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11 gennaio 2012
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Alcoolismo : devianza e piaga sociale ancora sottovalutata
di Antonio Antonuccio*

Le bevande alcooliche rappresentano nel cosiddetto "mondo civile" le sostanze voluttuarie più diffuse; nonostante la gravità sociale proveniente dall'abuso, il loro consumo è tollerato (ove non addirittura stimolato). Le bevande a contenuto alcoolico - d'altra parte - sono profondamente radicate nelle abitudini alimentari, nelle consuetudini sociali e nella ritualità di quasi tutte le culture. E' risaputo come certi valori consolidati ne favoriscano il consumo. I soggetti che ben sopportano l'alcool - in effetti - sono considerati forti e virili; una buon bevuta è spesso un obbligatorio rituale di certe situazioni sociali come banchetti, feste o celebrazioni. Di questo, Bacco ne era ampiamente convinto ma, per quel "gran dio" che era considerato nell'Olimpo, avrebbe potuto considerare gli effetti provenienti dall'abuso.

Fatta la premessa, distinto è il consumo controllato e contenuto in quantità modeste - e come tale scevro dagli effetti collaterali e poco nocivo alla salute - dal consumo, ovverosia abuso, sia esso saltuario o abituale, cui sono invece legate le gravi conseguenze individuali e sociali derivanti dai riverberi negativi sul comportamento. Alla luce di ciò, è socialmente adeguato il comportamento di quei consumatori che gradiscono le bevande alcooliche mantenendosi, però, nei loro confronti del tutto liberi di gestirne l'uso, potendone interrompere l'assunzione senza alcuna difficoltà, senza sentire i bisogni imperiosi. Per fortuna, tale atteggiamento interessa la maggior parte delle persone senza comportare praticamente alcuna conseguenza nociva, sia fisica, sia psichica o ancora comportamentale.

L'abuso consiste nell'assunzione di quantità rilevanti di bevande alcooliche in un breve spazio di tempo. Si realizza, in tale ipotesi, un insieme di fenomeni somatici e psichici che configurano ciò che si chiama abitualmente "ubriachezza" che, a sua volta, a secondo dell'uso più o meno prolungato nel tempo, è meglio definita in etilismo o alcoolismo acuto o cronico, quest'ultimo detto genericamente alcoolismo. L'alcoolismo - secondo la letteratura medico-scientifica - può considerarsi una vera e propria tossicomania, dal momento che, in taluni individui, induce una forte dipendenza sia psichica sia fisica (alcool-dipendenza), così come avviene con gli stupefacenti.

L'alcoolista cioè non solo sente un desiderio irresistibile di assumere nuovamente tali bevande al fine di rivivere quegli stati psichici che sono a lui graditi, parliamo in questo caso di dipendenza psichica, ma ha anche un bisogno fisico, che si osserva in stati particolarmente avanzati, che si manifesta come sofferenza organica per la mancanza dell'alcool, parliamo in questo caso di dipendenza fisica. Si verificano, infatti, anche per l'alcoolismo vere e proprie sindromi da carenza e/o astinenza, così come accade per l'eroina o altri stupefacenti.

Una piaga sociale

Il panorama che si configura - in effetti - evidenzia che i problemi dovuti all'alcoolismo sono molto gravi e il fenomeno non è affatto in via di riduzione. Il consumo di alcool come abuso in Italia - in tal senso - è sicuramente significativo.

Da un punto di vista dell'analisi storica del fenomeno, si evidenzia che vi è stato indubbiamente un declino in quel tipo di alcoolismo, caratteristica delle classi e delle aree più povere; quell'alcoolismo - cioè - dei braccianti, dei contadini, dei montanari che era unito alla miseria e che coinvolgeva soprattutto i maschi dei ceti sociali più sfavoriti. Tale fenomeno - appunto - era più visibile nel sud e nel nord-est d'Italia. A questo tipo d'alcoolismo, detto anche "da vino" e legato al pauperismo, si è andato affiancando - nel tempo (oggi ormai superato) - un etilismo legato al maggior benessere economico, da consumo ad esempio di superalcolici costosi, che coinvolge anche le donne ed i giovani. Tal altro fenomeno è molto visibile, di contro, nel centro e nel nord Italia più industrializzato.

