19 maggio 2009

 
     

Violenze nella famiglia allargata
di Mario Alberto Ruffo*

Diversi codici penali pre-unitari statuivano che il delitto di stupro si verificava solamente nei confronti di una vergine, o di una vedova onesta, non nei confronti delle femmine di facile costume, e quando veniva commesso con insidiose ed ingannevoli blandizie, o sotto una apparente promessa di matrimonio, lo stupratore spesso era costretto a dover sposare la stuprata, se questa volesse a tal matrimonio acconsentire oppure a sborsare una dote corrispondente alla condizione della stuprata, determinabile nella sua quantità, dai Giudici competenti alla inquisizione sopra il delitto ed oltre a ciò, se la stuprata fosse rimasta gravida, lo stuprante doveva sostenere tutte le spese di mantenimento e del parto: ma se nello stupro fosse occorsa violenza, lo stuprante doveva essere punito con una reclusione non minore a mesi sei di carcere.

Il reato di violenza sessuale è oggi un illecito, che si realizza sempre più spesso all'interno dell'ambito familiare, ed era sconosciuto, o quasi, sotto questa veste dal codificatore del '30, che si preoccupò di tutelare la famiglia legittima alla luce del Codice civile e della Costituzione. Il nuovo contesto sociale impone una lettura critica di tutta la normativa, che tutela penale la famiglia, partendo proprio dal concetto di famiglia allargata, quale nuovo bene giuridico, in cui il minore è il fulcro centrale della tutela.

Le scelte di politica criminale, effettuate dal Codice Rocco si basavano su valori, che tutelavano quella fondata su un matrimonio indissolubile, in conseguenza la disciplina accordata si prestava ad essere modellata secondo esigenze simboliche d'ispirazione assiologica-autoritativa. In tale ottica, il codice Rocco finiva col riconoscere, nella tematica in esame, alla pena una funzione di tutela di pure esigenze etico-morali e non di beni giuridici. E' stato, all'uopo, affermato che la moralità familiare mancherebbe, sia della determinatezza necessaria per farne un bene oggetto di tutela giuridica, sia di un requisito essenziale del bene giuridico, vale a dire quello dell'idoneità ad essere leso.

La famiglia assume oggi un significato nuovo rispetto a quello codicistico, il che porta a riconoscere giuridica rilevanza ad ogni tipo di convivenza, che duri nel tempo, pur non fondata sul matrimonio civile, ma caratterizzata da un rapporto di supremazia-soggezione, tale orientamento ha inteso la famiglia non solo come un consorzio di persone legate tra loro da vincoli giuridici o naturali, ma anche come unione di soggetti, che hanno delle posizioni giuridiche simili a quelle della famiglia in senso stretto. Con il contratto sociale, infatti, ogni associato aliena alla collettività i suoi diritti (il c.d. pactum subiectionis ), ricevendo in cambio di partecipare ad una nuova entità, che è lo Stato. Tale datio determina la nascita del diritto di coazione del cittadino nei confronti dello Stato, al fine di tutelare la libertà, perduta con l'adesione al contratto sociale.

Con l'affermarsi di nuovi compiti da parte dello Stato, si è rovesciato il tradizionale rapporto Stato-cittadino. Secondo i principi di una democrazia pluralista, lo Stato non può imporre un determinato sistema morale, sottoponendo il singolo a tutela morale attraverso lo strumento del diritto penale. Dai destinatari, infatti, risulta accoglibile solo un sistema che, "per la conformazione dei tipi di illecito, si affidi al criterio della disfunzionalità delle condotte in rapporto alla scopo della pacifica convivenza in libertà nel contestuale rispetto di ragionevoli esigenze superindividuali".

La fine del XX secolo e l'inizio del terzo millennio, in campo penale, hanno operato una svolta storica, facendo da una parte cadere tante ipotesi di reato, esistenti solo sulla carta, e dall'altra delineato più nettamente i contorni illeciti del fatto-reato, come nell'ipotesi del reato di cui all'art. 609 bis, dove da una parte si è centrato il vero oggetto della tutela, la libertà della donna di autodeterminarsi nella sfera sessuale, dall'altro il Legislatore ha preso atto dell'ampliamento della sfera dei fatti costituenti ipotesi del reato, all'interno della famiglia ed, in particolar modo, ha considerato il ruolo dei minorenni in una famiglia legittima, non più patriarcale ed in quella allargata, aperta continuamente ad esperienze nuove.

