13 febbraio 2008

 
     

Guantanamo : i processi militari e la reputazione USA
di Rico Guillermo*

Cambiare le regole processuali riservate ai detenuti di Guantanamo Bay onde evitare che passi alla storia un'immagine del giudice peggiore di quella dell'accusato. E' quanto chiede un editoriale odierno del Washington Post riguardo alla prevedibile condanna di alcuni presunti autori degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, per i quali il Pentagono ha chiesto la pena di morte.

La prestigiosa testata americana ricorda la storia di altri accusati di gravi crimini, tra cui l'omicidio di massa, processati e condannati (alcuni a morte) dagli USA con commissioni militari che non prevedevano tutte le protezioni procedurali dei tribunali civili e nemmeno di quelli marziali. Subito dopo il 'processo' serpeggiarono critiche, a partire dal fatto che la gran parte delle informazioni utilizzate per condannare gli imputati era stata ottenuta attraverso metodi coercitivi, compresa la tortura. La montante indignazione nazionale ed internazionale per il trattamento degli imputati nelle mani del governo degli Stati Uniti, comporto' che nessuno dei condannati fosse giustiziato e alla fine tutti fossero rilasciati.

L'episodio ebbe luogo nel 1946, quando gli Stati Uniti istituirono commissioni militari a Dachau per cercare 73 ufficiali e soldati nazisti accusati di aver sparato a piu' di 100 prigionieri americani durante la Battaglia delle Ardenne nel 1944, ma l'editoriale nota che il parallelismo per il prossimo processo dei sei detenuti della prigione USA a Guantanamo Bay sono notevoli e che si dovrebbe far tesoro della lezione passata.

Lunedi' il Pentagono ha annunciato la sua intenzione di perseguire Khalid Sheik Mohammed, accusato di essere la mente degli attentati dell'11 settembre, ed altri cinque che avrebbero partecipato al presunto complotto. L'amministrazione ha pero' riconosciuto la settimana scorsa che Mohammed e' stato sottoposto a waterboarding (annegamento simulato) una tecnica a lungo considerata illegale ai sensi dei trattati internazionali e del diritto statunitense. Il che e' gia' un bel passo avanti, ma - sottolinea l'editoriale - l'amministrazione puo' e deve fare di piu' per garantire il tipo di processo equo "degno del leader mondiale nel settore della democrazia".

Questo obiettivo e' pero' in dubbio a causa dei difetti intrinseci nelle commissioni militari, dato che le regole stabilite dal Military Commissions Act del 2006 permettono di utilizzare elementi di prova ottenuti attraverso mezzi coercitivi. Sono anche ammesse prove 'classificate' che gli avvocati della difesa (sempre militari) potrebbero in parte essere ammessi a visionare, ma di cui non sono autorizzati a discutere con i loro clienti in aula, e che pertanto non possono essere in grado di confutare o impugnare. E proprio il fatto che il governo stia chiedendo la pena di morte per tutti i sei gli imputati richiede maggiori garanzie giuridiche, dato che "scappatoie nella legge significano che la legittimita' di qualsiasi condanna a morte potrebbe essere respinta dal resto del mondo".

In teoria il governo e il Congresso avrebbero ancora il tempo per perfezionare le commissioni, fa notare la prestigiosa testata USA, secondo cui "questo dovrebbe essere fatto se non altro per garantire che l'indignazione sentita dal mondo l'11 settembre rimanga focalizzata su coloro che hanno perpetrato le atrocita', e non sul Paese che punisce tali assassini. Ma, soprattutto - conclude l'editoriale - questa strada e' essenziale per preservare il fondamento americano dei valori di equita' e di giustizia che al Qaeda mirava a distruggere".

* si ringrazia Claudio Giusti

Speciale Guantanamo e Abu Ghraib

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