Le ragioni che possono portare all'alcoolismo sono molteplici: si possono individuare motivazioni individuali e sociali. Fra i fattori individuali sono importanti le carenze e i disturbi nella personalità, le deficienze intellettive, le nevrosi, le depressioni e certe psicosi. Queste sono condizioni che possono facilitare la dipendenza da alcool, ma - in verità - anche negli alcoolisti, come nei tossicomani, si possono riscontrare soggetti privi di predisposizioni e di disturbi di questo tipo. Più importanti sono certi tratti psicologici quali l'instabilità emotiva, l'incapacità di superare conflitti, l'insicurezza, la depressione e la fragilità dell'Io.

In letteratura si evidenzia come le personalità passive, dipendenti e immature tendono più facilmente a risolvere illusoriamente i problemi dell'esistenza mediante il ricorso ad un mediatore chimico qual è l'alcool, anziché attraverso le risorse interiori. L'influenza di fattori sociali e culturali sono, peraltro, ugualmente importanti anche per questo tipo di devianza. La nostra cultura è innanzitutto molto tollerante verso l'abuso di alcoolici: ciò costituisce un fattore di per sé favorente l'eccesso del consumo. Le difficoltà e le frustrazioni della vita sono certamente determinanti e di notevole significato; mancano - però, in genere - nell'alcoolista, contrariamente a quanto si verificava in passato per i consumatori di droghe, i significati oppositivi e di protesta. L'abuso dell'alcool è - per questo - definito come una devianza tipicamente passiva, frutto del disimpegno ed evasione dalle difficoltà; si tratta di una tipica condotta astensionistica o di rinuncia.

Aspetti criminogeni

Pare ovvio nell'affrontare la questione - nel tentativo di essere più esaustivi - che agli aspetti che studiano l'eziologia di tale morbo sociale debba essere associato lo studio di quegli aspetti cosiddetti "criminogeni". L'alcoolismo - in maniera lapalissiana - è una forma di devianza che si riflette in modo rilevante sul comportamento. E' questo un motivo che non consente - ovviamente - di trascurare la sua importanza "criminogenetica". Delle risultanti di tale aspetto, si può averne conferma confrontando la frequenza di alcolizzati fra i campioni di delinquenti comuni recidivi. I dati fanno ritenere, a titolo indicativo, che fra di essi il numero di coloro che abusano di alcoolici sia da quattro a otto volte superiore a quanto si riscontra fra la popolazione generale. Esaminando l'aspetto in senso opposto, risulta che in un campione di bevitori cronici il rischio di compiere reati è assai più elevato di quanto non sia per un campione di soggetti sobri. Per tale evidenza può considerarsi l'alcoolismo come un fattore sicuramente selettivo nel facilitare le condotte delittuose, il che è ampiamente comprensibile per le caratteristiche degli effetti psichici indotti dall'alcool.

Gli studi effettuati non confermano una trasmissione genetica degli alcoolisti per quanto attiene al comportamento criminale. Pur tuttavia, può ammettersi al più l'ipotesi di un legame ereditario di certe caratteristiche psichiche e di personalità quali per esempio la passività, l'immaturità, la scarsa capacità d'inibizione, la labilità emotivo-affettiva e la fragilità dell'Io. Tali caratteristiche - confermate in letteratura - sono responsabili sia dell'etilismo sia della criminalità, ambedue sintomi - perciò - di un comune disturbo psicologico. Più frequentemente, però, la correlazione fra criminalità ed etilismo dei genitori è espressione delle gravi ripercussioni che derivano in seno alla famiglia quando uno o entrambi i genitori sono alcoolisti; la correlazione - in tal senso - è più ambientale che biologica. I figli dei bevitori vivranno infatti più facilmente in ambienti miseri e diseducativi; saranno esposti a difficoltà sociali ed economiche per l'incostanza dei genitori nel lavoro. La condotta spesso degradata, immorale, aggressiva del genitore può compromettere i processi di identificazione, può fornire modelli negativi e imporre nel clima familiare norme comportamentali asociali e valori violenti.

