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16 maggio 2010
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Razzismo e responsabili secondo Beha, Ben Jelloun, Armenni e Fouad Allam
di Jolanda Pisano*

I principali colpevoli - attivi o passivi - del nuovo razzismo, ovvero coloro che possono fare di piu' per prevenire la sua diffusione e la conseguente catastrofe, sono, per Oliviero Beha i giornalisti, per Ritanna Armenni i politici, per Fouad Allam gli intellettuali e la societa' civile, e per Tahar Ben Jelloun - autore del libro "Il razzismo raccontato a mia figlia" - ciascuno di noi.

In definitiva, sono molti i soggetti che possono e dovrebbero percio' attivarsi contro il razzismo. Sembra questo, in estrema sintesi, il messaggio dell'incontro tenutosi venerdi' sera al Lingotto per la presentazione al salone del libro di Torino della riedizione dell'opera di Jelloun rivista ed ampliata dopo 10 anni.

Ritanna Armeni ha affermato di ritenere il nostro Paese un po' piu' razzista ed ha parlato di 'banalizzazione' del razzismo, cioe' esso non e' piu' ritenuto eccezionale, come, a suo avviso, dimostrano due episodi, quello di Rosarno e quello di Andro. Nel primo caso, quello che apparentemente puo' sembrare un fatto eccezionale mostra invece la condizione del lavoro nero, la vita da schiavi condotta da quegli immigrati, la discriminazione ormai organici alla societa'. Ad Adro, invece, un gruppo di donne ha ritenuto giusto, in nome del "chi non paga non mangia", impedire che i figli degli immigrati non fruissero dei pasti a scuola. E questa logica e' stata mostrata come normale anche in TV, cosa che colpisce come un pugno nello stomaco.

Armenni ha citato il commento di Anna Harendt da Gerusalemme in occasione del processo ad Heichmann: "non è cattivo, per lui e' una cosa normale", era stata la riflessione sul comportamento del gerarca di Hitler. Il pericolo odierno, quindi, non e' quello dei grandi episodi di razzismo, ma quello della penetrazione nella nostra vita quotidiana. A giudizio di Armeni, c'e' stato un salto contenuto nella parola "sdoganamento". Infatti prima il razzismo c'era, ma non era ammesso, era nascosto. Perche' c'e' stato questo sdoganamento? Infatti oggi ad essere un po' razzisti ci si sente qualificati. Straniero e' il diverso e colui da sottomettere. Ma se la clandestinita' e' reato per legge, un immigrato puo' condurre una vita normale? Può non delinquere?

Razzismo - come emerge dal libro di Jelloun - e' discriminazione. Ma a ben guardare tutte le recenti leggi in materia di immigrazione sono leggi ostili e primitive. Perche' per aprire un'attivita' - si chiede Armenni - occorre sapere l'Italiano, mentre sappiamo benissimo che per fare la badante nelle nostre famiglie non ce n'e' bisogno? Smontare questi meccanismi e' un'operazione culturale e politica. Occorre che ciascuno si impegni per mettere in atto una controffensiva antirazzista.

Per Fouad Allam, questo libro ha un doppio merito e una doppia valenza: il primo merito e' di aiutare un sentimento iniziato in Europa negli anni '80. Non e' un libro per adolescenti ma e' triste e tragico e cerca di fare maieutica rispetto al male oscuro delle nostre societa'. Come indicato nella quarta di copertina del libro, non ci sono societa' ideali, cioe' senza razzismo. Quello che occorre evitare e' che il razzismo cresca e si giunga al tempo delle catastrofi, come nel caso della Jugoslavia, dove ben sappiamo dove ha portato l'odio etnico. Nelle nostre societa' cresce quello che lo scrittore ha definito "l'appetito dell'odio".

Il secondo merito e' che il libro mostra la violenza contemporanea, perche' la violenza non e' solo fisica, ma anche della narrazione e del discorso. Allam, che ha lavorato sul terrorismo di matrice islamica, ha rilevato che, nelle leggi e negli articoli, il riferimento alla sicurezza riguardo agli immigrati islamici e' il contrario della polis, delle regole per il vivere insieme: l'Italia, una volta patria dell'arte e' divenuta oggi patria dell'odio.

