Cassazione
: divieto di avvicinamento all'offeso va ben circostanziato
di
Annalisa Gasparre*
DIVIETO DI AVVICINAMENTO AI LUOGHI FREQUENTATI
DALLA PERSONA OFFESA: IL PROVVEDIMENTO CHE LO DISPONE DEVE
ESSERE SUFFICIENTEMENTE DETERMINATO
Cass.
sez. VI penale, sent. n. 36819 del 7 aprile 2011 – dep. 8
luglio 2011. Pres. G. De Roberto, Rel. G. Fidelbo
Con
la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p. introdotto
dal decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 convertito nella
L. 23 aprile 2009, n. 38) il giudice, su richiesta del pubblico
ministero, può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi
a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona
offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone legate
da relazione affettiva o convivenza con la persona offesa.
Il giudice può inoltre prescrivere all’imputato di mantenere
una determinata distanza dai predetti luoghi e vietare di
comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa
e le altre persone sopra menzionate.
Va
preliminarmente premesso che si tratta di misura cautelare
personale di natura coercitiva, a contenuto obbligatorio perché
impone una condotta negativa c.d. di non facere, limitativa
della libertà di determinazione nei rapporti personali.
Con
il ricorso sottoposto al vaglio della Suprema Corte venivano
dedotti vari motivi di illegittimità del provvedimento per
violazione di legge, tra cui: l’aver omesso l’interrogatorio
ai sensi dell’art. 294 c.p.p., la carenza dei gravi indizi
di colpevolezza (art. 273 c.p.p.), la sproporzione della misura
rispetto ai fatti contestati (art. 275 c. 2 c.p.p.), la carenza
delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.).
Tali
motivi, peraltro ritenuti infondati nel caso de quo, venivano
dichiarati assorbiti dal motivo accolto, inerente l’indeterminatezza
della prescrizione del provvedimento cautelare, tale da comprometterne
l’eseguibilità. Il
provvedimento che poneva il divieto all’imputato di avvicinarsi
“a tutti i luoghi frequentati” dalla vittima ometteva di indicarli
in modo specifico, come invero imposto dalla norma laddove
si riferisce a “luoghi determinati”.
Dice
la Corte che sia la misura dell’allontanamento dalla casa
famigliare (art. 282 bis c.p.p., introdotta dalla legge n.
154/2001) che quella del divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla vittima “si caratterizzano perché affidano
al giudice della cautela” - vale a dire al giudice che procede
sulla richiesta formulata dal pubblico ministero – il compito
di “riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per
raggiungere l’obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze
della misura stessa”.
La necessità di determinare quasi siano tali luoghi a cui
è precluso all’imputato di avvicinarsi risponde ad un triplice
ordine di motivi:
1. consentire l’esecuzione del provvedimento, altrimenti generico
e indeterminato;
2. controllare l’osservanza delle prescrizioni;
3. contemperare le esigenze di sicurezza della vittima con
il sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta
al provvedimento.
In sintesi, secondo la Corte, nell’adottare il provvedimento
di cui all’art. 282 ter c.p.p., il giudice deve “necessariamente
indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto
ai quali all’indagato è fatto divieto di avvicinamento”, non
potendo essere concepibile una misura cautelare che si limiti
a far riferimento genericamente “a tutti i luoghi frequentati”
dalla vittima, alla quale sarebbe peraltro rimessa (arbitrariamente)
l’individuazione di tali luoghi.
Spetta
dunque al giudice (ma ancor prima al pubblico ministero) il
potere-dovere di modellare la misura in relazione alla situazione
di fatto, come dipinta dagli atti di indagine.
*
esperta di diritto penale e procedura penale,
membro del Comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio
 
Stalking
: Consiglio Stato , ammonimento questore procedimento celere
|