11 giugno 2008

 
     

Decreto rifiuti : critiche e suggerimenti dal CSM
di Elisa Mabrito

Il CSM ha reso note le sue Osservazioni al decreto legge n. 90 del 23 maggio 2008 concernente «Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile». Chiamato dal Capo dello Stato a contribuire con il suo parere, pur comprendendo e condividendo la necessita' emergenziale del decreto rifiuti , il CSM rileva come alcune disposizioni incidano negativamente sul funzionamento dei processi e dei tribunali campani.

Il Consiglio osserva che le misure legislative di emergenza, che attengono anche a norme processuali "dando ad esse applicazione temporanea e limitata a un’area del territorio nazionale, devono avvenire nel rispetto di precisi limiti e in attuazione di determinate finalità. In primo luogo essi, pur potendo stabilire deroghe nei confronti della normazione vigente, anche di natura primaria, devono garantire il rigoroso rispetto dei principi e delle regole costituzionali attinenti alla giurisdizione e alle garanzie dei diritti fondamentali. In secondo luogo le misure legislative devono essere indirizzate ad incrementare l’efficienza e la funzionalità dell'amministrazione della giustizia, il che comporta previsioni normative limpide, tali da evitare l’insorgere di conflitti e la sovrapposizione di interventi giurisdizionali da parte di diverse autorità giudiziarie e richiede l’attribuzione di risorse materiali e umane adeguate e congrue rispetto al fine. Infine i provvedimenti legislativi devono essere adottati nel rispetto delle regole e dei valori fondamentali della giurisdizione e devono garantire e rafforzare l'intervento della magistratura, in modo da consentire il più ampio ed efficace ricorso agli strumenti investigativi e requirenti e il libero e tempestivo dispiegarsi dell’attività degli organi giudicanti.".

Nel caso del decreto sui rifiuti, il CSM segnala molti punti critici che contravvengono i principi appena enunciati e peraltro nota che si e' usata la decretazione d'urgenza giustificata dal caso napoletano per modificare le regole di riparto della giurisdizione in tutta Italia. Con l’art. 4 del decreto, infatti, il legislatore devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell’amministrazione o dei soggetti ad essi equiparati».

Secondo il CSM, "la questione appare estremamente delicata e complessa, in quanto attiene a materia assai dibattuta in dottrina e sottoposta ad intenso lavorio giurisprudenziale, e avrebbe probabilmente meritato un approfondimento difficilmente compatibile con la decretazione di urgenza". Inoltre, a giudizio del Consiglio, sarebbe "auspicabile una maggiore specificazione nel senso che l'attribuzione della controversia al giudice amministrativo in tema di comportamenti materiali è limitata ai casi in cui gli stessi siano espressione di poteri della pubblica amministrazione".

Ancora una notazione merita - secondo il CSM - il secondo comma dell’art. 4 che, con disposizione di natura transitoria, introduce una procedura di conferma o di convalida da parte del giudice amministrativo delle misure cautelari eventualmente adottate dal giudice ordinario, nel termine perentorio di trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto: "Sarebbe al riguardo opportuno un chiarimento sulla procedura adottabile, teso a eliminare la situazione di grave incertezza che, unitamente alla esiguità del termine stabilito per la conferma, rischia di determinare la perdita di efficacia pressoché totale delle misure cautelari disposte dal giudice ordinario".

Tra le norme più significative del decreto vi sono quelle che innovano la disciplina di ordinamento giudiziario limitatamente alla Campania e ai procedimenti per reati riferiti alla gestione dei rifiuti e per reati in materia ambientale nonché per quelli ad essi connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p. Tre su tutte: la previsione che il Procuratore della Repubblica di Napoli possa esercitare le proprie funzioni «anche in deroga a quanto previsto dell’art. 2 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, e successive modificazioni» (art. 3, comma 1); l'intervento del Procuratore nazionale antimafia ai sensi dell’art. 371 bis del c.p.p. quando «si ravvisa il coinvolgimento della criminalità organizzata» (art. 3, comma 3); la possibilità, per il Ministro della giustizia, «sentito per quanto di competenza il Consiglio superiore della magistratura, di adottare le necessarie misure di ridistribuzione dei magistrati in servizio» (art. 3, comma 7).

