19 maggio 2009

 
     

Violenze nella famiglia allargata (parte seconda)
di Mario Alberto Ruffo*

L'unificazione delle precedenti fattispecie è presente in quasi tutti i progetti di riforma e mirava a soddisfare esigenze di carattere pratico, si trattava, cioè, di sottrarre la vittima ad interrogatori minuziosi ed umilianti circa il tipo di rapporto sessuale subito, eliminando la distinzione tra i delitti, si sarebbe eliminata in radice ogni utilità di approfondire l'indagine sulle concrete modalità del fatto.

Postulato che i reati sessuali siano condotte offensive della dignità e della libertà di autodeterminazione sessuale, deriva la necessità di rivendicare un'identica intangibilità per le diverse parti del corpo. Infatti, in relazione alla libertà sessuale tout court non avrebbe fatto differenza la qualità dell'atto commesso che, se attinente alla sfera sessuale e contrario alla volontà del soggetto, sarebbe stato comunque offensivo dell'interesse protetto. Ritenuto questo un dato culturale sostanzialmente pacifico, nessuna attenzione particolare si è dimostrata, nel corso dei lavori preparatori, agli aspetti problematici che tale unificazione avrebbe comportato.

In realtà, non mancano riserve, anche alla luce della Costituzione, sull'adeguatezza della previsione unificata: l'idea che la fattispecie unica consenta di evitare indagini troppo particolareggiate sembra smentita dal fatto che quelle stesse indagini sono inevitabili, in sede di commisurazione della pena ex art. 133 c.p; ciò appare, anzi, più necessario nell'opzione unitaria, date le ampie oscillazioni che consente la reale cornice edittale della nuova figura: da un anno e otto mesi a dieci anni"a tal proposito non può non guardarsi con apprensione al trattamento sanzionatorio di base previsto per la nuova fattispecie unificata".

I primi dubbi si manifestano proprio sotto il profilo dell'osservanza del principio di proporzionalità della pena, che il legislatore è tenuto a rispettare in sede di fissazione della cornice edittale sanzionatoria. E' stato osservato, infatti, che detta cornice, proprio attraverso il rispetto della regola "di corrispondenza e congruità della risposta sanzionatoria già deve rispecchiare il significato di disvalore della condotta, in quanto proporzionata alla gravità del fatto, nonché alla tipologia delinquenziale enucleata dalla fattispecie". Al contrario, si può dire che la scelta del legislatore del '96 è stata a favore di un inasprimento del minimo, con la conseguenza di restringere la cornice edittale a fronte di una fattispecie la cui ampiezza ricomprende condotte illecite anche di lieve entità.

L'appiattimento di condotte disomogenee quali atti di congiunzione carnale ed atti di libidine in un'unica fattispecie ha come conseguenza, sul piano sanzionatorio, la perequazione di afflittività, a fronte di gradi diversi di offensività. Per rendere tollerabile il generale inasprimento sanzionatorio, il legislatore non ha trovato di meglio che ricorrere ai ripari mitigatori dell'attenuante dei casi di minore gravità". Tuttavia, il regime circostanziale introdotto dall'art. 609 bis, c. III, potendo attenuare la sanzione in misura non eccedente i due terzi, finisce per stravolgere sul piano general-preventivo lo stesso messaggio "culturale" della norma.

Altre perplessità riguardano l'espressione "atti sessuali", che viene a sostituire quelle di "congiunzione carnale" e "atti di libidine" di cui ai previgenti artt. 519 e 521 c.p.; ma intorno a tale concetto sono costruite tutte le norme contro la violenza sessuale. E', infatti, espressamente presente oltre che nell'art. 609- bis cp., anche negli artt. 609-quater e 609 quinquies del medesimo codice. Non si rinvengono specifici precedenti dottrinali sulla nozione di atti sessuali; si rende così inevitabile il dibattito per stabilire cosa si debba intendere con la "nuova categoria" e, in particolare, per accertare se in essa possano essere automaticamente ricompresi la congiunzione carnale e l'atto di libidine violento, oppure se essa contenga in sé significati e contenuti diversi eventualmente più ampi o, viceversa, ristretti rispetto alle ipotesi criminose del passato.

