31 dicembre 2007

 
     

Corti europee : 2007 , un anno di sentenze
di Gabriella Mira Marq

Europa e' anche giustizia e diritti. Nel 2007 le Corti europee, la Corte dei diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa e la Corte delle Comunita' europee, hanno emesso centinaia di sentenze o decisioni. Ne abbiamo scelto alcune a nostro avviso piu' significative, che riguardano l'Italia e i diritti o che comunque stabiliscono degli importanti precedenti giurisprudenziali cui far riferimento anche nel dibattito politico futuro.

ITALIA

Violazioni dei diritti. A gennaio 2007, la Corte dei diritti dell'uomo ha reso nota la somma delle violazioni commesse dai singoli Paesi del Consiglio d'Europa nel 2006. L'Italia ha collezionato 96 violazioni, mentre solo 5 giudizi su quelli ritenuti ammissibili dalla Corte si sono conclusi a favore dello Stato Italiano. Il maggior numero di violazioni della convenzione commessi dall'Italia sono quelli relativi alla protezione della proprieta' (50), spesso riferiti al fenomeno degli espropri senza adeguato risarcimento. Seguono il rispetto per la vita privata e familiare (31), il diritto ad un effettivo rimedio (25), la lentezza delle procedure giudiziarie (17), il diritto ad un processo giusto (11), il diritto a libere elezioni (10), mentre 3 casi riguardano il diritto alla protezione ed alla sicurezza.

Si ravvisano quindi 53 violazioni relative al settore della giustizia (sebbene per taluni casi sia stata lamentata la mancanza di leggi adeguate) e 43 riguardanti altre amministrazioni dello Stato e i poteri esecutivo e legislativo (sebbene anche alcune sentenze riguardanti la violazione della privacy della vita privata o familiare siano da riferirsi a decisioni dell'apparato giudiziario). Il nostro Paese e' poi - fra i 46 Stati membri del Consiglio d'Europa - nella 'top ten' di quelli che hanno commesso piu' violazioni, preceduto dalla Turchia (312, soprattutto processi non equi e discriminazione), la Slovenia, l'Ucraina, la Polonia e la Francia, che si contraddistingue per un alto numero di violazioni relative al giusto processo.

A marzo, in una sentenza, la Corte ha ribadito che l'Italia deve cessare la sistematica violazione dell'articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e prendere provvedimenti normativi affinche' essa non si ripeta. Il Tribunale europeo ha considerato che l'Italia dovrebbe, soprattutto, impedire tutti i casi di occupazione illegale della terra e scoraggiare le pratiche che non si attengano alle regole sull'esproprio legale, promulgando disposizioni che fungano da fattore dissuasivo e stabilendo la responsabilita' di chi realizza tali pratiche.

Inceneritori Il 5 luglio l'Italia e' stata condannata dalla Corte di Giustizia europea per omessa valutazione d'impatto ambientale sull'inceneritore di Brescia - propagandato come il migliore del mondo -e per omessa pubblicita' al pubblico delle decisioni prese per consentire ai cittadini di dire la propria opinione. Nella sua denuncia, la Commissione Europea osservava che "poco importa che le autorità competenti abbiano effettuato una valutazione dell'impatto sull'ambiente della «terza linea» dell'inceneritore", in quanto, secondo gli obblighi della direttiva, "è prima del rilascio dell'autorizzazione che i progetti che possono avere un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni e la loro ubicazione, devono essere sottoposti ad un procedimento di autorizzazione e ad una valutazione di tale impatto".

Secondo la Commissione, inoltre, "la sola volontà del gestore della «terza linea» dell'inceneritore di sollecitare la sottoposizione di tale impianto ad una valutazione di impatto ambientale, mentre tale impianto era già stato realizzato e messo in funzione, è, di conseguenza, indifferente, in quanto la domanda di valutazione è stata presentata solo il 7 dicembre 2004 e si è proceduto a tale valutazione solo dopo la scadenza del termine impartito nel parere motivato. La Corte Europea (Seconda Sezione) ha accolto tutti i rilievi della Commissione UE contro l'Italia sia per l'omessa valutazione d'impatto ambientale sull'inceneritore che per omessa pubblicizzazione alla popolazione delle decisioni concernenti la realizzazione della terza linea, ed ha condannato l'Italia anche pagare le spese di giudizio.