Per Allam, quello di Jelloun e' un libro che bisogna leggere e rileggere perche' aiuta a capire le dinamiche che stanno capovolgendo le speranze. La caduta del muro di Berlino nell''89 ha cambiato il paradigma dell'universalismo, idea secondo cui ognuno - che sia bianco, nero o giallo - e' una particella che aiuta il cammino del mondo. Dopo la caduta del muro e' divenuta comune la parola "etnia", non nel senso di riconoscere il diverso per conoscerlo, ma nell'accezione che aumenta la distanza. Non siamo piu' esseri umani, siamo 'etnie', un concetto antitetico al rapporto fra diversita' e democrazia. Se il razzismo dovesse crescere e portare ai disastri annunciabili, ha ammonito lo scrittore, sarebbe uno scacco per l'umanita'.

Breve ma molto applaudito l'intervento di Oliviero Beha, che si e' detto onorato per l'invito a parlare del libro, poiche' considera Tahar Ben Jelloun "un intellettuale nitido". "Mi ha fatto impressione - ha detto il giornalista - la giustezza con cui repellono a Tahar Ben Jelloun il termine 'extracomunitari'" e l'uso della parola 'identita''. Beha ha detto che, siccome in questo Paese i cambiamenti sono venuti sempre da fuori, come negli anni '40 con la liberazione per mano degli Alleati e negli anni '90 con la caduta del muro di Berlino, e poiche' oggi in Italia non si vedono soggetti in grado di imporre un cambiamento, gli unici in grado di farlo a suo giudizio, sono gli 'altri', gli stranieri, perche' sono l'unica cosa che ci puo' far confrontare con noi stessi, farci cambiare da dentro (ad esempio per quanto riguarda la paura). La paura - a giudizio di Beha - e' una delle cose che ha cambiato questo Paese senza memoria (anche in materia di razzismi), quindi senza identità, quindi senza futuro, quindi il Paese ideale per avere paura. Per Beha, il problema e' piu' nostro che loro (con riferimento agli immigrati) perche' abbiamo una crisi d'identita' e paura.

Essendo un esperto di calcio, Beha ha poi sottolineato che il riferimento a questo sport e' corretto, parlando di razzismo, e non soltanto per specifici episodi, ma perche' si tratta di un paese calcistizzato: si fa il tifo per tutto, anche in politica. Allo stadio, ha detto Beha, ci sono due grandi componenti simboliche e antropologiche: guerra e religione. Percio' ci sarebbe da meravigliarsi se non accadesse cio' che accade.

Il giornalista ha ricordato che esiste una Costituzione materiale, che e' quella insita nei comportamenti, e una formale, cioe' la Carta fondamentale. La prima e' stata gia' aggredita e sconvolta, e si vuole cambiare la seconda. Nei confronti di Balotelli, Beha vede una "forma razzistica 'recitata' . A suo giudizio, Balotelli - Italiano che parla bergamasco - fa da parafulmine in un Paese che nei confronti degli altri ha paura.

Tahar Ben Jelloun ha cominciato dall'ultima parola pronunciata: "la paura", che diventa una sorta di industria politica, un modo di rivolgersi ai cittadini presentando come una minaccia cio' che arriva dall'esterno. Prima di parlare di razzismo, occorre dire che ci sono stati grandi eventi mondiali che hanno creato un clima di paura (ad es uragano Katrina) e sempre piu' persone giungono dal sud del mondo e dall'Africa in modo illegale per lavorare qui. Le persone hanno cominciato a chiedersi cosa stesse succedendo.

Per spiegare perche' avesse deciso di fare una nuova edizione del libro, Ben Jelloun ha detto di essere stato interrogato da alcuni bambini che gli hanno chiesto se i suoi libri sul razzismo avessero fermato il razzismo o no, ma non e' possibile eliminarlo, c'e' una universalita' del razzismo, che e' un dato insito nell'umanita'. Motivo di piu', a suo giudizio, per cercare di lottare contro i danni del razzismo, ma Ben Jelloun non crede che grazie ai suoi libri i razzisti lo saranno meno. Occorre invece agire sull'educazione e fare pedagogia, a partire dalla scuola primaria. Egli ha detto di credere nella virtu' della pedagogia e nella sua importanza per generare un buon cittadino, visto che qualsiasi ragazzino potrebbe divenire un ladro, un delinquente, un genio, eccetera: tutto dipende dal contesto e dall'educazione.