Se non vi sono dubbi sulla congiunzione carnale "che è sempre e comunque atto sessuale, gli atti diversi da questa non sono sempre aprioristicamente definibili sessuali". In materia, sia in dottrina che in giurisprudenza, vi è una notevole varietà di opinioni, che a volte pare sconfinare nel caos interpretativo. Secondo una prima tesi, che peraltro appare minoritaria, "alla nuova norma pare riconducibile, quantomeno sotto il profilo del tentativo, anche una larga parte di quelle condotte che hanno stimolato il recente dibattito sulle molestie sessuali". In tale ottica, si è dunque specificato che il concetto di atto sessuale sarebbe più ampio di quello riconducibile alla violenza carnale ed agli atti di libidine, rientrandovi "tutti gli atti aventi significato erotico anche solo nella dimensione soggettiva dei rapporti soggetto attivo/soggetto passivo".

Ciò parrebbe confortato, da un lato, dalla particolare severità dei nuovi limiti edittali di pena e, dall'altro, dal fatto che, sin dalle prime proposte di riforma l'idea dell'unificazione dei delitti di violenza carnale e atti di libidine violenta fu accomunata a quella dell'introduzione di un'autonoma fattispecie di molestie sessuali, intesa questa come fattispecie residuale e "più pertinente raccoglitore di tutte le ipotesi minori di violenza sessuale". La violenza sessuale è, oggi, un delitto contro la persona, che si sostanzia nella lesione della libertà individuale e precisamente della libertà personale in senso stretto, che comprime un diritto fondamentale dell'uomo, come il diritto di libertà, consacrato nell'art. 13 e che figura tra le garanzie essenziali di ogni cittadino in tutte le "carte dei diritti dell'uomo".

Il tema della violenza sessuale ha una particolare sistematica quando tali fatti si realizzano all'interno del nucleo familiare, per tale motivo il n. 2 del comma 4 dell'art. 609 septies c.p., stabilisce la procedibilità di ufficio per i fatti commessi dal genitore o dagli altri soggetti indicati nella stessa norma, che si estende anche agli eventuali concorrenti nel reato, che personalmente non si trovino in rapporto qualificato con la persona offesa, e ricorre anche quando costoro siano i soli autori materiali del delitto. Tale ipotesi è particolarmente rilevante all'interno della nuova famiglia cd. allargata, dove l'estraneo spesso convive con le figlie della compagna e, non di rado, i rapporti sessuali sono consumati dall'estraneo con persona minore degli anni sedici, con il consenso, anche tacito o addirittura con l'agevolazione della madre della minore.

Il dettato legislativo applicabile si riferisce a tutte le condotte comprese nelle previsioni degli art. 609 bis, 609 ter e 609 quater c.p., sì che non necessita la querela quando si procede con riguardo ad atti sessuali tenuti con minore degli anni quattordici, pur in assenza di induzione o violenza rilevanti ex art. 609 bis c.p., da taluno o con il concorso di taluno dei soggetti in rapporto qualificato con la persona offesa. La ratio della scelta legislativa è comprensibile e condivisibile, lo Stato deve cautelare il minore dagli attacchi, che un estraneo può portare nella famiglia, di cui fa parte, ma che non ha costruito. In tema di violenza sessuale, quando tali fatti si realizzano all'interno del nucleo familiare, la procedibilità di ufficio, per i fatti commessi dal genitore o dagli altri soggetti indicati nella stessa norma, ha una logica, che si estende anche agli eventuali concorrenti nel reato, che personalmente non si trovino in rapporto qualificato con la persona offesa, e ricorre anche quando costoro siano i soli autori materiali del delitto.

Tale ipotesi è particolarmente rilevante all'interno della nuova famiglia cd.allargata, dove l'extraneo spesso vive con le figlie della compagna e non di rado rapporti sessuali consensuali sono consumati dall'estraneo con persona minore, con il consenso, anche tacito o addirittura con l'agevolazione della madre della minore. La materia sessuale è una di quelle nelle quali si coglie, in modo peculiare, l'esigenza di una normativa, che sia in grado di rappresentare certe scelte di valore e di orientare, in accordo con esse, i cittadini. In essa, infatti, l'intreccio tra il piano assiologico e quello sociologico è talmente fitto da rendere impossibile la comprensione della stessa disciplina in ragione di esigenze di tipo puramente assiologico o viceversa sociologico. D'altronde, la divergenza fra il sistema normativo dei valori e il sistema di essi socialmente diffuso finisce con l'ostacolare la funzione di prevenzione generale, soprattutto quella positiva e di orientamento culturale del diritto penale.