L'alcoolismo - nelle sue correlazioni con la criminalità, tuttavia - è sempre ovviamente più importante se presente nei singoli delinquenti che nei loro genitori. Ritornando al problema che, se da una parte, è vero considerare il degrado sociale, la diserzione dal lavoro, il conseguente pauperismo, il decadimento morale, l'indifferenza per i doveri come conseguenze dell'etilismo cronico che possono facilitare lo slittamento verso forme non riconducibili a fattispecie qualificate di criminalità abituale o professionale, di contro, è altrettanto vero che non esiste ovviamente alcun rapporto obbligato fra etilismo cronico e delitto, essendo ben compatibile l'abuso alcoolico con una condotta che, pur essendo sempre fonte di disagio, non è però necessariamente delittuosa.

Molto più chiare sono le correlazioni dirette fra etilismo acuto e criminalità: lo stato di ebbrezza, che può realizzarsi come è ovvio tanto nel bevitore abituale come in quello occasionale, induce disinibizione e pertanto slatentizza la violenza e debilita i freni morali e normativi, che abitualmente consentono il controllo delle pulsionalità antisociali. Da qui l'alta frequenza, in stato di alcoolismo acuto, di condotte aggressive, da quelle più innocue e puramente verbali (ingiurie, offese e oltraggi), a quelle più gravi contro le persone (percosse, maltrattamenti in famiglia, litigi, risse e lesioni fino all'omicidio). Abbastanza caratteristici sono anche i reati sessuali compiuti in stato di ubriachezza: dalla semplice molestia alla violenza carnale, in particolar modo quella incestuosa. Di significativa importanza sociale è, inoltre, la condotta pericolosa alla guida di autoveicoli in stato di ebbrezza (a cui possono ricondursi le tragedie del "sabato sera").

Un fenomeno sottovalutato

Alla luce di quanto fin qui esposto, è opportuno considerare il diverso modo con il quale vengono affrontati e percepiti i due gravi problemi dell'alcoolismo e della tossicodipendenza, sul piano dell'interesse pubblico e dell'allarme sociale ma, anche, dalla parte politica.

I rischi e i danni dell'alcoolismo sono globalmente sottostimati, sia come numero di persone coinvolte (in questo caso è bene ricordare il numero oscuro statistico, cioè il numero di soggetti alcoolisti che non emerge alla luce perché non denunciato per un opinabile retaggio culturale), sia come danno sociale (basti pensare al solo prezzo di vite umane pagato per la guida in stato di ebbrezza), sia - infine - come danno alla salute (sebbene non sempre bene evidenziato, è più elevato il numero dei morti per alcool che per droga). Gli interventi sanitari preventivi/curativi e riabilitativi degli enti pubblici sono quasi esclusivamente rivolti alla tossicodipendenza, contrariamente a quanto avviene in altri paesi con problemi di alcoolismo analoghi ai nostri.

Dal punto di vista del dibattito politico in materia, per quanto attiene alla normativa penale, si è visto che solo dal 1986 con la riforma sull'Ordinamento Penitenziario, con la cosiddetta "Legge Gozzini" e, successivamente nel 1999, con la cosiddetta "Legge Simeone" si è codificata una esecuzione penale alternativa (per soggetti alcoolisti con condanna penale definitiva) e, per quanto attiene alla cura e riabilitazione grazie alla Legge 309/90, si sono previste le modalità di prevenzione, cura e riabilitazione presso le strutture sanitarie pubbliche (i cosiddetti SER.T).

E' fin troppo evidente - ancora oggi, salvo questa lodevole eccezione - che il grave etilista sia percepito dalla vulgata comune e dalla legge solo come un vizioso, piuttosto che come una persona coinvolta da una grave dipendenza fisica e psichica che vive un "comportamento problematico" per sé e per la società. L'impegno della politica è colpevolmente assente ed il dibattito sociale - con un andamento oscillante (frutto delle contingenze, come le morti del "sabato sera") - è del tutto inefficace.

Cionondimeno è sempre opportuno non dimenticare che l'alcooldipendente, come il tossicodipendente, mantiene una quota di responsabilità che è propria di colui che abusa, il quale effettua una scelta con rischi a lui ben noti, anche se poi, instauratasi la dipendenza, gli è difficile sottrarsi alla sostanza, sia essa alcool o droga.

* Specialista in Criminalità, Devianza e Sistema Penitenziario


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