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Farmaci : con il principio attivo lo Stato spende di piu'
riceviamo
e pubblichiamo
La
Dott.ssa Annarosa Racca Presidente di Federfarma, nell’intervista
rilasciata il 3 novembre 2012 al quotidiano “La Stampa”, ha
asserito che: “…il farmaco equivalente ha fatto risparmiare”.
Il “Corriere della Sera” del 17 novembre scorso ha pubblicato
l’articolo: “Basta con le pressioni per i farmaci griffati”
dove il Ministro della Salute On. Renato Balduzzi ha riaffermato
che: “…l’indicazione del principio attivo al posto del
farmaco di marca è una norma equilibrata ed efficace sul piano
del risparmio”. Durante la trasmissione del TG2 “Servizio
Costume e Società”, andato in onda lo scorso 21 novembre,
è stato dichiarato: "Se usassimo i generici come negli
altri Paesi d'Europa il Servizio Sanitario Nazionale risparmierebbe
300 milioni all'anno".
Rispondiamo
a queste dichiarazioni, e a tantissime altre che esprimono
la stessa convinzione, che NON è il principio attivo in sé
che fa spendere meno il SSN, ma la perdita del brevetto. Inoltre,
le “doppie prescrizioni” dovute all’inefficacia terapeutica,
o agli effetti collaterali di alcuni principi attivi, generano
una “spesa doppia” per lo Stato. Anche il “risparmio per il
paziente”, che assume medicinali equivalenti, non è sempre
verosimile.
Lo scorso maggio, in un comunicato stampa, l’Agenzia parlamentare
AGENPARL asseriva che: “Sono ancora diversi i nodi da sciogliere
per consentire il decollo dei farmaci generici. Dalla qualità
all’efficacia terapeutica alla sostituibilità…”. Con tali
dichiarazioni è difficile sostenere un possibile risparmio.
Più
in dettaglio:
1-
Lo Stato non risparmia con gli equivalenti ma realizza una
minore spesa con la naturale scadenza del brevetto. Questa
condizione, infatti, apre il mercato alla concorrenza e spinge
equivalenti e farmaci off patent a costare meno, ed il Sistema
Sanitario Nazionale a rimborsare il prezzo di riferimento
del più economico equivalente (liste di trasparenza). Ciò
significa che lo Stato paga sempre lo stesso prezzo per equivalenti
e farmaco a brevetto scaduto. Non c’è risparmio, inoltre,
nel confronto tra un prezzo reale di un principio attivo attualmente
in commercio, e quello ormai inesistente dell’originale prima
della perdita del brevetto e, quindi, riferito al passato.
2-
Non si dovrebbe parlare di “risparmio” per i cittadini perché
il “farmaco equivalente” è diverso dal “farmaco a brevetto
scaduto”. Entrambe le “classi di farmaci” contengono diverse
sostanze che vanno dal principio attivo ai molti eccipienti.
Spesso gli eccipienti contenuti negli equivalenti sono diversi
da quelli del farmaco di marca e possono provocare problemi
di allergia o di generica intolleranza. Inoltre i vari sali,
esteri, eteri, isomeri, miscele di isomeri, complessi o derivati
di una sostanza attiva sono considerati la stessa sostanza
attiva, e questo potrebbe avere rilevanza sia nel rilascio
del principio attivo che nelle insorgenze di altre allergie.
La Divisione di Farmacologia dell’Università di Palermo, nella
relazione: “Farmaci originali e farmaci generici: osservazioni
farmacologiche, cliniche e considerazioni medico legali circa
l’appropriatezza”, sostiene che: “alla luce della non
codificata presenza degli eccipienti nelle due diverse classi
di farmaci, viene difficile ipotizzare una uguaglianza terapeutica
in tutto e per tutto”. Cioè, le due classi di farmaci
possono considerarsi diversi proprio a causa dei diversi eccipienti
contenuti che rende quindi impossibile un confronto alla pari,
con l’esclusione di un risparmio per il cittadino.
Inoltre il fenomeno del “bio-creep”, che certifica la non
bioequivalenza tra alcuni equivalenti, è un altro problema
che lo Stato cerca di compensare trasferendo al medico la
facoltà di indicare la NON sostituibilità (tra equivalenti
ma anche tra originale ed equivalente). La frequenza, con
la quale il paziente si vede sostituire la marca del principio
attivo, è indicata in una indagine esplorativa della ALSS
20 di Verona che ha osservato un cambiamento che raggiunge
il 30% sui pazienti in trattamento cronico con un solo principio
attivo, per raggiungere il 76% in quelli che assumono 4 o
più principi attivi.