Il CSM rileva che "con lo strumento del decreto legge si interviene nella delicata materia dell’ordinamento giudiziario con norme destinate a spiegare efficacia limitata nel tempo (fino al 31 dicembre 2009, salvo possibilità di proroga) e nel territorio (solo nella Regione Campania nella quale sono compresi due distretti di Corte di appello: quello di Napoli e quello di Salerno). Inoltre le suddette previsioni incidono esclusivamente nei procedimenti relativi ai reati indicati nel decreto. Ciò potrebbe determinare – come già sta accadendo – situazioni di grave conflittualità all'interno e fra gli uffici giudiziari della Campania con evidenti ricadute sul piano dell’efficienza".

Fra l'altro il decreto che attribuisce al Ministro della giustizia il potere, tra l'altro, di adottare le necessarie misure di ridistribuzione dei magistrati in servizio al fine di potenziare gli uffici giudiziari di Napoli con oneri a carico del Fondo per l'emergenza rifiuti Campania, ma l'art. 105 della Costituzione attribuisce in via esclusiva al Consiglio superiore della magistratura i «trasferimenti» dei magistrati, e quindi andrebbe sottolineata la possibilità, per il ministro guardasigilli di adottare opportune misure di revisione delle piante organiche degli uffici napoletani, conformemente alla normativa in vigore che attribuisce, appunto, tale competenza al ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura.

Il decreto legge contiene, poi, un sostanzioso gruppo di norme che incidono sulla normativa processuale, sia in punto competenza territoriale che in punto emissione delle misure cautelari, con evidenti rischi di effetti negativi, anche in punto funzionalità del sistema, ove in sede di conversione si renda necessario procedere a modifiche. A riguardo il CSM propone i seguenti rilievi critici:

"1) la previsione di una Procura e di un ufficio GIP/GUP con competenza per i reati ambientali commessi nell'intera Campania introduce un elemento anomalo nel sistema della competenza territoriale che, pur tenendo conto delle esigenze di accentramento che hanno ispirato il decreto legge, meglio potrebbe essere determinata con riferimento alle due corti di appello campane (Napoli e Salerno), sempre che non si ritenga, invece, di individuare i reati più significativi in materia e di attribuirne la competenza, in via generale, alle Procure della Repubblica aventi sede nei capoluoghi di ogni distretto;
2) il richiamo, al fine della determinazione della competenza, «ai reati riferiti alla gestione dei rifiuti e ai reati in materia ambientale» è, con riguardo ai secondi, viziato da eccessiva genericità con conseguente rischio di dilatazione a dismisura dei procedimenti attratti dalla Procura di Napoli, anche per fatti di minima entità del tutto estranei al sistema dello smaltimento dei rifiuti. Una maggiore specificazione dei reati per i quali ricorre tale esigenza di concentrazione consentirebbe di ovviare alle indicate disfunzioni;
3) gravemente carente è la disciplina della connessione dettata nella prima parte dell'art. 3, comma 1. Non è chiaro, infatti, se in caso di connessione dei reati ambientali commessi in Campania con delitti più gravi commessi in altri distretti operi o meno l'art. 16 del codice di procedura penale (con attribuzione della competenza per l'intero procedimento all'autorità giudiziaria competente per questi ultimi) ovvero se la connessione determini il trasferimento dell'intero procedimento avanti alla Procura di Napoli. In entrambi i casi si produrrebbero conseguenze anomale".

Inoltre, "Alla dilatazione – non sempre necessitata – dei carichi di lavoro degli uffici napoletani si accompagneranno, infatti inevitabilmente ritardi e inefficienze in ragione della distanza, spesso notevole, tra l’ufficio inquirente di Napoli e le sedi del territorio campano (e non solo) ove sono dislocate le forze di polizia giudiziaria delegate per il compimento delle attività investigative data la prossimità con i luoghi di commissione dei reati; d5) ulteriori problemi sono prevedibili allorché, chiusa la fase delle indagini, i procedimenti saranno trasmessi agli uffici competenti per la celebrazione del dibattimento: oltre agli incombenti collegati alle attività materiali di predisposizione e spedizione degli atti è inevitabile prevedere ritardi collegati allo studio dei procedimenti da parte dei magistrati requirenti che solo in parte potranno essere arginati dall'applicazione del pubblico ministero che ha svolto le indagini, pur consentita dall’art. 3, comma 4, del decreto".

A giudizio del CSM, "nei dieci giorni successivi all'entrata in vigore del decreto si riverserà sugli uffici giudiziari di Napoli – come già sta avvenendo – una mole imponente di procedimenti (gran parte dei quali per reati non ricollegabili in alcun modo all’emergenza dei rifiuti) creando una inevitabile congestione che richiederà mesi solo per consentire di ripristinare un qualche ordine nella raccolta e nello smistamento di tali sopravvenienze".