Pochi giorni dopo, il Tribunale UE ha condannato nuovamente l'Italia per vicende riguardanti l'appalto e la costruzione di inceneritori. L'Italia era stata deferita alla Corte dalla Commissione Europea, che il 20 ottobre 2005 aveva chiesto di dichiarare che il nostro Paese aveva violato le procedure previste dalla direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi. Infatti l'Ufficio del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e la tutela delle acque in Sicilia (il Presidente della Regione Sicilia) - dipendente dal Dipartimento per la protezione civile, emanazione della Presidenza del Consiglio dell'allora governo Berlusconi - aveva indetto la procedura per la stipula delle convenzioni per l’utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta differenziata, prodotta nei comuni della Regione siciliana.

Vittime di reato Il 29 novembre, la Corte di giustizia europea ha condannato il nostro Paese per il mancato recepimento nella nostra legislazione della direttiva UE sul risarcimento delle vittime di reato (direttiva n° 80 del Consiglio del 29 aprile 2004). Gli Stati membri, infatti avrebbero dovuto "mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva entro il 1° gennaio 2006, fatta eccezione per l’art. art. 12, n. 2, di quest’ultima per il quale tale data era fissata al 1°luglio 2005, e dovevano informarne immediatamente la Commissione".

A nulla e' valso sottolineare che l'Italia ha gia' alcune norme relative all'indenizzo delle vittime di atti di terrorismo e della criminalità organizzata nonche' delle vittime di richieste estorsive e di usura, perche' la Corte europea ha notato che "alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, tutti i provvedimenti necessari per procedere all’attuazione della direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale non erano stati adottati dalla Repubblica italiana".

Informazione Importante per l'Italia anche un'altra sentenza europea che non la riguarda direttamente. Una decisione del 7 giugno della Corte dei diritti dell'uomo fa infatti il punto sulla pubblicazione delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, il diritto di cronaca e il dirtto all'informazione. Essa prende spunto dal caso di due giornalisti condannati dai tribunali francesi per aver pubblicato un libro - corredato da alcuni verbali di intercettazioni - sul sistema di intercettazioni illegali durante la presidenza Mitterand. Le condanne erano motivate con la tutela del segreto istruttorio, ma la Corte del Consiglio d'Europa, che opera in applicazione della Convenzione dei diritti dell'uomo, ha ammesso che - pur avendo i due autori violato le leggi sul segreto istruttorio - e' prevalente l'esigenza del pubblico di essere informato sul procedimento giudiziario in corso e sui fatti narrati dai due, purche' i giornalisti riportino fatti veri in modo corretto.

La sentenza afferma fra l'altro che "il diritto della stampa di informare su indagini in corso e quello del pubblico di ricevere notizie su inchieste scottanti prevalgono sulle esigenze di segretezza". Inoltre la Corte di Strasburgo ha sottolineato che non devono essere i giornalisti a dimostrare di non aver violato il segreto istruttorio, ma devono essre le autorita' a dimostrare l'effetto negativo della publicazione sulla presunzione d'innocenza di un imputato.

Sempre in tema di rapporti fra informazione e politica, in ottobre la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Moldova a risarcire un giornalista condannato dai tribunali nazionali per aver richiamato in un articolo i legami di un parlamentare e dei suoi parenti con la cattiva gestione dei trasporti pubblici. Nell'occasione, la Corte ha ammesso che in molti Paesei l'interferenza con la liberta' di stampa e' giustificata da leggi finalizzate a perseguire il "legittimo obiettivo" di proteggere la dignita' e la reputazione delle persone, e che cio' era valido anche in questo caso. Inoltre non ha ravvisato violazioni della liberta' di stampa per parte dell'articolo che non appariva suffragato da prove e che poteva effettivamente essere lesivo della reputazione del parlamentare.

