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La sentenza della Corte di Cassazione
di assoluzione di Berlusconi

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE VI PENALE - Sentenza 7 novembre 2001 n. 39452 - Pres. Fulgenzi, Est. Cortese - P.G. (Hinna Danesi) c. Berlusconi Silvio ed altri.

FATTO

Con sentenza del 7 luglio 1998 il Tribunale di Milano dichiarava fra l'altro responsabili:

- Berlusconi Silvio, Sciascia Salvatore e Zuccotti Alfredo, quali, rispettivamente, soggetto controllante di fatto le attività delle società del gruppo Fininvest, direttore centrale degli affari fiscali dello stesso gruppo e direttore centrale dell'amministrazione Fininvest:

A) del delitto ex articoli 110, 319 e 321 Cp, per avere promesso e versato la somma di lire 100.000.000 a vari militari della Guardia di Finanza in servizio presso il Nucleo Regionale della Polizia Tributaria di Milano, che accettavano, in relazione alla verifica fiscale operata nel 1992 nei confronti della Mediolanum Vita SpA (facente parte del Gruppo Fininvest), al fine di omettere atti d'ufficio o compiere atti contrari ai doveri d'ufficio, in modo da favorire la società stessa;

- Berlusconi Silvio e Sciascia Salvatore, nelle qualità dette altresì:

B) del delitto ex articoli 110, 319 e 321 Cp, per avere promesso e versato la somma di lire 130.000.000 a vari militari della Guardia di Finanza in servizio presso il Nucleo Regionale della Polizia Tributaria di Milano, che accettavano, in relazione alla verifica fiscale operata nel 1991 nei confronti della Arnoldo Mondadori SpA (facente parte del Gruppo Fininvest), al fine di omettere atti d'ufficio o compiere atti contrari ai doveri d'ufficio in modo da favorire la società stessa;

C) del delitto ex articoli 110, 319 e 321 Cp, per avere promesso e versato la somma di lire 100.000.000 a vari militari della Guardia di Finanza in servizio presso il Nucleo Regionale della Polizia Tributaria di Milano, che accettavano, in relazione alla verifica fiscale operata nel 1989 nei confronti della Video Time Spa (facente parte del Gruppo Fininvest), al fine di omettere atti d'ufficio o compiere atti contrari ai doveri d'ufficio, in modo da favorire la società stessa;

- Berruti Massimo Maria:

D) del delitto ex articolo 110 e 378 Cp, per avere, quale legale del gruppo Fininvest, in concorso con Corrado Alberto, promosso al Tenente Colonnello Tanca Angelo una tangibile riconoscenza da parte della Arnoldo Mondadori Spa in cambio del suo silenzio alla autorità giudiziaria inquirente in merito all'episodio di corruzione di cui al capo B);

- Berlusconi Silvio, Sciascia Salvatore, Capone Giuseppe Nanocchio Francesco:

E) del delitto ex articoli 110, 319 e 321 Cp, per avere i primi due promesso e versato al Capone, che in parte distribuiva ad altri tra cui il Nanocchio, somme di denaro perché il Capone e il Nanocchio, appartenenti alla Guardia di Finanza e incaricati di accertamenti in ordine alla compagine spcietaria e all'attività economica della società Telepiù, disposti dalla Procura della Repubblica di Roma e del Garante per l'editoria, omettessero atti d'ufficio o compissero atti contrari ai doveri d'ufficio. Con la stessa sentenza i predetti imputati venivano condannati alle pene di legge.

Il Berlusconi, il Capone e il Nanocchio venivano altresì condannati a rifondere alla parte civili Ministero delle Finanze i danni subiti, da liquidarsi in separato giudizio. Su appello del P.M. e dei prevenuti, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 9 maggio 2000, riduceva le pene al Nanocchio, al Capone, allo Sciascia e al Berruti, dichiarava non doversi procedere nei confronti dello Zuccotti e del Berlusconi in ordine alle imputazioni di cui ai capi A), B) e C), per essere i reati, in conseguenza del riconoscimento delle attenuanti generiche, estinti per prescrizione, assolveva il Berlusconi dal reato di cui al capo E) per non aver commesso il fatto confermava nel reato l'impugnata sentenza, condannando il Berlusconi (in solido con Arces Giovanni) alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in relazione ai reati di cui ai capi A), B) e C).

Hanno proposto ricorso i predetti imputati e il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Milano.

