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Maltrattamenti
in famiglia: Tribunale di Bologna, Sent 20-06-2011
Svolgimento
del processo - Motivi della decisione
Con
decreto ex art. 429 c.p.p. emesso in data 15.4.2009, Ca.Ma.
era rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui agli
artt. 572, 81 cpv. - 56 - 614 comma 4, 614 comma 4 e 658 c.p.,
come meglio specificato nei capi d'imputazione. In sede di
udienza preliminare, le parti concordavano l'acquisizione
al fascicolo per il dibattimento di vari atti e documenti,
fra cui: denuncia di Ga.Si. in data 2.8.2008 e successive
integrazioni, annotazioni e relazioni di servizio della locale
Questura, certificati medici rilasciati a Ga.Si., verbale
di s.i.t. di Ar.Gi., verbale di interrogatorio di Ca.Ma. in
data 28.11.2008 (cfr. verbale di udienza preliminare del 15.4.2009).
Entro
il termine di cui all'art. 491 comma 1 c.p.p. le parti non
sollevavano alcuna eccezione di nullità dei capi d'imputazione
sub b) e c) per insufficiente enunciazione dei fatti ivi contestati.
Nel corso del dibattimento venivano esaminati i testi Ga.Si.,
Ca.Ni., Ri.Gi. e Ga.Fa.
Dalla testimonianza della persona offesa si evince quanto
segue. Nel periodo marzo 2008 - agosto 2008 Ga.Si., madre
di una bambina che allora aveva tre anni, conviveva con Ca.Ma.,
nell'abitazione di costei sita in omissis; la convivenza durò
fino al 2010. In detto periodo si verificarono frequenti liti
("spesso capitavano liti, liti non solo magari verbali"),
nel corso delle quali Ga.Si. veniva ingiuriata (con parole
come "troia, puttana"), minacciata ("ti faccio vedere io",
"se non mi apri ti aspetto sotto casa", "ti ammazzo") e percossa
(con un pugno, il lancio di un accendino, i capelli tirati,
una presa alla gola), al punto di riportare lesioni. Ca.Ma.
abusava di alcol e questo era uno dei motivi delle predette
liti, che causavano in Ga.Si. uno stato di ansia, di agitazione
e paura. In varie occasioni Ca.Ma. cercò di entrare o entrò
clandestinamente e con violenza nell'abitazione di Ga.Si.
OMISSIS Sulla base del compendio probatorio sopra delineato
deve ritenersi pienamente provata la penale responsabilità
dell'imputato per tutti i reati ascrittigli così come contestati,
con la sola eccezione dell'episodio di violazione di domicilio
del 9.9.2008, rispetto al quale non risulta provata l'aggravante
della violenza (la persona offesa, infatti, in udienza ha
riferito di non ricordare se in quell'occasione fu o meno
picchiata). Non può, dunque, procedersi per il reato di cui
all'art. 614 c.p. commesso in data 9.9.2008, essendo intervenuta
remissione di querela in data 27.11.2008 (cfr. verbale redatto
in tale data presso la Stazione Carabinieri di omissis) ed
accettazione all'udienza in data 28.2.2011. Nei fatti sopra
esposti sono, invece, ravvisabili tutti gli elementi delle
altre fattispecie delittuose contestate, che sono procedibili
d'ufficio.
In particolare, riguardo al reato di cui al capo a), si osserva
quanto segue. Risulta dagli elementi sopra indicati che l'imputato
ha posto in essere per un considerevole arco di tempo tutta
una serie di atti (di disprezzo, di minaccia e di violenza)
certamente lesivi dell'integrità psico-fisica della convivente
Ga.Si., nei confronti della quale è stata posta in essere
una condotta di sopraffazione abituale e sistematica, tale
da rendere la convivenza intollerabile (tanto che Ga.Si. ha
riferito di uno stato d'ansia e di agitazione, nonché di temere
per la propria incolumità personale: cfr. denunce in atti).
Una simile condotta integra pacificamente il delitto di cui
all'art. 572 c.p. (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003,
n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7192).
