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09 marzo 2025
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Femministe arabe: perché non è una follia ma una necessità
di Rita Guma *

Mi segnalano un articolo de Il Giornale che critica l'esistenza stessa di un gruppo di femministe di varie nazionalità arabe, con il titolo "La nuova follia estremista delle femministe arabe. Nasce in Italia il gruppo femminista arabo Qumi, che ripudia il "femminismo coloniale, bianco-centrico e neoliberale", qualunque cosa voglia dire".

Fin dal titolo si capisce che quella di queste donne non è affatto una follia ma è chi ha scritto l'articolo che non capisce, ed è proprio il motivo per cui le donne hanno creato il gruppo: per sentirsi comprese in mezzo a una società che non conosce (o non accetta) la loro cultura.

Il gruppo non nasce adesso a esiste già da un bel pezzo (al Giornale informatevi!). Poi si capisce benissimo cosa vogliano dire queste donne che evidentemente non si sentono rappresentate dai gruppi esistenti nei quali la cultura araba non è abbastanza conosciuta e quindi comporta prese di posizione distanti dalla realtà e a volte contraddittorie fra loro.

Per esempio, abbiamo avuto da gruppi di femministe - consolidati o improvvisati intorno ad un appello - sia dichiarazioni di condanna per l'Iran che appoggio a versioni del 7 ottobre che accreditavano la narrazione degli stupri, e tutto a causa di un pregiudizio anti-islamico e probabilmente anti-arabo.

Questo non vuol dire che non vi siano donne bianche di paesi ex colonialisti che comprendono l'universo arabo e islamico (io sono una di queste, le mie posizioni in merito sono citate persino da Wikipedia) e le problematiche delle donne di quelle culture. Ma che è meglio operare fra chi conosce profondamente il substrato culturale in cui maturano certe situazioni.

E hanno ragione ad avercela con il colonialismo e i residui culturali che esso ha lasciato nella nostra società e cultura. Si pensi ad esempio alla questione del velo, che in Algeria è stato un simbolo di lotta politica, dal momento che le autorità francesi (il paese subì 132 anni di colonialismo effettivo) lo avevano vietato. Le stesse autorità che trattavano spietatamente i dissidenti, con torture per la cui raffinatezza gli agenti francesi erano "rinomati". Un fatto storico che quando si critica il velo non bisogna dimenticare.

Per quanto mi riguarda, come ho scritto molte volte, l'importante è che portare il velo sa una scelta della donna e non una imposizione, di qualsiasi matrice. Ma a volte per le femministe quel velo è un marchio di oppressione e questo è uno dei casi in cui la visione femminista diverge dalla loro.

E per loro non valgano le solite regole di protezione a livello internazionale: si vede anche dal fatto che a Gaza sono state 12000 le donne uccise e altre sono detenute e abusate e non si è levato un grido unanime dei movimenti femministi per fermare questa indecenza che è chiaramente portata avanti da uno stato coloniale.

Altra cosa che mi ha colpita nell'articolo, il fatto che non fosse noto al Giornale il passaggio del Vangelo in cui si narra che Gesù resuscita una ragazzina dicendole questa frase in Aramaico "Talitha kumi" (alzati fanciulla) con cui ha un evidente legame la parola Qumi che dà nome alla organizzazione femminista che viene criticata e che il giornalista è quindi costretto a spiegare ricorrendo al chiarimento delle donne del collettivo: "Qumi, che in arabo, come spiegano loro stesse, vuol dire "alzati"".

Magari puoi non conoscere il Corano ma il Vangelo, le radici cristiane d'Europa sbandierate dai referenti politici del Giornale ad ogni Natale, quelle almeno le dovresti conoscere...

Ma vediamo il vero motivo dello scandalo, il manifesto di queste donne per l'8 marzo.

vai al comunicato di Qumi

* Presidente Osservatorio

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