Inoltre il 17 dicembre 2012 il Presidente della Società Italiana
Trapianti d'Organo (SITO), Prof. Pasquale Berloco, riferisce
che: "Alcuni farmaci immunosoppressori, come tacrolimus,
rientrano nella categoria dei farmaci a basso indice terapeutico:
anche lievi modificazioni della concentrazione plasmatica
di questi farmaci possono comportare gravi conseguenze in
termini di tossicità o perdita di efficacia". Lo
Stato, quindi, pur riconoscendo che alcuni principi attivi
possono NON essere bioequivalenti e contenere eccipienti diversi,
ha comunque introdotto diverse norme per forzare la prescrizione
del principio attivo da parte del medico e forzare il farmacista
nell’informare il paziente sul più economico equivalente.
Paradossalmente,
l’obbligo di prescrizione del principio attivo da una parte,
e la non sostituibilità del farmaco a brevetto scaduto dall’altra,
rendono medici e pazienti disorientati, mentre l’ormai decennale
assenza di un Orange book italiano - che dovrebbe indicare
l’elenco dei farmaci sostituibili ed intercambiabili tra loro
- giustifica e rafforza tali sospetti. Nell’articolo “Colpa
anche dei medici, che manifestano un infondato atteggiamento
di resistenza e scetticismo verso gli equivalenti”, pubblicato
sul sito quotidianosanita.it il 20 dicembre 2012 si legge
che sono ancora i medici che, manifestando un infondato atteggiamento
di resistenza e scetticismo verso gli equivalenti, sono colpevoli
di diventare fonte di confusione per i pazienti e soprattutto
per i pazienti anziani”.
3-
Infine il Sistema Sanitario Nazionale non risparmia con gli
equivalenti ma spende di più sulla minor spesa attesa. L’indagine
del Centro studi Merqurio riporta che il 79,7% dei medici
ha avuto pazienti che si sono lamentati dell’inefficacia dell’equivalente
rispetto al farmaco di marca, mentre il 58,5% dei medici ritiene
che il farmaco di marca sia più efficace del generico. Un’indagine
effettuata nel 2012 rileva anche che circa l’80% degli specialisti
preferisce prescrivere esclusivamente il farmaco di marca,
mentre nel 2006 i farmacisti che avevano espresso perplessità
nei confronti dei farmaci generici raggiungevano una percentuale
dell’88%. Nei primi mesi del 2012 le perplessità segnalate
dal 33% dei farmacisti intervistati erano per il 73% legate
all’efficacia, per il 67% ai differenti eccipienti, per il
50% alla quantità di principio attivo e per il 40% alla tollerabilità.
Questi dati suggeriscono che medici e farmacisti hanno maturato
una tale consapevolezza che può essere in parte ricondotta
alle “doppie prescrizioni”.
Nella nostra esperienza, quando un paziente auto-sospende
l’equivalente appena assunto e si ripresenta dal medico per
chiedergli di tornare al farmaco originale, provoca una “doppia
prescrizione”, cioè una doppia spesa per lo Stato, il quale
prima paga l’equivalente, e subito dopo ri-paga l’originale.
Allo stesso modo, il medico che raddoppia il dosaggio per
lo scarso effetto terapeutico di un equivalente, rispetto
al normale dosaggio del farmaco con brevetto scaduto, provoca
ancora una spesa doppia per lo Stato che paga due confezioni
dell’equivalente rispetto all’unica del farmaco con brevetto
scaduto.
Nelle terapie croniche il “bio-creep” comporta fallimenti
terapeutici che convincono il medico a tornare al farmaco
di marca ed il paziente a pagare volentieri la differenza
di prezzo. Questi pazienti sono gli stessi che in farmacia
chiedono il farmaco a brevetto scaduto. Con un esempio di
sole 20 doppie prescrizioni/anno riferite al 58,5% dei MMG
dell’indagine sopra citata, e con una media di 8 € per confezione,
lo Stato spenderebbe in più circa 4 milioni e 500 mila euro
sulla minor spesa attesa.
Affermare quindi che il farmaco equivalente fa risparmiare
lo Stato, non trova alcun riscontro nella nostra esperienza
quotidiana. Obbligare il medico alla prescrizione del principio
attivo, che può essere sostituito dal farmacista a sua insaputa,
è ritenuto dagli stessi medici vessatorio e mortificante in
termini di dignità morale e professionale. Giustificare il
comma 11-bis art.15 della Legge 135/12 sull’obbligo della
prescrizione del principio attivo significa agire contro la
libera concorrenza ed il libero mercato che nel nostro Paese
si traduce in un colpo di derivazione sovietica per il futuro
delle Aziende Farmaceutiche di Ricerca, i cui profitti vengono
tagliati per essere trasferiti alle Aziende di Generici in
nome del Nulla ma con la conseguente, inutile perdita di migliaia
di posti di lavoro tra gli informatori scientifici del farmaco
italiani.
Dr.
Riccardo Bevilacqua
Centro documentazione
Associazione italiana ISF aderente FEDERAISF
 
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