Sciascia Salvatore deduce:

1. vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per la corruzione relativa a Telepiù, siccome basata sulle dichiarazioni mutevoli, de relato e prive di riscontro di Nanocchio Francesco e collidente con i corretti argomenti sviluppati dalla Corte di merito per assolvere dallo stesso reato il Berlusconi;

2. erronea qualificazione dei fatti contestati, per non avere la Corte d'appello considerato la sostanziale natura concussoria del comportamento tenuto dai pubblici ufficiali negli specifici confronti di esso Sciacia. Con successiva memoria il pervenuto ha sostenuto che il reato di cui al capo E), in relazione all'epoca della presunta dazione a mani del Capone (al massimo, inizio di aprile 1994) e all'avvenuta concessione delle attenuanti, generiche, si è ormai estinto per prescrizione.

Berruti Massimo Maria deduce:

1. incompetenza per materia del giudice di primo grado, rientrando il reato ascrittogli nella cognizione del Pretore e non potendosi, per la diversità degli imputati, ritenere operante la connessione di cui all'articolo 12, lettera c), Cpp;

2. irritualità del sequestro di un "passi" per Palazzo Chigi, siccome operato dal Pm autonomamente nell'ambito di documentazione asportata "al buio" dallo studio legale di esso imputato, sulla quale doveva procedersi ad apposita cernita nel rispetto del prescritto contraddittorio;

3. inutilizzabilità dei tabulati telefonici, in quanto acquisiti (peraltro non in originale) mediante decreto immotivato del Pm;

4. omessa rinnovazione del dibattimento attraverso l'audizione di Fazzi Giuseppe, necessaria in relazione al complessivo (e carente) quadro probatorio emerso;

5. vizio di motivazione, in relazione alle dichiarazioni accusatorie del Corrado, ritenute probatoriamente efficacia, nonostante i riscontri negativi in ordine ad aspetti decisivi;

6. assenza di motivazione in ordine al preteso nesso causale tra il silenzio del Tanca e la presunta sollecitazione del Berruti;

7. inconfigurabilità del reato in relazione al mero suggerimento di esercitare una facoltà legittima;

8. configurabilità in ogni caso del delitto tentato, e non consumato;

9. ritenuta applicabilità analogica della causa di non punibilità di cui all'articolo 376 Cp;

10. illegittimità costituzionale dell'articolo 378 Cp, in riferimento all'articolo 25 Costituzione per indeterminatezza della fattispecie criminosa; 11. assenza di motivazioni in ordine agli argomenti addotti a sostegno del richiesto contenimento della pena nei limiti del già espiato e comunque in quelli della convertibilità.

Con successiva memoria il Berruti, facendo presente che allo stato il Corrado, che si è sempre sottratto all'esame dibattimentale, si trova nella condizione di imputato testimone di cui all'articolo 197 bis C.p.p., quale introdotto dalla legge 63/2001, ha invocato l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza perché si proceda all'assunzione dello stesso a sensi della norma codicistica citata, posto che in tale ipotesi, costituente fatto nuovo, non potrebbe valere lo sbarramento di cui al disposto del comma 5 dell'articolo 26 della legge 63/2001, il quale dovrebbe, altrimenti, essere considerato incostituzionale per contrasto con i principi di cui al novellato articolo 111 Costituzione.

Nanocchio Francesco deduce:

1. che nel corso del giudizio di appello egli si trovò in stato di detenzione noto alla Corte e, pur avendo manifestato l'intenzione di partecipare al dibattimento, non fu messo in condizione di farlo, con conseguente nullità di ordine generale ex articolo 178, lettera c), Cpp;

2. che non vi è prova in atti che le somme versate dallo Sciascia attengono alla verifica Telepiù e che egli abbia comunque avuto qualunque parte ad atti contrari ai doveri d'ufficio relativamente a tale verifica;

3. che illegittimamente gli è stata negata l'attenuante ex articolo 114 Cp, in relazione alla sua minima partecipazione all'episodio delittuoso.

Capone Giuseppe deduce:

1. vizio di motivazione, in relazione alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie del Nanocchio, ritenute probatoriamente efficaci, nonostante i molteplici elementi di sospetto e contraddizione che le inficiano, specificamente denunciati nei motivi di appello e disinvoltamente superati o ignorati dalla Corte territoriale;

2. erronea qualificazione del fatto come corruzione propria, nonostante l'assenza di qualunque atto contrario ai doveri d'ufficio;

3. illegittimità del diniego di concessione delle attenuanti generiche, siccome basato esclusivamente sulla rilevazione dei precedenti penali, e mancata considerazione dell'avvenuto risarcimento del danno.

