Pena
di morte : la scomparsa dei fatti
di
Claudio Giusti*
30 aprile 1859 Il Governo Provvisorio Toscano abolisce la
pena di morte
Dell’importanza del rispetto dei fatti nella lotta per l’abolizione
della pena di morte
Recenti fastidiosi avvenimenti mi fanno tornare su di un tema
che dovrebbe essere caro ad ogni abolizionista, perché la
lotta alla pena di morte non si fa con le frottole.
In Italia passa di tutto, ma negli Stati Uniti il cazzeggio
non è consentito e i dilettanti non sono graditi. Premetto
che nella pena di morte americana sbagliare è facile. Quel
sistema giudiziario è grande e complicato: consta di 53 giurisdizioni
ognuna delle quali ha il suo codice penale, quello di procedura
penale, le sentenze delle sue corti e la sua corte suprema.[1]
Chiunque ne scriva dovrebbe evitare il pressappochismo. Purtroppo
l’Italia non brilla per le cautele accademiche dei sui intellettuali
e i nostri testi sulla pena di morte americana sono infarciti
di ridicole sciocchezze. Anni fa qualcuno fece diventare 12
i giudici della Corte Suprema, quando anche Paolino Paperino
sa che sono nove.
C’è chi crede che le giurie decidano a maggioranza[2] mentre
occorre l’unanimità e chi spiega il processo capitale americano
e il suo tortuoso appello in uno scombussolato paragrafo:
“La procedura penale statunitense divide un processo per
omicidio (o per qualsiasi altro reato capitale) in due fasi
distinte. Nella prima fase (la sentenza) una giuria popolare
decide se l'imputato è innocente o colpevole. Durante la seconda
fase (la pena) la stessa giuria, un giudice, oppure una corte
formata da 3 giudici (a seconda degli stati) valuta le circostanze
aggravanti e attenuanti e decide la pena. Anche gli appelli
sono divisi in due fasi: quelli su innocenza o colpevolezza
e quelli sull'entità della pena.”[3]
Come
sempre accade nel nostro paese gli strafalcioni sono pedissequamente
riprodotti quasi con le stesse parole.[4] Si copiano notizie
vecchie di anni e si elargisce la cifra di 38 stati con la
pena di morte, anche se sono diventati 33[5].
Ma
quello che più urta il vecchio irritabile che sono diventato
è la frottola ossessivamente ripetuta dei condannati uccisi
e successivamente riabilitati grazie al test del DNA. Malauguratamente
nessun condannato a morte è stato riabilitato dalla giustizia
americana negli ultimi 100 anni, tantomeno grazie al DNA.
Ve ne sono stati in Inghilterra, in Cina e l’anno scorso Chiang
Kuo-ching a Taiwan, ma non in America. Questa
“ricerca del Santo Graal” non è utile al Movimento Abolizionista
che si dovrebbe occupare di colpevoli e non di presunti innocenti,
ma riconosco che è impossibile sottovalutare l’emozione causata
da un innocente condannato, poco importa se al carcere o alla
forca.
Ad
ogni modo trovo insopportabile che si scriva impunemente che:
“Un’altra serie statistica sconvolgente riguarda gli errori
giudiziari, identificati da quando è invalso l'uso sistematico
degli esami del Dna per il riesame delle esecuzioni: tra i
condannati a morte che sono finiti al patibolo negli ultimi
40 anni, ci sono 123 casi comprovati di innocenti. Postumi.”
e che: “Duecento settanta condannati a morte negli ultimi
30 anni sono stati completamente esonerati grazie ai nuovi
test del Dna condotti sui reperti forensi.”[6]. Nessuno
dei quasi 1.300 uccisi a partire dal 1972 è stato riabilitato
post mortem e, dei 140 condannati a morte usciti vivi dal
braccio, sono 17 quelli che devono la libertà al test del
DNA[7].
Sospetto
che questa italianissima leggenda metropolitana sia nata dalla
superficiale lettura di un articolo del settimanale inglese
Economist[8] che ha spinto Antonio Gambino a scrivere, nel
suo già molto criticabile libro[9], la frase da cui probabilmente
ha avuto inizio la nostra storia: “sempre negli Stati Uniti,
tra il 1976 e il 1998, sono state giustiziate 75 persone che,
in seguito, sono state ufficialmente riconosciute innocenti”.
