassiere centrale della cassa del gruppo Fininvest, Istifi, direttamente e sistematicamente coinvolto nelle anomale movimentazioni di cui si è detto, posto che lo stesso Paolo Berlusconi, nell’individuare la provvista per le tangenti nei fondi neri Edilnord, ha precisato che il denaro che procurava a Sciascia gli veniva messo a disposizione attraverso la cassa centrale del gruppo, Istifi (v. sentenza di primo grado, p. 43).

Appaiono, infine, non pertinenti, considerata la natura degli "affari" in questione, i rilievi in ordine alla mancanza di ruoli operativi di Paolo Berlusconi nell’ambito delle società Videotime e Mediolanum e all’assenza di interesse, per Edilnord, di pagare tangenti riguardanti altre società e sostanzialmente ipotetico quello relativo alla appartenenza degli affari medesimi alla "strategia globale dell’impresa", di competenza di Silvio Berlusconi. Va da sé che, caduti i principali pilastri della ricostruzione logico-valutativa operata dalla Corte di merito, perdono ogni residua rilevanza probatoria gli ulteriori elementi utilizzati a confronto della medesima (concomitanza temporale dei sospesi di cassa con le due dazioni Videotime, riunione svoltasi ad Arcore, stretti rapporti intercorsi all’epoca dei fatti tra Silvio Berlusconi e Sciascia, diretto interesse di Silvio Berlusconi a un controllo superficiale è addomesticato da parte della Guardia di Finanza, limitato livello di autonomia operativa di Paolo Berlusconi), collegati essenzialmente (fatta eccezione per i sospesi di cassa, relativi peraltro a importi ben superiori a quelli delle tangenti) alla posizione apicale di Berlusconi, correttamente ritenuta dalla stessa Corte inidonea per sé a fondare un giudizio di responsabilità.

La sostanziale carenza di prove idonee a carico di Silvio Berlusconi ha trovato nell’impugnata sentenza una involontaria ma illuminante manifestazione nel passaggio motivazionale in cui si ammette di non poter stabilire in quali modi (se, in particolare, in via generale o di volta in volta) e tempi sia stata da lui data a Sciascia l’autorizzazione ai pagamenti illeciti.

La sentenza stessa deve, pertanto, essere annullata nei confronti di Silvio Berlusconi limitatamente ai reati di cui ai capi A), B) e C), per non aver commesso il fatto.

Ricorso del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano.

Il ricorso proposto dal P.g. di Milano è infondato. Quanto, invero, alla contestata assoluzione di Berlusconi dal capo E), si osserva che la motivazione della sentenza impugnata appare sul punto logica e compiuta, siccome correttamente basata sulla ritenuta inadeguatezza, ai fini della prova della responsabilità, di Berlusconi, della sua mera presunta posizione di dominus effettivo della società e del suo connesso interesse alla superficialità delle indagini commesse alla G.d.F. dalla Procura di Roma. A fronte di tanto, e tenuto conto di quanto già osservato sulla insufficienza probatoria, nei confronti di Berlusconi, del materiale indiziario utilizzato dalla Corte d’appello a proposito delle vicende Mondadori, Videotime e Mediolanum, si appalesano chiaramente irrilevanti le censure proposte dal Pg ricorrente in ordine alla differente valutazione dello stesso materiale operata nel caso della vicenda Telepiù al mancato accertamento dell’effettivo controllore di Telepiù, alla dedotta illogicità del ritenuto possibile interessamento anche di altri soci. Il motivo relativo alla concessione delle attenuanti generiche risulta poi assorbito dall’assoluzione del merito di Berlusconi.

P.Q.M.

Visti gli articoli 615, 616 e 620 Cpp dichiara manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale; rigetta il ricorso del Pg; rigetta i ricorsi di Zuccotti Alfredo, Sciascia Salvatore, Nanocchio Francesco, Capone Giuseppe e Berruti Massimo Maria, che condanna in solido al pagamento delle spese processuali; annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Berlusconi Silvio limitatamente ai reati di cui ai capi A), B) e C), per non aver commesso il fatto.

Così deciso il 19 ottobre 2001. Depositata in cancelleria il 7 novembre 2001.

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