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10 agosto 2011
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Maltrattamenti in famiglia: Tribunale di Bologna, Sent 20-06-2011

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso in data 15.4.2009, Ca.Ma. era rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 572, 81 cpv. - 56 - 614 comma 4, 614 comma 4 e 658 c.p., come meglio specificato nei capi d'imputazione. In sede di udienza preliminare, le parti concordavano l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di vari atti e documenti, fra cui: denuncia di Ga.Si. in data 2.8.2008 e successive integrazioni, annotazioni e relazioni di servizio della locale Questura, certificati medici rilasciati a Ga.Si., verbale di s.i.t. di Ar.Gi., verbale di interrogatorio di Ca.Ma. in data 28.11.2008 (cfr. verbale di udienza preliminare del 15.4.2009). Entro il termine di cui all'art. 491 comma 1 c.p.p. le parti non sollevavano alcuna eccezione di nullità dei capi d'imputazione sub b) e c) per insufficiente enunciazione dei fatti ivi contestati. Nel corso del dibattimento venivano esaminati i testi Ga.Si., Ca.Ni., Ri.Gi. e Ga.Fa.

Dalla testimonianza della persona offesa si evince quanto segue. Nel periodo marzo 2008 - agosto 2008 Ga.Si., madre di una bambina che allora aveva tre anni, conviveva con Ca.Ma., nell'abitazione di costei sita in omissis; la convivenza durò fino al 2010. In detto periodo si verificarono frequenti liti ("spesso capitavano liti, liti non solo magari verbali"), nel corso delle quali Ga.Si. veniva ingiuriata (con parole come "troia, puttana"), minacciata ("ti faccio vedere io", "se non mi apri ti aspetto sotto casa", "ti ammazzo") e percossa (con un pugno, il lancio di un accendino, i capelli tirati, una presa alla gola), al punto di riportare lesioni. Ca.Ma. abusava di alcol e questo era uno dei motivi delle predette liti, che causavano in Ga.Si. uno stato di ansia, di agitazione e paura. In varie occasioni Ca.Ma. cercò di entrare o entrò clandestinamente e con violenza nell'abitazione di Ga.Si.

OMISSIS Sulla base del compendio probatorio sopra delineato deve ritenersi pienamente provata la penale responsabilità dell'imputato per tutti i reati ascrittigli così come contestati, con la sola eccezione dell'episodio di violazione di domicilio del 9.9.2008, rispetto al quale non risulta provata l'aggravante della violenza (la persona offesa, infatti, in udienza ha riferito di non ricordare se in quell'occasione fu o meno picchiata). Non può, dunque, procedersi per il reato di cui all'art. 614 c.p. commesso in data 9.9.2008, essendo intervenuta remissione di querela in data 27.11.2008 (cfr. verbale redatto in tale data presso la Stazione Carabinieri di omissis) ed accettazione all'udienza in data 28.2.2011. Nei fatti sopra esposti sono, invece, ravvisabili tutti gli elementi delle altre fattispecie delittuose contestate, che sono procedibili d'ufficio.

In particolare, riguardo al reato di cui al capo a), si osserva quanto segue. Risulta dagli elementi sopra indicati che l'imputato ha posto in essere per un considerevole arco di tempo tutta una serie di atti (di disprezzo, di minaccia e di violenza) certamente lesivi dell'integrità psico-fisica della convivente Ga.Si., nei confronti della quale è stata posta in essere una condotta di sopraffazione abituale e sistematica, tale da rendere la convivenza intollerabile (tanto che Ga.Si. ha riferito di uno stato d'ansia e di agitazione, nonché di temere per la propria incolumità personale: cfr. denunce in atti). Una simile condotta integra pacificamente il delitto di cui all'art. 572 c.p. (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7192).

