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Razzismo
e responsabili secondo Beha, Ben
Jelloun, Armenni
e Fouad Allam
di
Jolanda Pisano*
I
principali colpevoli - attivi o passivi - del nuovo razzismo,
ovvero coloro che possono fare di piu' per prevenire la sua
diffusione e la conseguente catastrofe, sono, per Oliviero
Beha i giornalisti, per Ritanna Armenni i politici, per Fouad
Allam gli intellettuali e la societa' civile, e per Tahar
Ben Jelloun - autore del libro "Il razzismo raccontato a mia
figlia" - ciascuno di noi.
In
definitiva, sono molti i soggetti che possono e dovrebbero
percio' attivarsi contro il razzismo. Sembra questo, in estrema
sintesi, il messaggio dell'incontro tenutosi venerdi' sera
al Lingotto per la presentazione al salone del libro di Torino
della riedizione dell'opera di Jelloun rivista ed ampliata
dopo 10 anni.
Ritanna
Armeni ha affermato di ritenere il nostro Paese un po'
piu' razzista ed ha parlato di 'banalizzazione' del razzismo,
cioe' esso non e' piu' ritenuto eccezionale, come, a suo avviso,
dimostrano due episodi, quello di Rosarno e quello di Andro.
Nel primo caso, quello che apparentemente puo' sembrare un
fatto eccezionale mostra invece la condizione del lavoro nero,
la vita da schiavi condotta da quegli immigrati, la discriminazione
ormai organici alla societa'. Ad Adro, invece, un gruppo di
donne ha ritenuto giusto, in nome del "chi non paga non mangia",
impedire che i figli degli immigrati non fruissero dei pasti
a scuola. E questa logica e' stata mostrata come normale anche
in TV, cosa che colpisce come un pugno nello stomaco.
Armenni
ha citato il commento di Anna Harendt da Gerusalemme in occasione
del processo ad Heichmann: "non è cattivo, per lui e'
una cosa normale", era stata la riflessione sul comportamento
del gerarca di Hitler. Il pericolo odierno, quindi, non e'
quello dei grandi episodi di razzismo, ma quello della penetrazione
nella nostra vita quotidiana. A giudizio di Armeni, c'e' stato
un salto contenuto nella parola "sdoganamento". Infatti prima
il razzismo c'era, ma non era ammesso, era nascosto. Perche'
c'e' stato questo sdoganamento? Infatti oggi ad essere un
po' razzisti ci si sente qualificati. Straniero e' il diverso
e colui da sottomettere. Ma se la clandestinita' e' reato
per legge, un immigrato puo' condurre una vita normale? Può
non delinquere?
Razzismo
- come emerge dal libro di Jelloun - e' discriminazione. Ma
a ben guardare tutte le recenti leggi in materia di immigrazione
sono leggi ostili e primitive. Perche' per aprire un'attivita'
- si chiede Armenni - occorre sapere l'Italiano, mentre sappiamo
benissimo che per fare la badante nelle nostre famiglie non
ce n'e' bisogno? Smontare questi meccanismi e' un'operazione
culturale e politica. Occorre che ciascuno si impegni per
mettere in atto una controffensiva antirazzista.
Per
Fouad Allam, questo libro ha un doppio merito e una
doppia valenza: il primo merito e' di aiutare un sentimento
iniziato in Europa negli anni '80. Non e' un libro per adolescenti
ma e' triste e tragico e cerca di fare maieutica rispetto
al male oscuro delle nostre societa'. Come indicato nella
quarta di copertina del libro, non ci sono societa' ideali,
cioe' senza razzismo. Quello che occorre evitare e' che il
razzismo cresca e si giunga al tempo delle catastrofi, come
nel caso della Jugoslavia, dove ben sappiamo dove ha portato
l'odio etnico. Nelle nostre societa' cresce quello che lo
scrittore ha definito "l'appetito dell'odio".
Il
secondo merito e' che il libro mostra la violenza contemporanea,
perche' la violenza non e' solo fisica, ma anche della narrazione
e del discorso. Allam, che ha lavorato sul terrorismo di matrice
islamica, ha rilevato che, nelle leggi e negli articoli, il
riferimento alla sicurezza riguardo agli immigrati islamici
e' il contrario della polis, delle regole per il vivere insieme:
l'Italia, una volta patria dell'arte e' divenuta oggi patria
dell'odio.