Non bisogna dimenticare che la norma penale, conformemente al principio dell'extrema ratio, deve essere disposta solo, se non ci sono altri validi strumenti d'intervento, per la difesa di beni-interessi particolarmente significativi di rilievo costituzionale; infatti per gli altri interessi, il legislatore si deve servire di un articolato e ben coordinato sistema di sanzioni di diversa natura. In altri termini, sulla base dei valori espressi dalla Carta costituzionale debbono essere enucleate ben precise scelte in materia penale. I criteri per la penalizzazione di un fatto sono due, e cioè il criterio dell'offensività del fatto e quello della violazione dell'obbligo.

Il legislatore, nel dettare le nuove norme contro la violenza sessuale, ha inteso sicuramente sottolineare che il relativo reato non deve avere per oggetto una non meglio identificata moralità pubblica ed un ormai evanescente buon costume, bensì il bene primario della libertà individuale. In tal senso si deve leggere l'art. 1 della legge n. 66, laddove si precisa che il capo I del titolo IX del Libro II del codice penale, nonché gli artt. 530, 539, 541, 542 e 543 del codice penale sono abrogati e sono inseriti, dopo l'art. 609 c.p., ben 8 articoli che completano la sez. II ("Dei delitti contro la libertà personale") del capo III ("Dei delitti contro la libertà individuale") del titolo XII ("Dei delitti contro la persona") del Libro II.

Lo stupro, secondo il senso comune è la peggior violenza che un essere umano possa essere costretto a subire, secondo solo all'omicidio, ma per altri ancor più grave, per essere la vittima condannata a convivere il resto dei giorni con un ricordo insopportabile.

Secondo i dati Istat migliaia di violenze domestiche, in particolare sessuali, non sono denunziate, a ciò bisogna aggiungere il fatto che il 50% degli imputati viene assolto, molto probabilmente per la difficoltà di prova dell'illecito, inconveniente a cui il legislatore ha pensato di dare risposta unificando, nella normativa vigente, le precedenti ipotesi delittuose di violenza carnale ed atti di libidine violenti nella fattispecie unica di violenza sessuale ex art. 609 bis, ciò deve far riflettere, perché si acquisti una nuova "cultura" dei rapporti uomo-donna, in cui la donna sia considerata una persona con diritti e doveri costituzionalmente garantiti.

I rapporti uomo-donna, oggi, devono essere totalmente paritari ed improntati ad una forte intesa, ad un reciproco consenso, la donna, anche se ha consentito espressamente al rapporto, può ripensarci, non dare l'ulteriore consenso, mutare idea, senza aver alcun obbligo di persistere o mantenere l'atteggiamento precedente; può revocare o far venir meno il proprio consenso in ogni momento, può dissentire sull'ulteriore corso bloccando definitivamente l'uomo, il quale, privo della volontà del partner, commette inevitabilmente violenza. E la chiave interpretativa dei moderni rapporti uomo-donna è appunto il dissenso, tutelato dalla legge, che impone al giudice di accontentarsi della semplice volontà contraria, senza ulteriori oneri attivi di resistenza.

La terza sezione della Corte di Cassazione, famosa per la sentenza sui jens, in tema di violenza, in passato ha ritenuto che il marito risponde del reato di violenza carnale allorché costringa, tramite maltrattamenti, la moglie ad un rapporto sessuale, ottenendone anche un consenso, equivalente a una resa nella speranza che queste cessino, sempre la stessa sezione III penale con sentenza dell'11/12/2007 - 29/01/2008 n. 4532 ha osservato che il consenso al rapporto sessuale deve essere pacifico e ininterrotto, trattandosi di una sfera soggettiva in cui sono tutelati, nella loro massima ampiezza, la dignità e la libertà, sia fisica che psichica della persona.

Infatti in tema di liberta sessuale non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutto il periodo di esecuzione dei delitto, essendo sufficiente che si estrinsechi all'inizio della condotta antigiuridica; conseguentemente l'imputato non può invocare a sua giustificazione di avere agito in presenza di un consenso dell'avente diritto, quando vi è stata la tempestiva reazione della vittima. II consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all'art. 609 bis c.p. la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga poi meno a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell' amplesso.

In tema di violenza sessuale, non è condivisibile la posizione di parte della giurisprudenza che afferma l'identità della configurazione del tipo di violenza nei rapporti tra estranei o nei rapporti tra coniugi, la Gesinnung è diversa, infatti nella prima ipotesi l'agente dà sfogo a personali istinti perversi, mentre nel rapporto tra coniugi, la violenza è un'aberrazione dell'amore, pertanto le connotazioni sono diverse. Il profondo e rapido cambiamento del costume e del modus vivendi ha inciso notevolmente sulla concezione della sessualità e sui valori ad essa connessi, facendo apparire obsoleti ed anacronistici quelli tutelati dal codice del '30. Si è trattato, in materia, di un processo d'emancipazione, che ha condotto ad una concezione nuova e laica della sessualità, i cui limiti ed i difetti della normativa codicistica erano stati già intuiti dalla migliore dottrina.