Riguardo al regime del sequestro preventivo, il CSM osserva che "Secondo l'art. 3, comma 2, nei procedimenti cui si riferisce il decreto legge, sono sospesi i poteri attribuiti dal codice di procedura penale al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria con riguardo all’adozione del sequestro preventivo pur in presenza dei presupposti di urgenza previsti dal codice processuale. Anche in tali casi il sequestro dovrà essere richiesto dal pubblico ministero e disposto dal giudice collegiale, così depotenziando l'istituto proprio nelle situazioni di urgenza (che possono essere disciplinate anche con modalità diverse da quelle attuali ma non ignorate senza gravi danni per l'efficacia dell'intervento penale); f4) l'art. 3, comma 8, infine, prevede che per tutta la durata dell’emergenza (e, dunque, fino al 31 dicembre 2009), le aree destinate a discarica e a siti di stoccaggio (sia quelle indicate nell’art. 9 del decreto sia quelle successivamente individuate con provvedimento del Sottosegretario di Stato a norma dell’art. 2) possono essere sottoposte a sequestro preventivo, in deroga a quanto previsto dall'art. 321 c.p.p., solo ove ricorrano «gravi indizi di reato» e, anche in tale ipotesi, subordinatamente al fatto che «il concreto pregiudizio alla salute ed all’ambiente non sia altrimenti contenibile». Viene così individuata una categoria di beni in relazione ai quali i presupposti che legittimano il sequestro preventivo sono diversi e più ristretti rispetto a qualsiasi altro bene nonché rispetto agli stessi beni ove dislocati in altra parte del territorio nazionale, in possibile contrasto con il principio di uguaglianza".

Infine ci sono disposizioni che introducono e modificano ovvero escludono alcune fattispecie delittuose. Ad es. si parificano ai luoghi di interesse militare dello Stato le «aree di interesse strategico nazionale» e si estendono, ai fini della applicazione dell'art. 682 codice penale, le condotte rilevanti, affiancando all'introduzione abusiva in detti luoghi le condotte che «impediscono o rendono più difficoltoso l'accesso autorizzato» negli stessi; si estendono le fattispecie rilevanti ai fini della integrazione del delitto di interruzione di pubblico servizio di cui all'art. 340 codice penale al fatto di chi «impedisce, ostacola o rende più difficoltosa la complessiva azione di gestione dei rifiuti»; si aggiungono alle ipotesi di danneggiamento aggravato ai sensi dell'art. 635, comma 2, codice penale, il fatto di chi «distrugge, deteriora o rende inservibili, in tutto o in parte, componenti impiantistiche e beni strumentali connessi con la gestione dei rifiuti».

Ma il CSM rileva che "L’introduzione di tali nuovi reati sembra riguardare non la sola Campania ma l’intero territorio nazionale e ciò rende ancor più necessaria, per superare i vizi di indeterminatezza che caratterizzano le fattispecie, una maggior precisione nella determinazione delle modalità di individuazione dell'«interesse strategico nazionale», delle condotte rilevanti e del concetto di «gestione dei rifiuti». Con particolare riferimento all’ipotesi di reato introdotta dall’art. 2 comma 9, la mancata precisazione delle modalità dell’azione causale idonea a determinare l’evento del reato potrebbe prestarsi a dubbi di costituzionalità sotto il profilo della tassatività e determinatezza della norma penale imposto dall’art. 25 della Costituzione".

Al contrario, secondo il massimo organo della magistratura, l'esclusione di alcune fattispecie delittuose – la disposizione di cui all'art. 9, comma 3 assimila «i rifiuti urbani oggetto di incendi dolosi o colposi (...) ai rifiuti aventi codice CER:20.03.01», preclude "la possibilità di assegnare ai rifiuti combusti, all'esito delle opportune analisi, un altro codice compreso nel catalogo europeo dei rifiuti (corrispondente alla maggiore pericolosità dei suoi componenti) e di ritenere sussistente il reato di smaltimento non conforme alla autorizzazione, ai sensi dell'art. 256, comma 1, decreto legislativo n. 152/2006, in caso di destinazione degli stessi in discarica. La conseguenza è che il divieto di trattamento di rifiuti pericolosi che opera in tutte le regioni italiane potrebbe non valere, per espressa disposizione di legge, in Campania, con gli effetti agevolmente ipotizzabili in termini di violazione del principio di uguaglianza.»".

Speciale rifiuti

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Decreto in materia di rifiuti: una analisi critica