Zuccotti Alfredo deduce:

1. vizio di motivazione e inosservanza delle norme di cui agli articoli 191 e 513 Cpp, in relazione alla rilevata prescrizione del reato senza un analitico e approfondito vaglio della portata e validità delle risultanze probatorie, che avrebbe senz'altro consentito un'assoluzione nel merito;

2. mancanza di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato.

Berlusconi Silvio deduce:

1. vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso morale nei reati di cui ai capi A), B) e C) della rubrica - con conseguente obbligo di declaratoria di assoluzione ex articolo 129 Cpp, per non aver commesso il fatto - avendo la Corte di merito:

- basato le sue conclusioni su rilievi di mera probabilità e verosimiglianza (giustamente considerati insufficienti a sorreggere un'affermazione di colpevolezza nella vicenda Telepiù) e sull'indimostrato assunto che, dovendo l'autorizzazione agli illeciti pagamenti far capo ai vertici proprietari del gruppo Fininvest, rappresentati da Paolo e Silvio Berlusconi, la stessa, una volta esclusa la responsabilità del primo, non potesse che essere attribuita al secondo;

- lasciato inammissibilmente incerto il punto decisivo sulle modalità di rilascio (in via generale o di volta in volta) di tale presunta autorizzazione; - ricostruito in modo contraddittorio e approssimativo la provenienza delle provviste occorse per gli illeciti pagamenti;

2. erronea qualificazione dei fatti, in relazione ai molteplici elementi chiaramente indicativi, per tutte e tre le vicende criminose, di un quadro di concussione ambientale, escluso dalla sentenza impugnata per una impropria sottovalutazione dei suddetti elementi e un'incongrua valorizzazione dei rapporti esistenti e delle trattative intercorse fra il gruppo Fininvest e la Guardia di Finanza.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano ricorre avverso l'assoluzione del Berlusconi dal reato di cui al capo E) e la concessione al medesimo delle attenuanti generiche, con conseguente prescrizione dei reati di cui ai capi A) B) e C).

Deduce: 1. carenza di motivazione in ordine alla identificazione del reale controllore di Telepiù;

2. 3. 4. contraddittorietà e illogicità della motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto insufficiente nel caso di Telepiù, in conseguenza anche della valorizzazione di differenze meramente apparenti e della arbitraria prospettazione di spiegazioni alternative, i medesimi elementi indiziari correttamente considerati decisivi per gli episodi di cui ai capi A), B) e C);

5. illogicità della motivazione sulla concessione delle attenuanti generiche, siccome basata sull'incensuratezza dell'imputato sulla remota datazione degli episodi e sul contesto di diffusa illegalità in cui si svolsero, senza adeguatamente tener conto della gravità dei fatti e del ruolo decisivo del prevenuto, della pendenza a suo carico di altri procedimenti penali anche per fatti successivi e del fatto che il contesto di diffusa illegalità costituisce, in relazione a chi occupa posizione di preminenza nella società, un elemento di aggravamento e non di attenuazione della responsabilità.

La difesa del Berlusconi ha prodotto una memoria in opposizione al ricorso del Pg, deducendo:

- quanto alla vicenda Telepiù: 1. l'inutilizzabilità delle dichiarazioni del Nanocchio in quanto acquisite dalla Corte di appello (dopo una prima illegittima acquisizione da parte del Tribunale) col meccanismo di cui all'articolo 513 Cpp, come modificato dalla sentenza 361/98 della Corte costituzionale, in un'epoca (29 gennaio 2000) in cui, per effetto dell'articolo 1 del Dl 2/2000, convertito in legge 35/2000, contenente le norme di attuazione del giusto processo di cui al novellato articolo 111 Costituzione, detto meccanismo doveva considerarsi ormai abrogato; 2. l'illegittima valutazione delle dichiarazioni del Nanocchio ritenute probatoriamente efficaci, benché non confermate, giusta il disatteso disposto dell'articolo 1 del Dl 2/2000, convertito in legge 35/2000, da elementi di prova assunti o formati con diverse modalità, e prive altresì dei requisiti normalmente ritenuti indicativi della attendibilità intrinseca; 3. l'assenza di qualunque vizio di motivazione nella ritenuta esclusione del concorso morale del Berlusconi nel delitto attinente alla vicenza Telepiù; 4. l'assenza di qualunque vizio di motivazione nella concessione delle attenuanti generiche.