All'interno della dinamicità del concetto di bene giuridico bisogna considerare la nostra Costituzione, che contiene un'espressa opzione circa la funzione della pena, che ha provocato il definitivo abbandono di ogni teorizzazione assoluta ed, in particolare, dell'idea della retribuzione, un tempo, ampiamente condivisa. E' stato, infatti, evidenziata l'insostenibilità razionale della pretesa di compensare grandezze assolutamente eterogenee, annullando il male in senso etico con l'inflizione di una sanzione penale statuale, attraverso l'imposizione, in definitiva, di un determinato sistema morale in contrasto con i valori della libertà e dignità dell'individuo. Ciò evita la violazione di principi fondamentali dell'ordinamento democratico, nel quale il potere giudiziario ha non solo il potere di amministrare la giustizia, ma anche, attraverso l'interpretazione dei fatti, di ampliare i beni giuridici normativamente stabiliti, che il legislatore dovrà sempre valutare, come nel caso della violenza all'interno della famiglia, che non è più quella del Codice Rocco.

L'evoluzione della donna, dovuta ad una sempre crescente esigenza di affermazione dell'autonomia del proprio ruolo, ha portato alla libera espressione della sessualità" e ad una rinnovata concezione del rapporto tra i sessi. La legge 15-2-1996, n. 66, ha ridisciplinato l'intera materia dei reati sessuali, riscrivendo, come evidenziato, tutte le norme in tema di violenza sessuale nel titolo XII (delitti contro la persona), capo III (delitti contro la libertà individuale), sezione II (delitti contro la libertà personale), aggiungendo gli artt. da 609 bis a 609 decies.

La prima e più significativa innovazione legislativa consiste nel trapasso delle norme penali, relative alla violenza sessuale dalla categoria dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume alla categoria dei delitti contro la persona. Non si è trattato di una pura e semplice rettifica verbale, ma la modifica "ha un indubbio valore etico-giuridico nel senso che la sfera della sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della moralità o del buon costume e viene affermata come diritto della persona umana, la cui disponibilità spetta esclusivamente al soggetto che ne è titolare".

La novella ha suscitato contestazioni quando prevede l'unificazione in una sola figura criminosa di fattispecie, che in precedenza venivano distinte in violenza carnale, congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale, atti di libidine violenti e, parzialmente, corruzione di minorenni. E' venuta meno a livello ideologico e normativo la "graduazione" delle condotte che insidiano la libertà personale sotto il profilo della sfera sessuale, pur restando al giudice grazie alla discrezionalità legata ai massimi e ai minimi di pena e alla previsione di attenuanti speciali, un ampio margine di determinazione in concreto della pena da infliggere in relazione alla diversa natura e gravità delle condotte. Un'ulteriore novità è la creazione di una figura autonoma di reato quando la violenza sessuale non è attribuibile ad un solo soggetto, ma è "di gruppo", ossia quando le possibilità di resistenza della vittima sono rese particolarmente deboli dal concorrere dell'azione congiunta di più persone.

L'asse portante della legge, n 66/1996, l'elemento di rottura con la cultura e la prassi del Codice Rocco è da individuarsi nella nuova sedes materiae dei reati sessuali, infatti, i delitti compresi nel capo I, titolo IX, libro II trasmigrano nella sez. II, cap III, tit. XII cp: essi non fanno più parte dei "delitti contro la moralità pubblica e il buon costume", ma si collocano tra i "delitti contro la persona". La novella del '96 ha tradotto in principio positivo l'idea, universalmente accolta, che la protezione della libertà sessuale non debba essere concepita in rapporto strumentale rispetto alla tutela primaria di un interesse di natura pubblicistica. E' stata, in concreto, ridisegnata la figura della violenza sessuale attraverso il riferimento al compimento di "atti sessuali", senza alcuna ulteriore specificazione, rinviando, così, alla inevitabile elaborazione giurisprudenziale e superando la dicotomia esistente nella previsione originaria del codice tra congiunzione carnale ed atti di libidine, distinzione che, tutto sommato, consentiva di fondare qualche orientamento esegetico non del tutto generico.

Il legislatore, con tali norme ha inteso soprattutto rimarcare che i relativi reati non devono avere per oggetto una non meglio identificata moralità pubblica, un ormai evanescente buon costume, bensì il bene primario della libertà individuale. L'art. 609 bis, quindi, costituisce "l'architrave" della legge, esso, innanzitutto, elimina la distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenta unificandoli nell'unico reato rubricato "violenza sessuale", nel quale la condotta tipica consiste nel "costringere taluno a compiere o a subire atti sessali.