Il processo di crescente emancipazione, promuovendo un nuovo modello di rapporto tra i sessi, ha portato ad un maggiore riconoscimento della donna come "persona", cioè come soggetto in posizione di parità rispetto all'uomo e titolare del diritto di disporre liberamente del proprio corpo e della propria sessualità. Da qui, la volontà di eliminare "lo stacco concettuale" fra le impostazioni di principio del legislatore del '30 e le attuali concezioni in materia di condotte sessuali. Se è vero, infatti, che una legge conserva validità finchè resistono i modelli culturali e le condizioni sociali e morali a cui si è ispirata, si comprende come la normativa del codice Rocco, concepita e impostata nel clima di modelli sociali e culturali del tutto diversi rispetto a quelli attuali, apparisse inadeguata ed anacronistica.

A ciò si può aggiungere che, secondo uno dei principi più accreditati, la funzione della legge e del giudice, che ne è l'esecutore, devono adeguarsi non solo all'esigenza della conservazione dell'ordine sociale e giuridico, ma anche a quella, non meno importante e vitale, della c.d. promozione sociale, cioè all'esigenza di vivificare i principi e gli obiettivi più sani e più validi dell'ordinamento alla luce delle norme costituzionali, curando che la collettività organizzata ispiri il suo modo di vivere e i propri modelli culturali soprattutto a certe scelte etiche individuate tra quelle per le quali direttamente o indirettamente si è espressa la stessa "Legge fondamentale".

La riforma della tematica sessuale, pur sorretta dall'intento meritorio di rammodernare l'originaria disciplina codicistica in modo da adeguarla all'evoluzione culturale, che ha investito il rapporto tra i sessi, si è tuttavia tradotta in una trama normativa di "tipo emergenziale", tecnicamente imperfetta in più punti, non sempre congruente con gli obiettivi di tutela presi di mira e con alcuni principi di fondo del diritto penale e soprattutto sbilanciata fortemente in senso general-preventivo.

Sono state queste alcune delle riserve critiche manifestate da una parte della dottrina penalistica, "che autopercependo il proprio ruolo anche in termini di influenza e controllo razionale delle scelte legislative in materia penale si sente in dovere di manifestare le proprie doglianze tutte le volte in cui il legislatore mostra di disattendere i canoni teorici di una buona legislazione". D'altronde, la sua genesi parlamentare e soprattutto la predominante influenza culturale esercitata dal movimento femminista spiegano il prevalere di preoccupazioni politico-ideologiche e simbolico-comunicative rispetto al perseguimento di obiettivi politico criminali più congruenti con una razionalità penalistica. La filosofia di fondo della riforma sottende, in realtà, una concezione della legge penale come strumento volto a veicolare una rinnovata concezione del rapporto tra i sessi e a promuovere un maggiore riconoscimento delle donne come persone.

Il legislatore del '96, infatti, ha preferito valorizzare le risorse, che lo strumento penale potenzialmente possiede, della comunicazione simbolica e della pedagogia sociale, piuttosto che delineare un assetto di disciplina davvero conforme ai canoni di una moderna scienza della legislazione penale. Ne è derivata di conseguenza una riforma con le caratteristiche tipiche di quell'approccio "simbolico-espressivo" che sembra sempre più caratterizzare la legislazione penale degli ultimi anni '90. L'inquadramento sistematico dei reati sessuali tra i delitti contro la libertà sessuale, finalizzato a sottolineare che la violenza sessuale offende un bene giuridico di natura personale, qual è la libertà sessuale, ha soprattutto una valenza innovativa in una prospettiva pedagogica, per segnalare cioè ai consociati che la stessa legge penale concepisce la violenza sessuale più che come un'offesa ad una presunta morale pubblica, come una vera e propria aggressione alla persona umana.

La portata innovativa della modifica espressa dell'oggettività giuridica, non deve essere, dunque, sopravvalutata; se l'innovazione risalta sul piano del messaggio culturale indirizzato ai consociati, poco nella sostanza è mutato all'interno di un approccio tecnico-specialistico. Già, vigente la disciplina del codice Rocco, parte della dottrina e parte della giurisprudenza tendevano ad individuare proprio nella libertà sessuale, intesa come aspetto della libertà personale, e non nella "fantasmatica e paternalistica" moralità pubblica, il vero bene giuridico protetto dalle fattispecie codicistiche. Inoltre, si riteneva irrilevante ai fini applicati la questione, sollevata da altra parte della dottrina, relativa all'omogeneità degli scopi di tutela sottesi alle diverse ipotesi prese in considerazione dall'abrogato art. 519 c.p. .