DIRITTO

Eccezione d'incompetenza sollevata dal Berruti Berruti Massimo Maria ha dedotto l'eccezione di incompetenza per materia del giudice di primo grado, rientrando, a suo avviso, il reato ascrittogli nella cognizione del Pretore e non potendosi, per la diversità degli imputati, ritenere operante la connessione di cui all'articolo 12, lettera c), Cpp. L'eccezione è infondata. Per l'operatività della connessione di cui alla lettera c) dell'articolo 12 Cpp, infatti contrariamente a quanto statuito per la ipotesi di cui alla precedente lettera b) dello stesso articolo, non è richiesto che i reati siano ascritti allo stesso imputato (cfr. Cassazione 10 luglio 1998, Pomicino; Cassazione sentenza 10041/98; Cassazione sezione prima 5363/95 cc).

Eccezione di nullità del giudizio di appello sollevata dal Nanocchio. Nanocchio Francesco ha dedotto che nel corso del giudizio di appello egli si trovò in stato di detenzione noto alla Corte e, pur avendo manifestato l'intenzione di partecipare al dibattimento, non fu messo in condizione di farlo, con conseguente nullità di ordine generale ex articolo 178, lettera c) Cpp. La sollevata eccezione non può essere accolta, in quanto è basata sulla copia semplice, allegata al ricorso, di un telegramma che sarebbe stato inviato dall'imputato alla Corte territoriale, del quale non è traccia in atti. Qualificazione dei fatti di pagamento delle tangenti É noto il travaglio di dottrina e giurisprudenza in ordine a una precisa definizione del criterio in base al quale distinguere, nei casi di confine, la concussione dalla corruzione propria. Abbandonati il criterio dell'iniziativa (potendo, ormai anche per previsione normativa - v. articolo 322, comma 3 e 4, Cp - la stessa far capo all'agente pubblico anche nella corruzione) e quello della presenza di un vantaggio illecito per il privato (ritenuto possibile anche nella concussione: v. fra le altre Cassazione 11 dicembre 1997, Sammarco), si è generalmente approdati (v. fra le più recenti, Cassazione 13 gennaio 2000, Lattanzio) a quello del rapporto fra le volontà dei soggetti, precisandosi che nella corruzione questo è paritario e implica la libera convergenza delle medesime verso un comune obiettivo illecito (abuso come frutto dell'accordo erogatorio), ai danni della Pubblica amministrazione, mentre nella concussione il pubblico agente esprime una volontà costrittiva o induttiva che condiziona il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare maggiori pregiudizi, deve sottostare alle ingiuste pretese del primo (abuso diretto a ottenere l'erogazione). Elemento necessariamente comune alle due figure è l'esistenza di una indebita erogazione del privato al pubblico agente. Elemento eventualmente comune (e necessario solo nella corruzione propria) è un esercizio antigiuridico dei propri compiti da parte del pubblico agente.

Al riguardo deve essere chiarito che, poiché la condotta illecita dell'operatore pubblico nella corruzione propria (antecedente) è solo un elemento finalistico di correlazione con l'offerta di utilità, la sua individuazione, ai fini della configurabilità del reato, non richiede un livello di specificazione superiore a quello sufficiente a stabilire la detta correlazione (Cassazione 5 febbraio 1998, Lombardi; 15 febbraio 1999, Di Pinto e, con specifico riferimento alle verifiche fiscali della Guardia di Finanza, Cassazione 25 giugno 1998; Zuin; 3 novembre 1998, Giovanelli; 28 marzo 2001, Sarritzu). Elemento, infine, discriminante fra le due figure è la presenza, nella concussione (e l'assenza, nella corruzione), di una volontà prevaricatrice e condizionante da parte del pubblico agente.

