Violenza
domestica : le radici culturali 2
di
Demetrio Delfino*
Vi
è un gruppo di cause, che potremo ricondurre al “genus” economico,
rappresentante, anche nel nostro Paese, primario motivo di
violenza all’interno delle mura domestiche. Anche a tale riguardo,
come ho esposto in
precedenza, è importante fare una premessa.
Il
“genus” economico, quale causa di eventi violenti, può essere
esaminato sotto due punti di vista: sia quando positivo che
quando negativo, e mi spiego. Da un esame condotto su fatti
di reato quali maltrattamenti in famiglia, stalking etc. nei
confronti di donne (anche in Italia) emerge, con palmare chiarezza,
lo stato di debolezza economica della vittima. Tale debolezza
incide pesantemente nell’ambito del rapporto eterosessuale
tanto da indurre non poche volte la persona offesa dal reato
a non denunciare l’evento e questo poiché la parte debole
del rapporto non ha alcun sostentamento patrimoniale autonomo
né, tanto meno, rapporti familiari e di amicizia solidi che
possano aiutarla economicamente e psicologicamente nell’affrontare
una relazione vessatoria che certamente “germoglia” molto
più facilmente in uno stato di debolezza economica.
Affrontando in senso positivo il fattore in discussione, si
può rilevare come in molti Paesi l’emancipazione della donna
sia stato interpretato addirittura quale una vera e propria
minaccia per l’uomo, tanto da cagionare un aumento degli episodi
di violenza: paradossalmente, l’emancipazione della donna
è stata una delle cause che ha aumentato le violenze nei confronti
della stessa (ECLAC Commissione Economica per l’America Latina
e i Caraibi; 1992, “Domestic Violence against Women in Latin
America and the Caribbean: Proposals for Discussion” Social
Development Division, Santiago, Cile).
Focalizzando il problema in questione e andando a trattare
il “genus” in discussione, fermo restando l’aspetto più propriamente
sociale e assistenziale che importa, evidentemente, una trasformazione
del “pensiero comune” ed una pregnante necessità di sostenere
ed incentivare tutti quegli enti e associazioni preposti a
tale scopo, appare davvero rilevante incidere, con grande
decisione, sulle leggi che, tutt’ora, possono essere definite
discriminatorie: mi riferisco a leggi inerenti l’istruzione,
l’accesso al credito, la proprietà etc.; si innesta quindi,
in questo ulteriore gruppo di fattori, l’aspetto più propriamente
normativo e cioè, la presenza di leggi che provocano diseguaglianze
economiche tra i sessi.
Debbo
peraltro dire che sia le Nazioni Unite che il Parlamento Europeo
stanno promuovendo ogni sforzo per imprimere una sorta di
“dictat” a tutti gli Stati per poter migliorare le leggi dei
Paesi del Pianeta al fine di sradicare tali discriminazioni.
In data 04 Marzo 2013, le Nazioni Unite hanno confermato l’obbligo
degli Stati di eliminare ogni disposizione normativa capace
di creare diseguaglianze tra uomini e donne, il relatore sul
diritto all’alimentazione Oliver De Schutter ha chiaramente
ribadito il dovere degli Stati di garantire la parità di genere
nonché la necessità che le donne raggiungano posizioni di
vertice.
Lo
stesso De Schutter ha inoltre reso nota la necessità di un
miglioramento della cura fisica e mentale dei bambini poiché
questo aumenta la capacità di imparare, inoltre ha evidenziato
la necessità di riequilibrare il potere decisionale nella
famiglia in favore delle donne e di aumentare la produttività
dei lavoratori nel settore alimentare. Non solo, il Relatore
ha evidenziato la necessità (rectius –obbligo-) degli Stati
di investire per ridurre il carico del lavoro domestico delle
donne, per ridistribuire i ruoli di genere come approccio
di trasformazione per l’occupazione e la protezione sociale.
Direi
che Oliver De Schutter ha ben rappresentato le necessità di
un cambiamento radicale per non pochi Stati del nostro Pianeta
nei quali leggi discriminatorie e obsolete continuano a permanere.
E’ evidente che tutto questo rappresenta una chiara tendenza
che si rispecchia anche nei Paesi più evoluti una tendenza
che, malgrado scomparsa sulla carta, permane in modo strisciante
e subdolo nei “fatti”.
Anche la nostra Europa non è rimasta indietro e con “la strategia
per la parità tra donne e Uomini 2010 – 2015”, ha dato un
forte segnale per la soluzione del problema. Ed infatti, con
la “Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al
Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni
del 21 Settembre 2010, Strategia per la parità tra donne e
uomini 2010 – 2015 (COM -2010- 491 def. – non pubblicata in
Gazzetta Ufficiale) vengono riprese le priorità definite dalla
Carte delle Donne costituendo, inoltre, una base fra la Commissione,
le altre istituzioni europee, gli Stati membri e le altre
parti interessate, nel quadro del patto europeo per la parità
in genere.
Non
potendo, evidentemente, dilungarmi oltremodo su questo davvero
rilevante Atto e lasciando agli interessati l’opportunità
di leggere per intero il documento, non posso tralasciare
i punti che la Commissione intende sostenere e diffondere
e che riguardano il problema in questione:
a)
l’Indipendenza economica delle donne;
b)
la pari retribuzione (è stato evidenziato, comunque, il persistere
della differenza retributiva tra uomo e donna);
c)
la parità nel processo decisionale (le donne sono sottorappresentate
nei processi decisionali, sia nei parlamenti e governi nazionali
sia nei consigli di direzione di grandi imprese malgrado rappresentino
la metà della forza lavoro e più della metà dei nuovi diplomati
universitari dell’UE;
d)
parità tra donne e uomini nelle azioni esterne (ad esempio,
condurre un dialogo regolare e scambi di esperienze con i
paesi partner della politica europea di vicinato);
e) questioni trasversali (ad esempio, nell’impegno alla piena
applicazione della legislazione europea, in particolare mi
riferisco alla direttiva 2004/113/CE sulla parità di trattamento
nell’accesso ai beni e servizi nonché, alla direttiva 2006/54/CE
sulle pari opportunità oppure (sempre tra le questioni trasversali),
in ordine alla governance e agli strumenti per la parità di
trattamento tra uomini e donne, in particolare attraverso
l’elaborazione di una relazione annuale sulla parità di genere
per contribuire al dialogo annuale di alto livello tra il
Parlamento europeo, la Commissione, gli Stati membri e le
principali organizzazioni interessate.
La tendenza appare davvero chiara: è necessario operare in
modo particolarmente incisivo affinché la donna acquisisca
una propria autonomia economica ma soprattutto, a fronte di
questa necessità, ve ne è un’altra di pari importanza e cioè
quella di supportare il venire meno di leggi discriminatorie,
da un vero e proprio cambio di cultura cosa questa, davvero
molto più difficile.
*
Avvocato,
Componente della Commissione "Vittime di violenza"
e del Comitato Tecnico giuridico dell'Osservatorio.
Violenza
domestica: le radici culturali 1
|