30 gennaio 2008

 
     

Tassa rifiuti in Campania : Class Action possibile e fondata ?
di Massimiliano Trematerra*

Si e' parlato in questi giorni della possibilita', per i cittadini campani, di agire in giudizio per ottenere il recupero della TARSU (tassa sui rifiuti solidi urbani), versata negli ultimi anni, secondo lo schema delle class actions. Secondo taluni, infatti, nei confronti dei cittadini campani non sarebbe stato svolto alcun servizio di smaltimento e gestione rifiuti, rispetto al quale la TARSU costituisce una sorta di corrispettivo.

Se detta azione fosse portata avanti per tutti i cittadini dei Comuni maggiormente colpiti dall'emergenza rifiuti, prendendo a parametro un periodo di cinque anni (quelli della gestione dell'emergenza da parte del commissario A. Bassolino) si arriverebbe, secondo i sostenitori della specifica Class Action, ad un risarcimento danni pari a sette miliardi di euro.

La prima domanda che ci si pone è: su quali enti graverebbe questo carico economico ed in secondo luogo, ci si chiede, questa iniziativa si fonderebbe su una legittima pretesa? La TARSU è una tassa comunale, con la conseguenza che ne sono creditori enti locali o consorzi tra enti locali eventualmente istituiti per l'espletamento del servizio in un certo ambito territoriale. I Comuni e gli altri enti locali campani non hanno svolto in proprio il servizio di smaltimento rifiuti, in quanto il piano regionale rifiuti, siglato nel 1997, prevedeva una gestione centralizzata dei rifiuti in capo all'organo straordinario del commissario istituito con ordinanze del presidente del consiglio dei ministri, ai sensi della legge sulla protezione civile (l. 225/92) (vedi articolo).

Il commissario straordinario, dopo aver, previo esperimento di gara pubblica, affidato la gestione rifiuti a società incaricate anche della costruzione di sette impianti di CDR e due termovalorizzatori, aveva imposto con proprie ordinanze il conferimento dei rifiuti, da parte di ciascun ente locale alle società affidatarie Fibe e Fibe Campania s.p.a.. Tale vincolo fu strumento per tentare di estromettere la malavita organizzata dai cicli di gestione dei rifiuti che, come risaputo, hanno costituito in passato un fattore non trascurabile di profitto per la stessa.

Lo schema di conferimento è stato trilatero: gli enti locali, percettori unici della TARSU, conferivano i rifiuti preliminarmente presso consorzi intercomunali o interprovinciali di smaltimento, pagando a detti consorzi il corrispettivo per la trasferenza. Solo incidentalmente si riferisce che taluni di questi consorzi sono stati commissariati dai prefetti, in quanto compivano attività illecite, quali lo sversamento di rifiuti in violazione di legge. Ciò, ovviamente consentiva ai rappresentanti legali dei consorzi infedeli, spesso in odore di camorra, di trattenere quanto percepito per il conferimento, senza dover pagare per il completamento del ciclo rifiuti.

Ad ogni modo, nella sua maniera fisiologica, il ciclo si concludeva con l'ulteriore conferimento dai consorzi, ove avveniva un primo trattamento del materiale, alle società affidatarie che, sino al collasso, avvenuto per il non funzionamento del termovalorizzatore di Acerra, raccoglievano i rifiuti presso gli impianti di CDR e lo preparavano (con operazioni di separazione, tritovagliatura, etc.) per la successiva combustione. Anche questo ulteriore passaggio, dai consorzi alle società affidatarie del servizio avveniva dietro corrispettivo, con la conseguenza che la TARSU, inizialmente versata dai cittadini ai Comuni, veniva di seguito "girata" con un sovrapprezzo a titolo di corrispettivo, alle società affidatarie.

Dunque, è possibile rispondere alla seconda delle domande formulate all'inizio: un'azione esercitata dai cittadini nei confronti dei Comuni per la restituzione della TARSU è sicuramente infondata ed, inoltre, può costituire un aggravio per comunità più gravemente colpite dall'emergenza in sé. Gli enti locali svolgono la propria attività amministrativa secondo il principio di legalità (art. 97 Cost.) ed il singolo cittadino, aspirante al corretto svolgimento di un servizio pubblico non può dolersi se non quando l'ente erogatore del servizio abbia agito illegittimamente. Nella specie, la legge imponeva agli enti locali di conferire i rifiuti presso gli impianti delle società affidatarie, versando un corrispettivo, peraltro determinato con propria ordinanza dal commissario straordinario ed in ogni caso, superiore addirittura a quanto percepito a titolo di TARSU.

Di conseguenza, viene spontanea una terza domanda. E' possibile allora promuovere la medesima azione volta alla restituzione della TARSU nei confronti delle società affidatarie? E' evidente che ogni inadempimento nella gestione dei rifiuti in Campania non può che essere imputato alle società che hanno gestito il servizio per contratto. Tuttavia, in disparte l'effettiva responsabilità delle affidatarie che già è messa in crisi dalla stessa compartecipazione colposa dei cittadini, per errata o omessa raccolta differenziata, fattore indispensabile per la corretta formazione di CDR e la sua relativa combustione non inquinante, è doverosa un'ulteriore precisazione.

La TARSU è un tributo la cui eventuale restituzione può avvenire solo dall'ente percettore del tributo. In tal caso, l'ente percettore del tributo ha versato un corrispettivo ad altre società in base ad un contratto stipulato da dette società con la regione Campania. Se inadempimento vi è (e se colpa o dolo vi è in esso) l'unica parte a poter esperire un'azione contrattuale nei confronti delle società facenti capo a Impregilo s.p.a. è la regione Campania. Gli enti locali e a maggior ragione i cittadini, cui si promette la restituzione della TARSU, possono tutt'al più far valere una responsabilità extra contrattuale nei confronti delle affidatarie se del caso costituendosi parti civili nell'ambito della causa penale contro Impregilo s.p.a.

Ma, come i più sanno, quando il titolo dell'azione è extracontrattuale sta al creditore soddisfare l'onere della prova. Questo, all'apparenza, può non voler dire molto, ma, a conti fatti, non sarà facile dimostrare in quella sede processuale che il termovalorizzatore di Acerra bruciava i rifiuti inquinando per una colpa specifica di Impregilo s.p.a. I difensori di Impregilo s.p.a. tenderanno infatti a dimostrare che se i cittadini avessero correttamente attuato la raccolta differenziata, la percentuale di rifiuti umidi nel CDR sarebbe stata più facilmente isolabile ed il termovalorizzatore avrebbe così potuto bruciare detti rifiuti ad una temperatura sufficiente a non comportare esalazioni nocive. In tal modo, il giudice penale non ne avrebbe ripetutamente ordinato il sequestro, negli anni 2005 - 2006 ed il ciclo sarebbe potuto giungere a compimento senza il collasso che ha prima costretto ad individuare siti non idonei per lo stoccaggio d'emergenza, sino alla paralisi totale che si è determinata in queste ultime settimane.

Dunque, quale demagogia è mai venire a proporre ad una comunità già martoriata fantomatiche class actions da "paese dei balocchi" che, in ipotesi di accoglimento finirebbero, tra l'altro, per costituire un ulteriore danno incalcolabile agli enti locali di riferimento?

* esperto di diritto amministrativo, membro del comitato tecnico-giuridico dell'Osservatorio

Speciale rifiuti

___________

NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
www.osservatoriosullalegalita.org