Da tanto consegue che, in presenza dei primi due elementi , il mancato accertamento del terzo conduce necessariamente a escludere che il fatto oggetto di valutazione possa essere considerato come concussione. Circa l'identificazione del detto terzo elemento, è evidente che la stessa assume aspetti maggiormente problematici in relazione alla concussione per induzione e, in modo particolare, in quella forma che va sotto il nome di "concussione ambientale". Con l'opportuna premessa che, per definire l'"induzione" integrativa della concussione, non si può prescindere dal rilievo della unicità della pena prevista dall'articolo 317 C.p. (cfr. Cassazione 1 dicembre 1995, Russo) e che la stessa non può essere comunque integrata dalla mera richiesta di utilità da parte dell'operatore pubblico, posto che tale condotta è assunta come elemento della istigazione alla corruzione dai commi 3 e 4 dell'articolo 322 C.p. (Cfr. Cassazione 13 gennaio 2000, Lattanzio), va sottolineato, sulla scorta della più attenta giurisprudenza espressasi sul punto, che la cd. concussione ambientale può rilevare sia come cornice storico-fattuale idonea a rendere meno formale il comportamento condizionante dell'operatore pubblico, che deve comunque sussistere ai fini della configurabilità del delitto di cui all'articolo 317 C.p. (Cassazione 14 aprile 2000, Pivetti; 13 luglio 1998, Salvi; 19 gennaio 1998, Pancheri), sia come sistema di mercanteggiamento dei pubblici poteri in cui il privato liberamente si inserisca per trarne, mediante corruzione, illecito vantaggio (Cassazione 30 marzo 1998, Pareglio; 13 aprile 2000, Pivetti; 5 luglio 2000, Bonina). Ferma la definizione, in astratto, degli illustrati criteri discretivi, va infine chiarito che la indagine e la valutazione sugli elementi che ne condizionano in concreto l'applicazione ai casi di specie, non può che costituire un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito, e sindacabile solo per manifesta illogicità della motivazione, per il quale potranno essere utilizzati vari indicatori "sintomatici", quali fra l'altro: - l'assunzione dell'iniziativa; - l'andamento dei contatti e i rapporti di forza fra le parti; - le modalità dell'erogazione; - le condotte antecedenti e susseguenti delle parti; - la distribuzione dei vantaggi; - la natura degli atti posti in essere dall'agente pubblico.

Ciò chiarito, rilevasi che, in presenza delle opposte versioni rese sul punto dai finanzieri e da Sciascia, l'impugnata sentenza, con espresso richiamo anche a quanto ampiamente acclarato dal Tribunale, ha escluso che nei fatti di cui ai capi: A), B) e C) possa ravvisarsi l'abuso prevaricatorio tipico della concussione e ha optato per la corruzione propria, ritenendo in sostanza che Sciascia, che certamente operava per il gruppo e non a titolo personale (onde non appare pertinente la dimensione "individualistica" in cui pretende di circoscrivere l'interpretazione dei fatti nel suo ricorso), non agì sotto la pressione condizionante dei pubblici ufficiali ma, utilizzandone scientemente e liberamente la presumibile disponibilità correlata a una nota prassi di malcostume (su cui ha particolarmente insistito, nel suo secondo motivo di ricorso, la difesa di Berlusconi), interloquì paritariamente con loro, per l'illecito vantaggio del gruppo.

A tanto la Corte di merito è pervenuta, in modo non manifestamente illogico, sulla base dei seguenti pertinenti elementi; - dichiarazioni di Giovannelli e altre risultanze circa il carattere illecitamente vantaggioso per la parte privata delle verifiche operate, in relazione alla deliberata sommarietà e compiacenza delle medesime, costituente il "corrispettivo" delle concordate consistenti dazioni; - molteplici e reiterati rapporti di collaborazione e favori reciproci fra il gruppo Fininvest e la Guardia di Finanza, confermati anche da scambi di documentazione e incontri conviviali tra Sciascia e i finanzieri; - potenza anche politica del gruppo Fininvest e sua proclamata, capacità di resistenza avverso pretese concussive; - predisposizioni della Fininvest a gestire in modo programmato le situazioni oggetto di causa, anche con la formazione di fondi per pagamenti extra bilancio e la designazione di uno specifico soggetto delegato a tenere gli opportuni contatti; - conforme qualificazione giuridica data agli stessi fatti da questa Corte nella sentenza 1703/97 che ha deciso i ricorsi di Gilardino e altri; ininfluenza, a fronte di quanto sopra, della lungaggine delle verifiche, anche perché ben spiegabile con le notevoli dimensioni delle aziende verificate e con la presumibile necessità di dare l'apparenza dell'accuratezza e della scrupolosità degli accertamenti. In riferimento alle singole vicende, la Corte di merito ha ulteriormente sottolineato: - quanto alla verifica Mondadori: - le ammissioni del Tanca sulle generali modalità di svolgimento delle verifiche; - l'episodio dell'esercizio pubblico di Via Pisani, in cui Sciascia mostra un atteggiamento di "vivace" negoziatore, e non di concusso; - quanto alla verifica Video Time; - le dichiarazioni del Sicuro e del Licheri sulle modalità delle verifiche;- i rapporti di amicizia e cordialità tra Licheri e Sciascia; - quanto alla verifica Mediolanum: - la mancata prospettazione, da parte dello stesso Sciascia, di qualsiasi condotta prevaricatrice tenuta dal pubblico ufficiale.