Non solo, ma autorevole dottrina ha evidenziato come in realtà nei reati sessuali il bene giuridico tutelato non si compenetra sufficientemente nella struttura del fatto criminoso. Di conseguenza, "un reato come la violenza sessuale lo si può considerare lesivo del bene della moralità pubblica oppure offensivo della libertà personale: dall'una e dall'altra angolazione non derivano, in realtà implicazioni sul modo di costruire la fattispecie incriminatrice". Ne deriva che la scelta del bene giuridico assume in questa materia un valore ideologico e simbolico che tende a prevalere rispetto alla reale capacità di orientare il legislatore. Ciò confermerebbe la tesi della sostanziale continuità tra la nuova normativa e quella previgente.

A parte questi rilievi, è indubbio che l'opera di "personalizzazione dei reati sessuali" è rimasta incompiuta sotto diversi profili, quasi ad evidenziare l'effettiva portata simbolica della "svolta". Secondo una parte della dottrina, già nella stessa "acclamata" collocazione sistematica del nuovo delitto di violenza sessuale, il legislatore è incorso in una non trascurabile inesattezza, "con manifesta incidenza negativa anche per la corretta individuazione dell'oggetto giuridico di tale delitto". Da questo punto di vista, non solo non è stata percorsa fino in fondo l'unica strada percorribile, che sembrava obbligata e naturale, di sistemazione cioè dei reati sessuali fra i quelli contro la persona in una sezione autonoma, ma, anzi, lo stesso inquadramento categoriale nel titolo XII è stato svilito dall'inserimento dei delitti in commento tra i delitti contro la libertà personale piuttosto che tra quelli contro la libertà morale.

Benchè sia molto discusso anche fra i costituzionalisti, il concetto di "libertà personale" si risolve "nella pretesa del soggetto di non essere turbato nella propria attività esterna". "La libertà personale costituisce un interesse a contenuto essenzialmente negativo, nel senso che in essa è eretta a valore l'autonomia dell'individuo rispetto a misure coercitive arbitrarie suscettibili di intervenire sul corpo". La libertà morale rappresenta, invece, un bene a contenuto spiccatamente positivo, tutelato al fine di garantire all'individuo la facoltà di determinare spontaneamente il proprio comportamento. "Nella tutela della libertà personale si incriminano quindi limitazioni arbitrarie imposte al corpo, in quella della libertà morale si reprimono impulsi indebiti diretti a motivare la condotta dell'individuo; nell'una risalta l'impossibilità di agire illecitamente imposta, nell'altra la coazione subita nella scelta del proprio atteggiamento esteriore".

La libertà sessuale è libertà interna di autodeterminazione, in funzione della libertà stessa di agire nel campo della sessualità. Pertanto, i delitti sessuali si presentano più omogenei con quelli contro la libertà morale: la violenza sessuale rappresenta del resto un'ipotesi speciale di violenza privata, qualificata dalla particolare natura dell'atto che la vittima è costretta a compiere o a subire. Si è ritenuto, inoltre, che il legislatore , collocando i delitti qui commentati tra quelli contro la libertà morale, malgrado il ricorrere nel dibattito parlamentare di espressioni come tutela dell'autodeterminazione sessuale, libertà di disporre della propria sessualità e cosi via, abbia voluto individuare l'essenza del delitto sessuale nella fisicità, nella corporeità, nella violenza fisica, mentre questa è rappresentata invece dalle offese arrecate alla libertà morale (psichica), nella sua peculiarità di libertà sessuale.

L'errore, secondo un'altra parte della dottrina, sarebbe stato pari se il legislatore avesse collocato tali delitti nella sezione III del capo III, del titolo XII. Ciò perché la peculiarità dei delitti sessuali sta nel proteggere un bene giuridico che è aggredito in pari misura per parte corporea e per parte immateriale. Un bene giuridico, quindi, la cui connotazione bene avrebbe giustificato la collocazione di tali delitti in un'autonoma e specifica categoria, quella appunto della libertà sessuale. Ecco che, rimossa dal codice come categoria nominativamente riconosciuta, "forse perché ormai compromessa dal lungo rapporto funzionale con la moralità pubblica e il buon costume", quella della libertà sessuale si impone come categoria ontologica e come tale vive di autonomia incondizionata, pura nella sua essenza.

