Morire
a nove mesi con un proiettile in testa
di
Domenico Ciardulli*
Una
cronista televisiva ha domandato ad alcuni connazionali cinesi
che abitano a Torpignattara se conoscessero le vittime della
rapina. La risposta è stata disarmante e respingente: "io
no capire io no parlare bene italiano.. no no.."
Una bambina uccisa con un colpo in testa durante una rapina
è un segnale pesante di minaccia per tutti coloro che hanno
intenzione di fare resistenza o di opporsi al racket delle
estorsioni. Non si tratta di quartieri "patologici" o di frange
isolate di balordi. E' l'intero tessuto sociale urbano che
si sta frantumando, sfaldando e si sta trasformando in un
nuovo "medioevo" del terzo millennio.
La
criminalità organizzata e il suo sottobosco delinquenziale
avanzano e prosperano nelle città per tre motivi: uno riguarda
il disagio sociale, la povertà dilagante che spinge sempre
più persone alla scelta disperata di farsi reclutare da certi
giri periferici di "manovalanza" e di "lavori sporchi". Giri
collegati, attraverso invisibili e impenetrabili livelli gerarchici,
alle grandi organizzazioni camorristiche e mafiose e alla
loro industria della droga, del riciclaggio di danaro sporco,
del racket commerciale e immobiliare.
Un
secondo fattore che fa attecchire la microcriminalità è il
terreno fertile dell'illegalità diffusa, della tendenza capillare
ad ogni livello, sia istituzionale che individuale a non rispettare
le regole, al "lassismo" e al "faidate". Non si tenta nemmeno
di fare "cordone sanitario" contro abusivismi che profanano
il verde pubblico, non si boicottano esercizi commerciali
in odore di mafia e di riciclaggio, si tende a declinare ogni
attribuzione di responsabilità civica e a rifiutare il ruolo
di cittadinanza attiva. Un ruolo che è fondamentale per ogni
democrazia che si rispetti.
Una terza e forse più importante motivazione consiste nella
progressiva atomizzazione delle comunità e dei quartieri favorita
da una politica inadeguata, incapace e fraudolenta, da amministratori
che, non solo non riescono o non vogliono tutelare la legalità,
ma non si fanno catalizzatori di reti comunitarie solidali
tra i cittadini. Al contrario, la politica locale continua
a puntare, con i propri atti e deliberazioni, sul clientelismo,
sulla propaganda e sul controllo di ogni iniziativa di aggregazione
civica che viene solitamente vista come potenziale ostacolo
all'esercizio discrezionale del proprio potere.
Per
descrivere meglio l'evoluzione delle nostre comunità urbane
vogliamo prendere in prestito le seguenti parole di Claudio
Magris pubblicate oggi sul Corriere della Sera nell'ambito
di un articolo sui tempi che cambiano: "...Oggi quella
omogeneizzazione si è capovolta nel suo contrario, in un pulviscolo
di diversità contraddittorie, in una miriade di microcosmi
sempre più piccoli e particolari, che si suddividono in unità
a loro volta sempre più piccole e particolari, riluttanti
a riconoscersi parte di una totalità che le comprende e reclamanti
ognuna la propria diversità- nazionale, culturale, etnica,
politica, giuridica. Alla geometria del Moderno è subentrato
un Medioevo globale, frazionato, atomistico..."
Sta venendo meno sempre di più quel collante tra persone,
tra famiglie, tra gruppi che ha sempre rappresentato soprattutto
nei quartieri periferici delle città un efficace anticorpo
contro la crescente e invadente microcriminalità. In questo
deserto di socialità e socializzazione, le singole persone
e le singole famiglie sono sempre più in balia della paura
e si sentono soli rispetto a possibili aggressioni improvvise
per strada o nelle proprie case.
Per
cambiare le cose nella città di Roma, abitata da diversi milioni
di persone, basteranno gli annunciati 130 poliziotti in più?
No, la risposta è ovvia! E' importante il controllo del territorio
da parte delle Istituzioni come è fondamentale riappropriarsi
di tutti quegli spazi degradati e abbandonati per renderli
luoghi fruibili di aggregazione, cultura e socializzazione.
Servono scelte di politiche sociali innovative che contrastino
le sacche di xenofobia, l'individualismo e l'illegalità diffusa.
I
cosiddetti Piani Regolatori Sociali dei municipi, ad esempio,
non possono continuare ad essere uno sterile documento concordato
con padroni e padroncini del Terzo Settore da approvare al
più presto perchè obbligatorio per legge. La mappa dei bisogni
di un territorio, la sua lettura e interpretazione va condivisa
estesamente con i cittadini di quel territorio, con gli utenti
dei servizi, con gli operatori che sono a contatto quotidiano
con il disagio sociale.
Cittadini più uniti e solidali, più attenti al proprio vicinato,
meno segregati nei propri interessi corporativi e particolaristici
sono elemento determinante per un'inversione di rotta e per
non precipitare in maniera irreversibile nel "Medioevo globale".
*
Coordinatore della Commissione "Legalità
nel sociale" dell'Osservatorio
 
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