Quanto all'elemento soggettivo, non vi è dubbio che l'imputato abbia avuto la coscienza e volontà di compiere le condotte contestategli e di sottoporre Ga.Si. ad una serie di vessazioni e lo stesso prevenuto ha spiegato (in sede di interrogatorio) di averlo fatto per motivi di gelosia, soprattutto dopo aver bevuto (sulla sufficienza, ai fini del dolo, della consapevolezza di persistere in un'attività vessatoria, cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 14 luglio 2003, n. 33106 e Cass. Pen., Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 16836, ovvero della coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo abituale, cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 18 marzo 2008, n. 27048).

In relazione al reato commesso in data 24.7.2008 di cui al capo b), si rileva che Ga.Si. in udienza ha chiaramente riferito che il 24.7.2008 Ca.Ma. tentò di entrare nella sua abitazione forzando una finestra e danneggiando la stessa: detta condotta - certamente intenzionale per le modalità con cui è stata realizzata - integra pienamente la fattispecie di cui agli artt. 56, 614 comma 4 c.p. in relazione all'ipotesi della violenza sulle cose. Riguardo al reato di cui al capo c), si osserva che la persona offesa ha riferito che il giorno 1.9.2008 l'imputato entrò dalla stessa finestra con una forte spinta sebbene ella tentasse di impedirglielo cercando di chiuderla: tale condotta - della cui volontarietà non può dubitarsi per le modalità di realizzazione e per il contesto in cui si inserisce - configura il delitto di cui all'art. 614 comma 4 c.p. aggravato dalla violenza alla persona (essendo la spinta diretta contro la persona offesa che cercava di richiudere la finestra).

In ordine alla contravvenzione di cui al capo e), la stessa risulta pienamente provata sulla base di quanto riferito sia dalla persona offesa sia dal teste Ga.Fa. (in servizio presso il Commissariato di P.S. omissis): il 22.9.2008 quest'ultimo intervenne perché l'imputato aveva denunciato che gli sparavano addosso, ma sul posto non vi era nessuno che sparava e poco prima lo stesso imputato aveva detto a Ga.Si. che avrebbe chiamato la Polizia, quindi si era messo a correre, urlando che gli sparavano. Così affermata la penale responsabilità di Ca.Ma. per tutti i suddetti reati, va rilevato che gli stessi appaiono commessi in esecuzione di un medesimo disegno (vessare Ga.Si.) e pertanto deve applicarsi il disposto di cui all'art. 81 cpv. c.p. (per la configurabilità della continuazione in caso di reati puniti con pene eterogenee e di specie diversa, cfr. Cass. Pen., Sez. I, 4.6.2004, n. 28514; Cass. Pen., Sez. I, 2.4.2009, n. 15986).

Quanto al trattamento sanzionatorio, esclusa la concedibilità delle attenuanti generiche in carenza di elementi che possano giustificarle, si deve determinare la pena finale in anni due e mesi sei di reclusione, avuto riguardo - nell'ambito della complessiva e comparativa applicazione di tutti i parametri di cui all'art. 133 c.p. - in particolare alla gravità dei fatti ed alla personalità dell'imputato quale si desume dai suoi precedenti penali. Tale pena è così calcolata: ritenuto più grave il reato di cui al capo a), pena base di anni due di reclusione, aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di mesi tre di reclusione per il reato di cui al capo a), mesi due di reclusione per il reato tentato di cui al capo b) e mesi uno di reclusione per il reato di cui al capo e).

Dalla condanna deriva l'obbligo, per l'imputato, di provvedere al pagamento delle spese processuali. I precedenti penali dell'imputato sono ostativi all'applicazione del beneficio di cui all'art. 163 c.p.

P.Q.M.

Visti ed applicati gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ca.Ma. responsabile dei reati ascrittigli ai capi a), b) limitatamente al reato di cui agli artt. 56, 614 comma 4 c.p. commesso il 24.7.2008, c) ed e) e, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 152 c.p., 521 e 531 c.p.p., esclusa l'aggravante di cui all'art. 614 comma 4 c.p. in relazione al reato di cui al capo b) commesso il 9.9.2008, dichiara non doversi procedere nei confronti di Ca.Ma. per detto reato, essendo estinto per intervenuta remissione di querela.

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Commento alla sentenza

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