La libertà sessuale, come concetto, si presta ad essere ambivalente, dalla dimensione strumentale, che la caratterizzava nel codice Rocco si passa infatti ad una dimensione individuale, qual è quella che oggi si vuole affermare attraverso i riferimenti alla persona e alla libertà individuale-personale. La libertà sessuale non è tutelata espressamente dalla Costituzione; essa però, viene concordemente ricondotta ai diritti inviolabili di cui all'art. 2. Un'autorevole indicazione in tal senso proviene dalla Corte costituzionale, la quale, al riguardo, ha affermato che "essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 impone di garantire".

Dalla dottrina prevalente il diritto alla libertà sessuale viene riconosciuto come diritto esistente e penalmente rilevante sotto il profilo della meritevolezza di tutela, sia nel suo contributo positivo (come diritto alla libera esplicazione delle proprie qualità e facoltà sessuali), sia in quello negativo (come diritto di pretendere che altri non aggredisca il proprio corpo per farne oggetto di manifestazione di libidine). Ancora può essere precisata "come un diritto della personalità e come il diritto di ciascuno di esplicare liberamente le personali inclinazioni sessuali", nonché "come il diritto di impedire che il proprio corpo possa senza previo consenso, essere strumentalizzato da altri, per fini di soddisfacimento erotico". Si coglie, in sintesi, un aspetto dinamico-positivo, che consiste nel libero esercizio della sessualità senza ulteriori limitazioni oltre quelli derivanti dal rispetto della libertà altrui, e un aspetto statico-passivo, consistente nel diritto a non essere coinvolto e a respingere condotte altrui aventi contenuto sessuale.

Intorno al concetto di libertà sessuale come estrinsecazione del diritto della persona, alcuni autori rintracciano tre diversi coaguli: il diritto alla libera disponibilità del proprio corpo, il diritto alla riservatezza e alla discrezione sessuale ed infine la delicata sfera della "moralità collettiva". In conclusione,la legge del 15 febbraio 1996 n. 66, recante Norme contro la violenza sessuale, secondo la migliore dottrina, è la tipica espressione di una normativa emergenziale, anche se frutto di un'elaborazione durata quasi un ventennio e in sostanziale continuità con la linea espressa dal codice Rocco.

Le scelte di politica criminale, operate dal Legislatore del '96, si allineano, almeno apparentemente, a quelle compiute dal codificatore in altri titoli del Codice, ad esempio in sede di omicidio, dove è individuata una norma base, che è quella contenuta all'art. 575 c.p., ruolo che, nella tematica in esame, è, invece, da attribuirsi all'art. 609 bis, ed una serie di circostanze aggravanti speciali, di cui agli artt. 576 e 577 c.p., che nell'ipotesi della violenza sessuale, così come oggi modellata, sono contenute all'art. 609 ter. La questione di diritto, che si pone è quella di comprendere la natura di tali circostanze, che prescrivendo una pena diversa o, comunque, al di fuori dell'aumento di un terzo hanno sicuramente natura di circostanze ad effetto speciale, ma poiché incidenti sul Tatbestand, specializzando una condotta diversa dall'illecito base sono anche tipizzanti.

Si può, quindi, affermare che trattasi di circostanze speciali tipizzanti l'illecito, infatti la presenza di dette circostanze non sta solamente intorno al reato-base, ma viene ad incidere sulla condotta tipica, specificandola, ampliandola, rendendola più consona al contesto sociale in cui opera ed al suo sviluppo. Significativa è l'opera del Legislatore, in materia, che tentando di adeguarsi ad un contesto sociale nuovo ha inteso, tra l'altro, tutelare la riservatezza della vittima attraverso l'unificazione delle condotte di violenza carnale e di atti di libidine all'interno della nuova fattispecie di violenza sessuale, di cui all'art. 609-bis anche se la legge è costellata da una serie di incongruenze, che determinano incertezze interpretative.