Lo scrittore ha parlato di come la democrazia in Europa sia giunta a dei limiti e ci si sia trovati in una situazione in cui si cerca di aggirare la democrazia, e in cui i media possono essere usati per influire sulla democrazia e vincere le elezioni. Ha quindi citato quanto sta accadendo in Francia relativamente alla proposta di legge sul caso del burqa (oggetto che, ha chiosato, "mi inorridisce"), un fatto che interessa forse 1500 persone ed e' in realta' un "fenomeno folcloristico". Ma anche il Belgio e altri Paesi nordeuropei si stanno muovendo nella stessa direzione, ha detto lo scrittore, sottolineando che c'e' un grande pregiudizio nei confronti dell'Islam, quindi occorre parlare sui media e chiarire. Ben Jelloun ha detto di essere laico e credere quindi nella separazione fra Stato e Chiesa, di ritenere la religione un aspetto personale. Lasciare la religione nel privato (insomma, lasciare agli Islamici l'Islam, ndr) sarebbe rispettare la laicita' e quindi tutte le religioni.

L'autore ha poi toccato il tasto relativo alla vulgata secondo cui sia il comportamento di alcuni stranieri a spingere al razzismo. Ma questa diceria, ha ricordato, era diffusa anche negli anni '40 portando alla nascita dell'antisemitismo. Per lo scrittore, invece, il discorso e' che se qualcuno - Islamico, Cinese, Italiano - ha commesso un delitto, deve occuparsene il tribunale, e il reo sia condannato senza riguardo e senza condizionamenti rispetto alla provenienza, ma del suo comportamento non se ne puo' fare una generalizzazione. Quindi occorre spiegare agli stranieri storia, regole e lingua locale (come avviene ad es in Svezia con sei mesi di insegnamento della lingua), ma anche spiegare ai locali le culture degli "ospitati". Occorre evitare di stimolare l'arrivo veloce degli stranieri, ma anche accogliere in modo positivo chi arriva.

Rivolgendo una domanda agli altri relatori, Ben Jelloun ha detto se ritengano valida la sua proposta di creare una nuova cultura sugli immigrati - siano essi economici, esuli politici, richiedenti asilo, eccetera - un compito che e' della politica.
Infatti, ha concluso, una Europa meticcia e' il nostro destino, a meno di un nuovo Hitler.

In merito a tale idea, Fouad Allam ha parlato di "dimissione totale" dei grandi intellettuali italiani che hanno la parola pubblica. Ha poi detto che in Italia tutto e' ridotto alla dimensione dello spettacolo, ma quando lo spettacolo e' finito tutto resta tale e quale. Lo spettacolo, pero', risucchia e vanifica l'azione della societa' civile. Occorre una presa di coscienza, ha concluso lo scrittore, disperando che questa possa verificarsi.

Oliviero Beha ha parlato di "ricchezza dell'immigrato" che non riguarda solo le braccia ma anche la testa, la sensibilita' eccetera. Ha poi chiosato che noi siamo razzisti nei confronti dei poveri, ma non dei ricchi . Rispondendo ad Allam, ha detto che in Italia i veri intellettuali "sono quelli che non si sono prostituiti alla politica" e non si vedono in TV nel salotto di Vespa o simili contesti. Per Beha, "I media hanno fatto un macello" anche in termini di identita', ad esempio titolando "Marocchino investe due persone", quando non viene scritto "Bergamasco investe...". Se scrivo "Idraulico ammazza la moglie", ha osservato Beha, e' una informazione in piu', ma se scrivo "Marocchino investe…" mando il messaggio: attenzione, i Marocchini investono le persone. Si tratta quindi di agire sull'impostazione culturale.

Tahar Ben Jelloun ha detto che in Francia tale fenomeno e' in calo perche' ogni volta che i media francesi fanno questo, sono immediate le reazioni indignate di tanti e delle associazioni contro il razzismo. Sul punto, Ritanna Armenni ha commentato che va considerato che in Italia l'immigrazione e' piu' recente rispetto alla Francia. Ha denunciato le colpe della politica nel creare paura ed ha detto che non c'è consapevolezza, mentre la consapevolezza e' importante.

In conclusione, Tahar Ben Jelloun, rispondendo ad una domanda, ha detto che non scrivera' piu' saggi sul razzismo, ma continuera' con i suoi racconti, perche' anche quelli sono uno strumento per testimoniare.

* con il contributo di Tamara Gallera

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Dossier immigrazione

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