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Osservatorio
: rapporto sulle carceri 2011
di Antonio Antonuccio*
Nel 2011 - rispetto agli ultimi dieci anni - in Italia, la
situazione delle carceri non ha registrato i miglioramenti
che, da più parti (politiche, sociali, economiche, etc.),
si auspicavano; lo status quo è ancora quello dell'emergenza,
tanto da dover pensare che la condizione - per la palese assenza
di determinazione dimostrata dalla politica - sia ormai fuori
controllo. Le aspettative - oltre che legittime - erano suffragate
dagli impegni che gli addetti ai lavori avevano assunto nell'anno
precedente.
In effetti, il 2010, per quanto rappresentato e per le decisioni
che si ipotizzava da intraprendere, sembrava potesse essere
considerato "l'anno della svolta", con un chiaro indirizzo
per il futuro del nostro malato sistema penitenziario. L'allora
Presidente del Consiglio dei Ministri, nelle more della presentazione
del decreto per lo "stato di emergenza" in cui versava l'Italia,
affermò che "… uno Stato civile, se può togliere la libertà
a chi ha commesso un reato ed è stato giudicato colpevole,
non può togliere anche la dignità al condannato, attentando
alla sua salute …"; pertanto, decise di doversi considerare
il sovraffollamento carcerario alla stregua di altri eventi
di una certa gravità, come " le calamità naturali, le catastrofi
od altri eventi, per intensità ed estensione, che debbono
essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari".
Tale dichiarazione dello stato di emergenza, che doveva essere
valida fino al 31 dicembre del 2010, costituiva - così come
ha affermato il Magistrato di Sorveglianza Pavarin - solo
il punto di partenza di un articolato piano di intervento
del Governo per risolvere il problema del sovraffollamento
carcerario, basato su tre pilastri.
Il
primo pilastro consisteva nell'adozione di misure straordinarie
di edilizia penitenziaria dirette alla costruzione di nuovi
padiglioni ed alla ristrutturazione di padiglioni preesistenti
(in tal senso, risulta non trascurabile sapere che una prigione
su cinque risale a un periodo che risale fra il 1200 e il
1500 e spesso è sottoposta a rigorosi vincoli architettonici),
nonché alla realizzazione di nuove strutture carcerarie, con
la previsione finale di 21.709 nuovi posti;
il secondo pilastro avrebbe dovuto consistere in misure
intese a consentire una progressiva diminuizione della popolazione
carceraria con due norme di accompagnamento destinate - da
un lato - alla possibilità di "scontare presso il proprio
domicilio" l'ultimo anno di pena residua (eccezion fatta per
i condannati per reati gravi) - dall'altro - a consentire
la messa alla prova delle persone "imputabili per reati fino
a tre anni", che avrebbero potuto svolgere lavori di pubblica
utilità per riabilitarsi, con conseguente sospensione del
processo;
il terzo pilastro avrebbe dovuto consistere nell'implementazione
dell'organico della polizia penitenziaria con la previsione
dell'assunzione di 2000 nuovi agenti, al dichiarato fine di
"meglio gestire in termini di dignità del lavoro e di dignità
della detenzione" la popolazione detenuta. Di questi pilastri
solo la legge c.d. "svuota carceri" (legge n° 199 del 26 novembre
2010) ha visto la luce, gli altri provvedimenti da attuare
sono (quasi) rimasti dichiarazioni di intenti. La stessa legge
- tuttavia, nel corso della stesura - a causa dei limiti opposti
per la sua concessione e dei rimaneggiamenti apportati (sul
testo originario) per soddisfare le parti politiche, come
per una sorta di "profezia che si autoavvera", non ha avuto
gli effetti desiderati.

Ad
oggi, ne consegue un immaginario che è ormai sedimentato e
che induce l'osservatore esterno - in tal senso - a pensare
(forse a dimostrazione di una mancata vera sensibilità al
problema) che il carcere è sempre più inteso (solo) come una
punizione per chi ha commesso un reato, anziché un luogo di
riabilitazione come prevedono la Costituzione e la legge per
l'Ordinamento Penitenziario.
Qualcuno ancora, per rappresentare il panorama, usa l'espressione
"disagio", senza rendesi conto che trattasi semplicemente
di un eufemismo; è più giusto affermare che ci troviamo quotidianamente
davanti ad una tragedia. L'affollamento degli istituti di
detenzione, il numero elevato dei suicidi e delle morti in
carcere, l'esiguità dell'offerta del lavoro (elemento di base
per il trattamento penitenziario, quindi rieducazione ed offerta
di nuova opportunità da spendere a pena espiata), le condizioni
igieniche e sanitarie insufficienti (talvolta inesistenti)
dimostrano inconfutabilmente la deriva e lo stato di allarme
della situazione penitenziaria italiana.
continua
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*
Coordinatore della Commissione Carcere dell'Osservatorio sulla
Legalità e sui Diritti ONLUS
 
Dossier
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