Quanto all'elemento soggettivo, non vi è dubbio che l'imputato
abbia avuto la coscienza e volontà di compiere le condotte
contestategli e di sottoporre Ga.Si. ad una serie di vessazioni
e lo stesso prevenuto ha spiegato (in sede di interrogatorio)
di averlo fatto per motivi di gelosia, soprattutto dopo aver
bevuto (sulla sufficienza, ai fini del dolo, della consapevolezza
di persistere in un'attività vessatoria, cfr. Cass. Pen.,
Sez. VI, 14 luglio 2003, n. 33106 e Cass. Pen., Sez. VI, 18
febbraio 2010, n. 16836, ovvero della coscienza e volontà
di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in
modo abituale, cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 18 marzo 2008, n.
27048).
In relazione al reato commesso in data 24.7.2008 di cui al
capo b), si rileva che Ga.Si. in udienza ha chiaramente riferito
che il 24.7.2008 Ca.Ma. tentò di entrare nella sua abitazione
forzando una finestra e danneggiando la stessa: detta condotta
- certamente intenzionale per le modalità con cui è stata
realizzata - integra pienamente la fattispecie di cui agli
artt. 56, 614 comma 4 c.p. in relazione all'ipotesi della
violenza sulle cose. Riguardo al reato di cui al capo c),
si osserva che la persona offesa ha riferito che il giorno
1.9.2008 l'imputato entrò dalla stessa finestra con una forte
spinta sebbene ella tentasse di impedirglielo cercando di
chiuderla: tale condotta - della cui volontarietà non può
dubitarsi per le modalità di realizzazione e per il contesto
in cui si inserisce - configura il delitto di cui all'art.
614 comma 4 c.p. aggravato dalla violenza alla persona (essendo
la spinta diretta contro la persona offesa che cercava di
richiudere la finestra).
In ordine alla contravvenzione di cui al capo e), la stessa
risulta pienamente provata sulla base di quanto riferito sia
dalla persona offesa sia dal teste Ga.Fa. (in servizio presso
il Commissariato di P.S. omissis): il 22.9.2008 quest'ultimo
intervenne perché l'imputato aveva denunciato che gli sparavano
addosso, ma sul posto non vi era nessuno che sparava e poco
prima lo stesso imputato aveva detto a Ga.Si. che avrebbe
chiamato la Polizia, quindi si era messo a correre, urlando
che gli sparavano. Così affermata la penale responsabilità
di Ca.Ma. per tutti i suddetti reati, va rilevato che gli
stessi appaiono commessi in esecuzione di un medesimo disegno
(vessare Ga.Si.) e pertanto deve applicarsi il disposto di
cui all'art. 81 cpv. c.p. (per la configurabilità della continuazione
in caso di reati puniti con pene eterogenee e di specie diversa,
cfr. Cass. Pen., Sez. I, 4.6.2004, n. 28514; Cass. Pen., Sez.
I, 2.4.2009, n. 15986).
Quanto al trattamento sanzionatorio, esclusa la concedibilità
delle attenuanti generiche in carenza di elementi che possano
giustificarle, si deve determinare la pena finale in anni
due e mesi sei di reclusione, avuto riguardo - nell'ambito
della complessiva e comparativa applicazione di tutti i parametri
di cui all'art. 133 c.p. - in particolare alla gravità dei
fatti ed alla personalità dell'imputato quale si desume dai
suoi precedenti penali. Tale pena è così calcolata: ritenuto
più grave il reato di cui al capo a), pena base di anni due
di reclusione, aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di mesi tre
di reclusione per il reato di cui al capo a), mesi due di
reclusione per il reato tentato di cui al capo b) e mesi uno
di reclusione per il reato di cui al capo e).
Dalla condanna deriva l'obbligo, per l'imputato, di provvedere
al pagamento delle spese processuali. I precedenti penali
dell'imputato sono ostativi all'applicazione del beneficio
di cui all'art. 163 c.p.
P.Q.M.
Visti
ed applicati gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ca.Ma. responsabile
dei reati ascrittigli ai capi a), b) limitatamente al reato
di cui agli artt. 56, 614 comma 4 c.p. commesso il 24.7.2008,
c) ed e) e, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena
di anni due e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle
spese processuali; visti gli artt. 152 c.p., 521 e 531 c.p.p.,
esclusa l'aggravante di cui all'art. 614 comma 4 c.p. in relazione
al reato di cui al capo b) commesso il 9.9.2008, dichiara
non doversi procedere nei confronti di Ca.Ma. per detto reato,
essendo estinto per intervenuta remissione di querela.
 
Commento
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