Per
Allam, quello di Jelloun e' un libro che bisogna leggere e
rileggere perche' aiuta a capire le dinamiche che stanno capovolgendo
le speranze. La caduta del muro di Berlino nell''89 ha cambiato
il paradigma dell'universalismo, idea secondo cui ognuno -
che sia bianco, nero o giallo - e' una particella che aiuta
il cammino del mondo. Dopo la caduta del muro e' divenuta
comune la parola "etnia", non nel senso di riconoscere il
diverso per conoscerlo, ma nell'accezione che aumenta la distanza.
Non siamo piu' esseri umani, siamo 'etnie', un concetto antitetico
al rapporto fra diversita' e democrazia. Se il razzismo dovesse
crescere e portare ai disastri annunciabili, ha ammonito lo
scrittore, sarebbe uno scacco per l'umanita'.
Breve
ma molto applaudito l'intervento di Oliviero Beha,
che si e' detto onorato per l'invito a parlare del libro,
poiche' considera Tahar Ben Jelloun "un intellettuale nitido".
"Mi ha fatto impressione - ha detto il giornalista - la giustezza
con cui repellono a Tahar Ben Jelloun il termine 'extracomunitari'"
e l'uso della parola 'identita''. Beha ha detto che, siccome
in questo Paese i cambiamenti sono venuti sempre da fuori,
come negli anni '40 con la liberazione per mano degli Alleati
e negli anni '90 con la caduta del muro di Berlino, e poiche'
oggi in Italia non si vedono soggetti in grado di imporre
un cambiamento, gli unici in grado di farlo a suo giudizio,
sono gli 'altri', gli stranieri, perche' sono l'unica cosa
che ci puo' far confrontare con noi stessi, farci cambiare
da dentro (ad esempio per quanto riguarda la paura). La
paura - a giudizio di Beha - e' una delle cose che ha cambiato
questo Paese senza memoria (anche in materia di razzismi),
quindi senza identità, quindi senza futuro, quindi il Paese
ideale per avere paura. Per Beha, il problema e' piu' nostro
che loro (con riferimento agli immigrati) perche' abbiamo
una crisi d'identita' e paura.
Essendo
un esperto di calcio, Beha ha poi sottolineato che il riferimento
a questo sport e' corretto, parlando di razzismo, e non soltanto
per specifici episodi, ma perche' si tratta di un paese calcistizzato:
si fa il tifo per tutto, anche in politica. Allo stadio, ha
detto Beha, ci sono due grandi componenti simboliche e antropologiche:
guerra e religione. Percio' ci sarebbe da meravigliarsi se
non accadesse cio' che accade.
Il
giornalista ha ricordato che esiste una Costituzione materiale,
che e' quella insita nei comportamenti, e una formale, cioe'
la Carta fondamentale. La prima e' stata gia' aggredita e
sconvolta, e si vuole cambiare la seconda.
Nei confronti di Balotelli, Beha vede una "forma razzistica
'recitata' . A suo giudizio, Balotelli - Italiano che parla
bergamasco - fa da parafulmine in un Paese che nei confronti
degli altri ha paura.
Tahar Ben Jelloun ha cominciato dall'ultima parola
pronunciata: "la paura", che diventa una sorta di industria
politica, un modo di rivolgersi ai cittadini presentando come
una minaccia cio' che arriva dall'esterno. Prima di parlare
di razzismo, occorre dire che ci sono stati grandi eventi
mondiali che hanno creato un clima di paura (ad es uragano
Katrina) e sempre piu' persone giungono dal sud del mondo
e dall'Africa in modo illegale per lavorare qui. Le persone
hanno cominciato a chiedersi cosa stesse succedendo.
Per
spiegare perche' avesse deciso di fare una nuova edizione
del libro, Ben
Jelloun ha detto di essere stato interrogato da alcuni bambini
che gli hanno chiesto se i suoi libri sul razzismo avessero
fermato il razzismo o no, ma non e' possibile eliminarlo,
c'e' una universalita' del razzismo, che e' un dato insito
nell'umanita'. Motivo di piu', a suo giudizio, per cercare
di lottare contro i danni del razzismo, ma Ben Jelloun non
crede che grazie ai suoi libri i razzisti lo saranno meno.
Occorre invece agire sull'educazione e fare pedagogia, a partire
dalla scuola primaria. Egli ha detto di credere nella virtu'
della pedagogia e nella sua importanza per generare un buon
cittadino, visto che qualsiasi ragazzino potrebbe divenire
un ladro, un delinquente, un genio, eccetera: tutto dipende
dal contesto e dall'educazione.