Il regime circostanziale introdotto dall'art. 609-bis presuppone comunque che nel caso concreto vi sia stata lesione del bene giuridico tutelato. Il III comma dell'art. 609 bis prevede, con una formula legislativa non del tutto consueta, la circostanza attenuante "dei casi di minore gravità" Essa comporta la diminuzione della pena di cui all'ipotesi base "in misura non eccedente i due terzi". Si tratta di una circostanza ad effetto speciale del tipo indefinito o discrezionale, in quanto dalla legge non vengono descritte le modalità del fatto che consentono di qualificarlo "di minore gravità". La ratio della sua introduzione va individuata nella sentita esigenza di "un ammorbidimento sanzionatorio", inevitabilmente imposto dall'unificazione della violenza sessuale e degli atti di libidine e dal conseguente livellamento sanzionatorio nonché, dalla mancata introduzione del reato di "molestie sessuali".

Si è trattata, però, di una scelta tecnica non priva di inconvenienti, non tanto sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'attenuante, essendo indefinita, quanto sotto quello dell'adeguatezza del mezzo ai fini della riforma. Tra i rischi rilevati in dottrina, vi è quello dell'annullamento dell'effetto attenuante della minore gravità, in sede di bilanciamento, nel caso di prevalenza o equivalenza delle aggravanti. Non infondato è anche il timore della vanificazione di una delle finalità della fattispecie unitaria di violenza sessuale quella cioè di precludere, per una maggiore tutela della privacy, indagini troppo minuziose sulla consistenza e sullo svolgimento della vicenda sessuale.

A queste discrasie si aggiunge una discrepanza di natura giuridica ossia la genericità e l'indeterminatezza dell'espressione casi di minore gravità. Pur essendo pacifico che il principio di determinatezza non opera nel contesto delle circostanze attenuanti indefinite o discrezionali, non si può fare a meno di rilevare che il legislatore ha ignorato i basilari principi di formulazione delle norme penali; pertanto diventa difficile individuare i parametri attraverso cui focalizzare e riconoscere in maniera specifica i casi di minore gravità.

Una parte della dottrina ha sostenuto che il criterio-guida, per l'applicazione dell'attenuante in commento dovrebbe essere la distinzione fra congiunzione carnale ed atti di libidine. In tal modo, però , si riproporrebbe la "tradizionale distinzione", ripudiata di principio con l'introduzione della fattispecie unitaria. Un'altra parte della dottrina ritiene, invece, che in assenza di specifiche indicazioni legislative occorre, anche in questo caso, ripiegare sui criteri dell'art.133 cp.

Concludo

La caduta dei valori di uno Stato incide anche sugli illeciti realizzati dal suo popolo, la caduta dei valori cristiani ha introdotto nella famiglia la violenza sessuale con caratteristiche perverse ancor più gravi di quella tra estranei, coinvolgendo anche il genitore, la madre, che, in esecuzione di un innaturale istinto di conservazione dello status quo, agevola o costringe la minore a sottostare alla libido del nuovo compagno.

Non è raro leggere nelle statuizioni della Corte di Cassazione di fatti, commessi all'interno delle mura domestiche, dove una madre costringe la figlia a compiere e subire atti sessuali, sfruttare la prostituzione della medesima, costrigendola anche alla pornografia. Tutto ciò accade in forza di una legge, falsamente venduta come progressista da legislatori in malafede e poco interessati alla tutela della famiglia e, quindi, del nucleo fondamentale di uno Stato sociale di diritto.

La legalità nasce dalla prima società civile di uno Stato sociale di diritto, che è la famiglia costituzionale ex art. 29 cost., che afferma il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e civile dei coniugi con i limiti della legge a garanzia dell'unità familiare, pertanto la legalità nasce dalla famiglia, dal rispetto dei sentimenti, delle promesse, uno Stato non può far venire meno questi valori e scambiare la libertà con il libertinaggio, la legalità inizia dalla famiglia, l'onestà intellettuale nasce dal rispetto dei valori e del più grande valore dell'uomo: i figli.

(< prima parte)

* Professore aggregato di Istituzioni di Diritto e Procedura Penale - Università Magna Græcia- Presidente A.M.I- Catanzaro, Avvocato - Cassazionista, Relazione al Convegno: Violenze sul partner e stalking dell'Osservatorio sulla legalità e sui diritti Onlus - Cosenza, 16 maggio '2009.

Speciale diritti

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