E' da sottolineare che in tema di reati contro la libertà sessuale, il consenso agli atti sessuali debba perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all'art. 609 bis c.p. la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso originariamente prestato venga meno "in itinere" a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell'amplesso. E la chiave di volta dei moderni rapporti uomo-donna è appunto il dissenso, il giudice deve accontentarsi della semplice volontà contraria, senza ulteriori oneri attivi di resistenza.

Alla luce di quanto affermato deriva che il reato di violenza sessuale è configurabile anche all'interno del rapporto di coppia, coniugale o paraconiugale che sia, ogni qual volta vi sia un costringimento fisico - psichico idoneo ad incidere sulla libertà di autodeterminazione del partner, sempre che, sul piano soggettivo, risulti dimostrata la consapevolezza, da parte dell'agente, dell'altrui rifiuto, anche non espresso, ma chiaramente percepibile, all'atto sessuale.

Si sostiene a tal riguardo che "diversi sono i connotati della violenza nel coniugio e nei casi ordinari, nel senso che nel coniugio, occorrono dei connotati molto specifici e decisi ai fini della violenza: occorre, in altre parole che la violenza sia decisamente finalizzata allo scopo". Evidentemente tale principio di diritto deve aver giocato un peso decisivo nella valutazione delle risultanze processuali, con la inevitabile conseguenza che l'idoneità degli atti è stata esclusa, nella specie dal Supremo Collegio, a causa di una configurazione astratta del fatto di reato, che non trova corrispondenza nei criteri comuni di valutazione del tentativo di violenza carnale.

Sulla decisione ha influito, sicuramente, una vecchia dottrina, ormai ampiamente superata, che giungeva ad escludere il reato di violenza carnale tra coniugi, partendo dal principio che ciascun coniuge avesse diritto ad ottenere un rapporto sessuale normale. Tale conclusione, basata su un preteso jus in corpore, attribuito dall'ordinamento matrimoniale ai coniugi, comportava la non punibilità del coniuge, che mediante violenza costringa l'altro alla congiunzione carnale secondo natura e in condizioni normali. "La costrizione, per costituire reato, -si sosteneva - deve essere illegittima", mentre tale condizione manca nel rapporto di coniugio, perché "tra gli scopi del matrimonio vi è anche quello di fornire remedium concupiscentiae".

Questa posizione è stata completamente superata alla luce di una diversa e più moderna configurazione dei rapporti tra coniugi, che esclude che la persona possa essere degradata a corpo e trattata come corpo. In tal senso la giurisprudenza e la dottrina più recenti hanno fatto giustizia di queste arcaiche impostazioni dei rapporti sessuali tra coniugi, per il rispetto dovuto alla persona quale soggetto autonomo e alla sua libera determinazione. Nel fatto sessuale non si ha una reciproca disposizione del proprio corpo ad opera dei partners, ma solo un'espressione concreta del diritto di libertà.

Con il matrimonio, è stato osservato, si acquista il diritto alla copula, diritto che ciascun coniuge può far valere nei confronti dell'altro, ma l'esercizio di tale diritto non può farsi valere attraverso un mezzo, la violenza, ripudiato dall'ordinamento giuridico. Il rapporto di coniugio, è stato osservato in giurisprudenza, non degrada la persona-coniuge ad oggetto di possesso dell'altro coniuge, sicché, qualora esso si riduca a violenza ai fini del "possesso del corpo", costituisce un fatto gravemente antigiuridico. In altri termini, da ciò discende che il reato di violenza o tentata violenza carnale può ben essere consumato anche tra coniugi, poiché deve sempre riconoscersi a ciascuno di essi la facoltà di non concedere l'amplesso.

Alla luce di questo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, frutto di una più moderna configurazione dei rapporti tra coniugi, "che ha più volte ribadito, - si legge nella motivazione della sentenza - l'unicità del concetto di violenza, non suscettibile di connotazioni diverse nei rapporti tra estranei e nei rapporti tra i coniugi", il delitto di violenza carnale non assume tra coniugi connotati speciali.

(continua >)

* Professore aggregato di Istituzioni di Diritto e Procedura Penale - Università Magna Græcia- Presidente A.M.I- Catanzaro, Avvocato - Cassazionista, Relazione al Convegno: Violenze sul partner e stalking dell'Osservatorio sulla legalità e sui diritti Onlus - Cosenza, 16 maggio '2009.

Speciale giustizia

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