Lo
scrittore ha parlato di come la democrazia in Europa sia giunta
a dei limiti e ci si sia trovati in una situazione in cui
si cerca di aggirare la democrazia, e in cui i media possono
essere usati per influire sulla democrazia e vincere le elezioni.
Ha quindi citato quanto sta accadendo in Francia relativamente
alla proposta di legge sul caso
del burqa (oggetto che, ha chiosato, "mi inorridisce"),
un fatto che interessa forse 1500 persone ed e' in realta'
un "fenomeno folcloristico". Ma anche il Belgio
e altri Paesi nordeuropei si stanno muovendo nella stessa
direzione, ha detto lo scrittore, sottolineando che c'e' un
grande pregiudizio nei confronti dell'Islam, quindi occorre
parlare sui media e chiarire. Ben Jelloun ha detto di essere
laico e credere quindi nella separazione fra Stato e Chiesa,
di ritenere la religione un aspetto personale. Lasciare la
religione nel privato (insomma, lasciare agli Islamici l'Islam,
ndr) sarebbe rispettare la laicita' e quindi tutte le religioni.
L'autore
ha poi toccato il tasto relativo alla vulgata secondo cui
sia il comportamento di alcuni stranieri a spingere al razzismo.
Ma questa diceria, ha ricordato, era diffusa anche negli anni
'40 portando alla nascita dell'antisemitismo. Per lo scrittore,
invece, il discorso e' che se qualcuno - Islamico, Cinese,
Italiano - ha commesso un delitto, deve occuparsene il tribunale,
e il reo sia condannato senza riguardo e senza condizionamenti
rispetto alla provenienza, ma del suo comportamento non se
ne puo' fare una generalizzazione. Quindi
occorre spiegare agli stranieri storia, regole e lingua locale
(come avviene ad es in Svezia con sei mesi di insegnamento
della lingua), ma anche spiegare ai locali le culture degli
"ospitati". Occorre evitare di stimolare l'arrivo veloce degli
stranieri, ma anche accogliere in modo positivo chi arriva.
Rivolgendo
una domanda agli altri relatori, Ben Jelloun ha detto se ritengano
valida la sua proposta di creare una nuova cultura sugli immigrati
- siano essi economici, esuli politici, richiedenti asilo,
eccetera - un compito che e' della politica.
Infatti, ha concluso, una Europa meticcia e' il nostro destino,
a meno di un nuovo Hitler.
In merito a tale idea, Fouad Allam ha parlato di "dimissione
totale" dei grandi intellettuali italiani che hanno la parola
pubblica. Ha poi detto che in Italia tutto e' ridotto alla
dimensione dello spettacolo, ma quando lo spettacolo e' finito
tutto resta tale e quale. Lo spettacolo, pero', risucchia
e vanifica l'azione della societa' civile. Occorre una presa
di coscienza, ha concluso lo scrittore, disperando che questa
possa verificarsi.
Oliviero
Beha ha parlato di "ricchezza dell'immigrato" che non
riguarda solo le braccia ma anche la testa, la sensibilita'
eccetera. Ha poi chiosato che noi siamo razzisti nei confronti
dei poveri, ma non dei ricchi . Rispondendo ad Allam, ha detto
che in Italia i veri intellettuali "sono quelli che non si
sono prostituiti alla politica" e non si vedono in TV nel
salotto di Vespa o simili contesti. Per Beha, "I media hanno
fatto un macello" anche in termini di identita', ad esempio
titolando "Marocchino investe due persone", quando non viene
scritto "Bergamasco investe...". Se scrivo "Idraulico ammazza
la moglie", ha osservato Beha, e' una informazione in piu',
ma se scrivo "Marocchino investe…" mando il messaggio: attenzione,
i Marocchini investono le persone. Si tratta quindi di agire
sull'impostazione culturale.
Tahar
Ben Jelloun ha detto che in Francia tale fenomeno e' in
calo perche' ogni volta che i media francesi fanno questo,
sono immediate le reazioni indignate di tanti e delle associazioni
contro il razzismo. Sul punto, Ritanna
Armenni ha commentato che va considerato che in Italia
l'immigrazione e' piu' recente rispetto alla Francia. Ha denunciato
le colpe della politica nel creare paura ed ha detto che non
c'è consapevolezza, mentre la consapevolezza e' importante.
In
conclusione, Tahar Ben Jelloun, rispondendo ad una
domanda, ha detto che non scrivera' piu' saggi sul razzismo,
ma continuera' con i suoi racconti, perche' anche quelli sono
uno strumento per testimoniare.
*
con il contributo di Tamara Gallera
Dossier
immigrazione
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