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31 dicembre 2012
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Farmaci : con il principio attivo lo Stato spende di piu'
riceviamo e pubblichiamo

La Dott.ssa Annarosa Racca Presidente di Federfarma, nell’intervista rilasciata il 3 novembre 2012 al quotidiano “La Stampa”, ha asserito che: “…il farmaco equivalente ha fatto risparmiare”. Il “Corriere della Sera” del 17 novembre scorso ha pubblicato l’articolo: “Basta con le pressioni per i farmaci griffati” dove il Ministro della Salute On. Renato Balduzzi ha riaffermato che: “…l’indicazione del principio attivo al posto del farmaco di marca è una norma equilibrata ed efficace sul piano del risparmio”. Durante la trasmissione del TG2 “Servizio Costume e Società”, andato in onda lo scorso 21 novembre, è stato dichiarato: "Se usassimo i generici come negli altri Paesi d'Europa il Servizio Sanitario Nazionale risparmierebbe 300 milioni all'anno".

Rispondiamo a queste dichiarazioni, e a tantissime altre che esprimono la stessa convinzione, che NON è il principio attivo in sé che fa spendere meno il SSN, ma la perdita del brevetto. Inoltre, le “doppie prescrizioni” dovute all’inefficacia terapeutica, o agli effetti collaterali di alcuni principi attivi, generano una “spesa doppia” per lo Stato. Anche il “risparmio per il paziente”, che assume medicinali equivalenti, non è sempre verosimile.

Lo scorso maggio, in un comunicato stampa, l’Agenzia parlamentare AGENPARL asseriva che: “Sono ancora diversi i nodi da sciogliere per consentire il decollo dei farmaci generici. Dalla qualità all’efficacia terapeutica alla sostituibilità…”. Con tali dichiarazioni è difficile sostenere un possibile risparmio.

Più in dettaglio:

1- Lo Stato non risparmia con gli equivalenti ma realizza una minore spesa con la naturale scadenza del brevetto. Questa condizione, infatti, apre il mercato alla concorrenza e spinge equivalenti e farmaci off patent a costare meno, ed il Sistema Sanitario Nazionale a rimborsare il prezzo di riferimento del più economico equivalente (liste di trasparenza). Ciò significa che lo Stato paga sempre lo stesso prezzo per equivalenti e farmaco a brevetto scaduto. Non c’è risparmio, inoltre, nel confronto tra un prezzo reale di un principio attivo attualmente in commercio, e quello ormai inesistente dell’originale prima della perdita del brevetto e, quindi, riferito al passato.

2- Non si dovrebbe parlare di “risparmio” per i cittadini perché il “farmaco equivalente” è diverso dal “farmaco a brevetto scaduto”. Entrambe le “classi di farmaci” contengono diverse sostanze che vanno dal principio attivo ai molti eccipienti. Spesso gli eccipienti contenuti negli equivalenti sono diversi da quelli del farmaco di marca e possono provocare problemi di allergia o di generica intolleranza. Inoltre i vari sali, esteri, eteri, isomeri, miscele di isomeri, complessi o derivati di una sostanza attiva sono considerati la stessa sostanza attiva, e questo potrebbe avere rilevanza sia nel rilascio del principio attivo che nelle insorgenze di altre allergie.
La Divisione di Farmacologia dell’Università di Palermo, nella relazione: “Farmaci originali e farmaci generici: osservazioni farmacologiche, cliniche e considerazioni medico legali circa l’appropriatezza”, sostiene che: “alla luce della non codificata presenza degli eccipienti nelle due diverse classi di farmaci, viene difficile ipotizzare una uguaglianza terapeutica in tutto e per tutto”. Cioè, le due classi di farmaci possono considerarsi diversi proprio a causa dei diversi eccipienti contenuti che rende quindi impossibile un confronto alla pari, con l’esclusione di un risparmio per il cittadino.
Inoltre il fenomeno del “bio-creep”, che certifica la non bioequivalenza tra alcuni equivalenti, è un altro problema che lo Stato cerca di compensare trasferendo al medico la facoltà di indicare la NON sostituibilità (tra equivalenti ma anche tra originale ed equivalente). La frequenza, con la quale il paziente si vede sostituire la marca del principio attivo, è indicata in una indagine esplorativa della ALSS 20 di Verona che ha osservato un cambiamento che raggiunge il 30% sui pazienti in trattamento cronico con un solo principio attivo, per raggiungere il 76% in quelli che assumono 4 o più principi attivi.
Inoltre il 17 dicembre 2012 il Presidente della Società Italiana Trapianti d'Organo (SITO), Prof. Pasquale Berloco, riferisce che: "Alcuni farmaci immunosoppressori, come tacrolimus, rientrano nella categoria dei farmaci a basso indice terapeutico: anche lievi modificazioni della concentrazione plasmatica di questi farmaci possono comportare gravi conseguenze in termini di tossicità o perdita di efficacia". Lo Stato, quindi, pur riconoscendo che alcuni principi attivi possono NON essere bioequivalenti e contenere eccipienti diversi, ha comunque introdotto diverse norme per forzare la prescrizione del principio attivo da parte del medico e forzare il farmacista nell’informare il paziente sul più economico equivalente.
Paradossalmente, l’obbligo di prescrizione del principio attivo da una parte, e la non sostituibilità del farmaco a brevetto scaduto dall’altra, rendono medici e pazienti disorientati, mentre l’ormai decennale assenza di un Orange book italiano - che dovrebbe indicare l’elenco dei farmaci sostituibili ed intercambiabili tra loro - giustifica e rafforza tali sospetti. Nell’articolo “Colpa anche dei medici, che manifestano un infondato atteggiamento di resistenza e scetticismo verso gli equivalenti”, pubblicato sul sito quotidianosanita.it il 20 dicembre 2012 si legge che sono ancora i medici che, manifestando un infondato atteggiamento di resistenza e scetticismo verso gli equivalenti, sono colpevoli di diventare fonte di confusione per i pazienti e soprattutto per i pazienti anziani”.

