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30 aprile 2025
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Il carabiniere di Rodi
di Rinaldo Battaglia *

A quel tempo a Rodi i nazisti avevano due prede preferite: gli ebrei e i giovani del posto. Enrico era nella seconda categoria di cacciagione. Tutti i giovani fino alla classe ’23 Mussolini li aveva già chiamati alla guerra. Chi non era ancora morto o già deportato come IMI nel lager, nessuno sapeva in quale angolo di mondo fosse finito. Tra questi anche Antonio, classe 1919, suo fratello maggiore, ufficiale del Regio Esercito e che in famiglia sapranno che era vivo, solo quando lo vedranno tornare a fine guerra, salvatosi ‘più volte anche in modo rocambolesco’. I prossimi nella lista, a Rodi, erano così quelli nati nel ’24 e nel ’25: ma ora erano i tedeschi a prenderseli, per spedirli come schiavi in Germania a lavorare e morire di fatica e non solo di fame.

Il terrore regnava sovrano, ma non tutti accettarono supini e subirono senza reagire. Ogni tanto nel pianeta ci sono segni di vita.

Molti anni fa, Roberto Bazlen, un grande intellettuale amico di Eugenio Montale e Umberto Saba, che aveva vissuto da ebreo nella sua Trieste quegli anni, scrisse che ‘un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti. Solo alcuni riescono a diventare poco a poco vivi’. A Rodi a dimostrare di essere ancora vivi, per primi, ci furono i ’Fratelli delle Scuole Cristiane’ – chiamati in loco ‘i Lassaliani’ – e soprattutto il loro priore, fratel Angelino Guinot. Conoscevano molti di questi ‘candidati al lavoro in Germania’. Tantissimi, anni prima, erano andati – come Enrico – a scuola da loro, ricevendo ‘un’educazione improntata all’ecumenismo’, alla convivenza pacifica e rispetto reciproco tra le varie comunità religiose dell’isola, dove da numerosi secoli convivevano, in piena solidarietà e amore fraterno, cristiani cattolici, greci ortodossi, musulmani convinti e una millenaria comunità ebraica.

Prima della guerra del ’40 e delle leggi razziali del Duce del ’38 – sono parole di Filippo, frutto dei racconti del padre ma anche da moltissime testimonianze giuntegli – “Ogni comunità era invitata alle feste di ciascun gruppo religioso. La famiglia di mio padre era regolarmente alle funzioni religiose e alle feste familiari in occasione delle più importanti ricorrenze ebraiche, ortodosse e musulmane e viceversa, con una naturalezza oggi difficilmente comprensibile e quasi accostabile a un’utopia. A scuola, senza distinzioni, mio padre ha avuto compagni di classe ebrei, ortodossi, e musulmani. I programmi di istruzione prevedevano il rispetto per ciascuna comunità! In questo ambiente fertile, incoraggiato dalla solida educazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, mio padre passò (parole sue) i “più begli anni della mia vita”.

Fratel Angelino Guiot e i suoi confratelli, decisero di muoversi subito e in silenzio, per non attirare le ire del nuovo ‘padrone’, ma sempre in modo determinato e chiaro. Prima che succedesse l’irreparabile, ancora prima che la gente di Rodi se ne rendesse conto.

Presero carta e penna, trovarono dai loro vecchi elenchi il nome di quei ragazzi, ora in età di leva e a rischio deportazione e si misero in contatto. Tra questi, anche Enrico. Fratel Angelino aveva ideato una soluzione. In quel momento i nazisti avevano bisogno - per il controllo dell’isola - anche dei nostri Carabinieri, in quanto dotati di funzioni di Polizia Militare. In altre parole, essendo già arruolati ed utilizzati con compiti di Ordine Pubblico, non avrebbero potuto di conseguenza deportarli. Li servivano per altri scopi, altrettanto basilari per loro. Avrebbero cercato, e preso, altrove schiavi per le loro fabriken. La salvezza di quei giovani era l’arruolamento immediato nei Carabinieri di Rodi. Ed in questo, la stima reciproca tra Fratel Angelino ed il capitano Carlo Pellegrino - che aveva anche funzioni di Questore - fu essenziale.

In poche settimane Enrico Ricciardi, sebbene di soli 18 anni, non ancora 19, indossò ‘da volontario’ la divisa e acquisì una speranza in più per tutti. Famiglia compresa. A suo figlio Filippo, già anni prima e in più occasioni, aveva raccontato come varie volte, di notte, suo padre Edmondo arrivasse vicino alle inferriate della zona militare e di ‘come lui gli passasse la sua razione quotidiana da portare a casa’. Rinunciando così alla propria cena.

E da Carabiniere cominciò a capire, e peggio vedere, anche la tragedia dell’altra categoria di cacciagione preferita dei nazisti: la comunità ebraica, molto fiorente e numerosa a Rodi. Già sapevano dei campi in Germania ove altri ebrei venivano sterminati col gas solo perché ebrei, di retate, di rastrellamenti, di massacri nei ghetti, di bambini uccisi o sepolti vivi.

Enrico non era ebreo: ma poteva far finta di nulla? Era appena finito, come servizio, nella Questura della capitale, nella sua città, all’ufficio dei passaporti, chiuso dentro una stanza tra le carte e la polvere, poteva anche fregarsene. Perché no?

‘Un tempo si nasceva vivi e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti. Solo alcuni riescono a diventare poco a poco vivi’ scriveva Roberto Bazlen. Ma non solo Fratel Angelino e i suoi ‘’Fratelli delle Scuole Cristiane’ decisero di esser vivi. Anche il giovane Enrico, sul finire del ’43, scelse così, a modo suo. Se la divisa dei Carabinieri gli aveva salvato la vita, ora con quella divisa doveva salvare altre vite. I ‘Fratelli delle Scuole Cristiane’ gli avevano insegnato una soluzione, ora Enrico ne trovava delle altre.

In ufficio aveva a disposizione un buon numero di matrici della carta di identità italiana, aveva la possibilità di entrare in possesso, leggere e verificare la lista delle persone censite ed etichettate – dopo le leggi razziali del Duce - come di ‘razza ebraica’. E così senza che niente e nessuno gli chiedesse nulla – neanche gli ebrei direttamente interessati e comunque sempre a loro totale insaputa – eccolo che iniziò , quasi per istinto, quasi per reazione chimica, ‘a scrivere nomi e cognomi e date di nascita, modificando quelli originali di suoi cari amici Ebrei e dei loro familiari’. Li conosceva, era cresciuto con loro, giocato assieme, uscito già con qualche ragazza tra quelle segnalate ‘come di razza inferiore’. Che colpa avevano?

A gennaio ’44 le cose anche a Rodi presero una brutta piega per gli ebrei ed in maniera molto veloce. Sebbene al comando dell’isola vi fosse ancora il General der Panzertruppe della Wehrmacht, Ulrich Kleemann - un amico personale di Hitler - molto meno fanatico di altri gerarchi ma comunque sempre il massacratore della guarnigione italiana dall’8 all’11 settembre ’43, la caccia si rafforzò e le prede cercarono ogni angolo di salvezza. Il nome del giovane carabiniere dell’ufficio passaporti della Questura cominciò così a girare nella comunità ebraica, trovando terreno fertile. E dalla ‘correzione’ dei dati anagrafici alla ‘produzione’ di documenti falsificati o fasulli fu breve.

Tutto molto in sordina, tutto molto in silenzio. Ma non poteva durare.

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* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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