Per quanto concerne la vicenda Telepiù, la sicura qualificazione del fatto in termini di corruzione propria è logicamente desunta dai giudici di merito dalle precise dichiarazioni del Nanocchioe dell’episodio del litigio fra Capone e Nanocchio (secondo meglio si vedrà in sede di esame delle posizioni coinvolte nel capo E). Posizioni Sciascia, Capone e Nanocchio sul capo E (vicenda Telepiù) Sulla vicenda Telepiù e le relative responsabilità di Sciascia, Capone e Nanocchio i ricorsi dagli stessi proposti sono infondati, in quanto l’impugnata sentenza ha reso al riguardo una motivazione congrua e logica, evidenziando: - come, dopo le prime reticenti e non veritiere versioni (dalle quali è stata data una ragionevole spiegazione), le dichiarazioni confessorie e accusatorie di Nanocchio si siano precisate e stabilizzate, senza più smentite (anche dopo la cessazione dell’emergenza inerente allo status libertatis), o dimostrabili intenti calunniatori, con specifico riferimento agli accertamenti su Telepiù, svolti dal Nanocchio (fino a quando ne fu estromesso) unitamente al Capone, destinatari entrambi della "tangente", concordata preventivamente con lo Sciascia (che ne assunse l’iniziativa), per uno svolgimento "morbido" e amichevole delle indagini;

- che le dichiarazioni stessa hanno trovato ampio e significativo riscontro: a) nell’accertato litigio fra Capone e Nanocchio e nella frase riportata da Carugno come pronunciata all’indirizzo del Nanocchio, indicativi, unitamente all’allontanamento del Nanocchio dalle indagini, e secondo la ragionevole spiegazione di quest’ultimo, di problemi insorti proprio riguardo alla conduzione "addomesticata" delle medesime; b) nella vicinanza temporale della dazione con gli accertamenti su Telepiù; c) nell’incontestata partecipazione di Nanocchio, Capone, Rizzi o Carugno e Sciascia a un pranzo offerto da quest’ultimo, in ordine alla quale non è stata fornita una credibile versione alternativa a quella data, in coerenza con le accuse, dal Nanocchio; d) nel c.d. appunto Montanari, consistente nell’annotazione, fatta dall’Ufficiale, nella propria agenda, nella pagina del giorno successivo all’arresto del Nanocchio, dei nominativi di Sciascia-Rizzi-Carugno e Capone collegati tra loro e con il numero del centralino Fininvest, in ordine alla quale non sono state fornite spiegazioni attendibili idonee a smentirne l’oggettiva valenza di indizio collimante con l’articolata ricostruzione della vicenda offerta dal Nanocchio.

Per quanto concerne in particolare l’utilizzabilità delle dichiarazioni del Nanocchio, nessuna preclusione può al riguardo derivare dal fatto che le stesse furono acquisite dalla Corte di appello (dopo una prima illegittima acquisizione da parte del Tribunale) col meccanismo di cui all’articolo 513 Cpp, come modificato dalla sentenza 361/98 della Corte costituzionale , in un’epoca (29 gennaio 2000) in cui, per effetto dell’articolo 1 del Dl 2/2000, convertito in legge 35/2000, contenente le norme di attuazione del giusto processo di cui al novellato articolo 111 Costituzione detto meccanismo doveva considerarsi ormai abrogato. Occorre infatti tener presente che la Corte d’appello precedette all’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali del Nanocchio (e lo stesso discorso vale per quelle del Corrado, rilevanti per la posizione Berruti) a sensi dell’articolo 513 Cpp, come modificato dalla sentenza 361/98 della Corte costituzionale, alla udienza del 29 gennaio 2000, quando era in vigore l’articolo 1 del Dl 2/2000, ancora non convertito, che, nel dare una prima attuazione ai principali del giusto processo inseriti nell’articolo 111 Costituzionale della Legge costituzionale 2/2000, e in ossequio alla specifica previsione dell’articolo 2 di tale legge, statuiva; al comma 2, che nei procedimenti penali in cui si era già aperto il dibattimento alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 2/1999, la colpevolezza dell’imputato non poteva essere provata esclusivamente sulla base di dichiarazioni rese da chi si era sempre sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore.