Gambino capisce fischi per fiaschi giacché l’articolo si occupava
di una convention di innocenti tenutasi a Chicago (Cook County,
Illinois, a quel tempo nell’occhio del ciclone per i numerosi
casi di malagiustizia), ma ha il merito, o l’ingenuità, di
avere citato la sua fonte (cosa che i suoi imitatori si guarderanno
bene dal fare). Chi lesse il libro aveva la possibilità di
scoprire l’errore, ma solo se avesse avuto il bene della curiosità
scientifica. Ciò accade di rado e gli articolisti amano discettare
di testi che non conoscono o che hanno letto in traduzione.
Ma torniamo a noi. Il DNA si aggiunse a questa leggenda qualche
tempo dopo, quando si iniziò a parlare dei successi del Progetto
Innocenti che utilizza il test del DNA: l’unica prova che,
a fatica, costringe le autorità alla riapertura dei casi.
Fu così che gli innocenti liberati divennero poveri morti
riabilitati dalla scienza. Nessuno si prese la briga di conoscerne
i nomi, come nessuno si interessò alle loro tragiche vicende.
Eppure questo paese ha versato fiumi di inchiostro sui casi
della Cooper, di Barnabei, O’Dell, Willingham, Troy Davis.
Possibile
che nessuno abbia voluto raccontare le storie di tanti innocenti?
Eppure non sarebbe stata impresa ardua, bastava visitare il
sito del Death Penalty Information Center[10] dove avrebbero
conosciuto la solitaria vicenda di Roger Keith Coleman, il
cui postumo test del DNA fu inutilmente ottenuto dopo dieci
anni di furiose battaglie legali Nella vulgata italiana le
cifre cambiano e si contraddicono anche all’interno dello
stesso testo[11] e non si capisce se gli innocenti uccisi
siano 70 o 123.
A
nessuno viene in mente di citare le fonti, ma ormai sembra
che a sbagliare siano quelli che considerano la lotta alla
pena di morte una faccenda seria che non permette cialtronerie.
[1]
http://www.osservatoriosullalegalita.org/12/acom/04apr1/0211giustipenam.htm
http://www.osservatoriosullalegalita.org/12/acom/03mar2/2400giustiusjus.htm
[2]
Antonio Marchesi, La pena di morte, Laterza, 2004 pagina 69,
non fa differenza fra Alabama, Florida e le altre giurisdizioni
(mentre Forbice fa sparire la giuria, vedi nota 4) Per i complicati
dettagli del sentencing vedi: http://www.astrangefruit.org/index.php/it/risorse/732-the-american-death-penalty-sentencing
http://www.osservatoriosullalegalita.org/08/acom/11nov1/1001giustipenamors.htm
[3]
Nessuno Tocchi Caino, tutte le opere
[4]
Aldo Forbice, I signori della morte, Sperling, 2002 p 50 e
Assassini di stato, Garzanti, 2009 p 60 (i due libri sono
sostanzialmente identici)
[5]
Forbice, stesse pagine. Anche NTC fornisce la cifra di 38,
salvo poi aggiungere nel corpo del testo gli stati che sono
diventati abolizionisti.
[6]
Federico
Rampini, Se l'America licenzia il boia /1 Repubblica 18
aprile 2012
[7] Watt Espy stimava che il 5% dei 19.000 uccisi dal 1608
fosse innocente. Robert Bohm, Deathquest, An Introduction
to the Theory and Practice of Capital Punishment in the United
States. 4th Edition, Anderson, Cincinnati, 2012 p 213
[8]
One in Seven wasn’t Guilty. Economist Nov 281998
[9] L’imperialismo dei diritti umani, Editori Riuniti, 2001,
p 59
[10]
http://www.deathpenaltyinfo.org/innocence-and-death-penalty
[11] Forbice p 49 e 69 del primo libro e 59 e 73 del secondo
*
componente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio e
coordinatore della Commissione pena di morte
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