3- Infine il Sistema Sanitario Nazionale non risparmia con gli equivalenti ma spende di più sulla minor spesa attesa. L’indagine del Centro studi Merqurio riporta che il 79,7% dei medici ha avuto pazienti che si sono lamentati dell’inefficacia dell’equivalente rispetto al farmaco di marca, mentre il 58,5% dei medici ritiene che il farmaco di marca sia più efficace del generico. Un’indagine effettuata nel 2012 rileva anche che circa l’80% degli specialisti preferisce prescrivere esclusivamente il farmaco di marca, mentre nel 2006 i farmacisti che avevano espresso perplessità nei confronti dei farmaci generici raggiungevano una percentuale dell’88%. Nei primi mesi del 2012 le perplessità segnalate dal 33% dei farmacisti intervistati erano per il 73% legate all’efficacia, per il 67% ai differenti eccipienti, per il 50% alla quantità di principio attivo e per il 40% alla tollerabilità. Questi dati suggeriscono che medici e farmacisti hanno maturato una tale consapevolezza che può essere in parte ricondotta alle “doppie prescrizioni”.
Nella nostra esperienza, quando un paziente auto-sospende l’equivalente appena assunto e si ripresenta dal medico per chiedergli di tornare al farmaco originale, provoca una “doppia prescrizione”, cioè una doppia spesa per lo Stato, il quale prima paga l’equivalente, e subito dopo ri-paga l’originale. Allo stesso modo, il medico che raddoppia il dosaggio per lo scarso effetto terapeutico di un equivalente, rispetto al normale dosaggio del farmaco con brevetto scaduto, provoca ancora una spesa doppia per lo Stato che paga due confezioni dell’equivalente rispetto all’unica del farmaco con brevetto scaduto.
Nelle terapie croniche il “bio-creep” comporta fallimenti terapeutici che convincono il medico a tornare al farmaco di marca ed il paziente a pagare volentieri la differenza di prezzo. Questi pazienti sono gli stessi che in farmacia chiedono il farmaco a brevetto scaduto. Con un esempio di sole 20 doppie prescrizioni/anno riferite al 58,5% dei MMG dell’indagine sopra citata, e con una media di 8 € per confezione, lo Stato spenderebbe in più circa 4 milioni e 500 mila euro sulla minor spesa attesa.

Affermare quindi che il farmaco equivalente fa risparmiare lo Stato, non trova alcun riscontro nella nostra esperienza quotidiana. Obbligare il medico alla prescrizione del principio attivo, che può essere sostituito dal farmacista a sua insaputa, è ritenuto dagli stessi medici vessatorio e mortificante in termini di dignità morale e professionale. Giustificare il comma 11-bis art.15 della Legge 135/12 sull’obbligo della prescrizione del principio attivo significa agire contro la libera concorrenza ed il libero mercato che nel nostro Paese si traduce in un colpo di derivazione sovietica per il futuro delle Aziende Farmaceutiche di Ricerca, i cui profitti vengono tagliati per essere trasferiti alle Aziende di Generici in nome del Nulla ma con la conseguente, inutile perdita di migliaia di posti di lavoro tra gli informatori scientifici del farmaco italiani.

Dr. Riccardo Bevilacqua
Centro documentazione
Associazione italiana ISF aderente FEDERAISF


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