Per effetto di tale statuizione, è evidente sia che rimanevano utilizzabili nel giudizio, nei limiti detti, le dichiarazioni predibattimentali già ritualmente acquisite prima della data suindicata, sia che a tale acquisizione poteva ancora procedersi, nelle forme all’epoca prescritte (articolo 513 Cpp quale modificato dalla sentenza 361/98 della Corte costituzionale), salvo il limite di utilizzo nella non esclusività probatoria. Quando poi in sede di conversione del Dl 2/2000, si è stabilito, con la legge 35/2000, che le dichiarazioni predibattimentali, ove già acquisite al dibattimento, fossero valutate solo se la loro attendibilità era confermata da altri elementi di prova assunti o formati con diverse modalità, si è ovviamente determinato un divieto, ex nunc (ed è a tale situazione che si riferisce la pronuncia 439/2000 della Corte costituzionale), di nuove acquisizioni (salvo il caso di sottrazioni all’esame coartate o comprate), ma facendosi salve quelle già acquisite, anche se nelle more della conversione, nelle forme prescritte, da valutarne nel modo anzidetto.

Alla stregua di tanto può concludersi che correttamente la Corte di merito provvide all’acquisizione, nel modo allora consentito, delle dichiarazioni predibattimentali del Nanocchio e del Corrado, le quali erano, di conseguenza utilizzabili, considerato il tempo della decisione (9 maggio 2000), secondo la illustrata regola di cui al comma 2 dell’articolo 1 del Dl 2/2000 quale modificato dalla legge di conversione; regola che resta valida anche nella presente sede, in forza del comma 5 dell’articolo 26 della legge 63/2001. Eccezione di prescrizione sollevata da Sciascia Nella sua memoria aggiunta Sciascia Salvatore ha sostenuto che il reato di cui al capo E), in relazione all’epoca della presunta dazione a mani del Capone (al massimo, inizio di aprile 1994) e all’avvenuta concessione delle attenuanti generiche, si è ormai estinto per prescrizione.

L’eccezione, suscettibile di giovare anche al Nanocchio è infondata. Premesso, invero, che nel delitto di corruzione, ove la promessa segua la dazione, è con l’ultima ricezione di utilità da parte dell’agente pubblico che si determina la definitiva consumazione del reato (Cassazione 19 marzo 1997, Carabba), da cui comincia a decorrere il termine di prescrizione, si osserva, con riferimento alla fattispecie, che, alla stregua di quanto accertato in sede di merito, se, da un lato, la dazione da Sciascia a Capone può effettivamente essere fatta risalire (in presunzione favorevole agli imputati) fino a un’epoca prossima al 31 marzo 1994, dall’altro l’accordo corruttivo intercorse tra Sciascia da una parte e Capone e Nanocchio dall’altra.

La dazione che Sciascia eseguì in adempimento della promessa aveva dunque come predesignati destinatari entrambi i pubblici ufficiali predetti. La consegna a Capone non poteva di conseguenza esaurire la dazione-ricezione oggetto dell’accordo, ricomprendendo questa necessariamente, nell’ottica accettata dallo stesso Sciascia, anche il momento della consegna-percezione riguardante il Nanocchio, e i relativi tempi e modalità di attuazione. Poiché risulta in atti che la ricezione del denaro da parte del Nanocchio (su consegna del Capone) avvenne due o tre giorni prima della dazione effettuata da Nanocchio a Di Giovanni, databile con certezza al 26 aprile 1994, ne consegue che la definitiva consumazione del reato si è verificata tra il 22 e il 24 aprile 1994, onde il relativo termine di prescrizione - della durata, per Sciascia e Nanocchio, beneficiari delle attenuanti generiche, di sette anni e mezzo - decorrente da tale epoca, non è, alla data odierna, ancora maturato.

Continua >>>

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