La Corte ha dichiarato quindi che c'era stata violazione dell'art. 10, poiche' il giornalista aveva preso la precauzione di ricordare che aveva citato o riassunto altrui dichiarazioni, fra cui relazioni ufficiali delle autorita' dei trasporti. È inoltre emerso che negli articoli erano contenute precise dichiarazioni di fatto, come i legami familiari tra il politico e i dirigenti.

EUROPA

Danni bellici A febbraio, la Corte di giustizia delle Comunita' europee ha stabilito che la Convenzione di Bruxelles non si applica alle cause per risarcimento da danni bellici. Il Tribunale UE ha affermato che l'azione giudiziaria promossa a scopo di risarcimento per i danni subiti dalle vittime delle azioni delle forze armate "non rientra nella 'materia civile' ai sensi della Convenzione di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale".

Nel caso esaminato, le operazioni condotte dalle forze armate costituivano una manifestazione caratteristica della sovranità dello Stato e quindi un’azione volta ad ottenere il risarcimento del danno causato da tali operazioni, non rientra nell’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles.

Segreto di Stato In aprile e' stato il caso del politico polacco Tadeusz Matyjek accusato di collaborazionismo con il passato regime polacco a generare una importante decisione della Corte dei Diritti dell'uomo secondo cui non e' equo un processo con atti d'accusa secretati. La sentenza ha colpito l'applicazione della legge polacca sulla 'Lustracja' dell'aprile 1997 che obbliga i funzionari pubblici a dichiarare la propria estraneita' alle collaborazioni con i servizi segreti comunisti negli anni fra 1944 e 1990, ma di fatto limita anche il segreto di Stato.

La Corte ha ribadito infatti un suo precedente giudizio sul fatto che non vi sono i presupposti per ritenere che sia ancora nell'interesse pubblico continuare a limitare l'accesso al materiale classificato sotto i regimi precedenti, ed ha notato che cio' dovrebbe valere soprattutto laddove siano previste norme come quella polacca, dato che le persone contro cui sono portate accuse di collaborazionismo dovrebbero trarre beneficio da tutte le garanzie procedurali stabilite dalla Convenzione.

Inoltre le osservazioni sulla parita' di armi fra le parti e sulla secretazione delle prove sono estensibili ad altri processi nazionali ed internazionali recenti, come quelli di Guantanamo dopo la recente legge antiterrorismo e, in modo speculare, quello Serbia-Bosnia sul genocidio di Srebrenica.

Mandato d'arresto UE A maggio 2007 la Corte europea di giustizia ha valutato che la decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri e' valida. La Corte ha bocciato tutte le eccezioni sul fatto che la decisione quadro non avesse validita' in quanto sarebbe occorsa una Convenzione, che la soppressione del controllo della doppia incriminazione per alcuni reati menzionati nella decisione quadro fosse in contrasto con il principio di legalità in materia penale (che implica che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li reprimono) e sul fatto che il mandato d'arresto UE violasse il principio di uguaglianza e di non discriminazione.

La Corte ha sottolineato che la decisione quadro relativa al mandato d'arresto europeo e' diretta ad introdurre un sistema semplificato di consegna, tra le autorità giudiziarie, di persone condannate o sospettate, ai fini dell'esecuzione di sentenze o per sottoporle all'azione penale. Il giudici europei hanno inoltre affermato che la decisione quadro non e' volta ad armonizzare i reati in questione per quanto riguarda i loro elementi costitutivi o le pene di cui sono corredati, quindi, anche se essa sopprime il controllo della doppia incriminazione per certe categorie di reati, la loro definizione e le pene applicabili continuano a rientrare nella competenza dello Stato membro emittente, che deve rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici, di cui fa parte il principio di legalità dei delitti e delle pene. Ne consegue che la soppressione del controllo della doppia incriminazione per taluni reati è conforme al principio di legalità.

La Corte ha sottolineato poi che per quanto riguarda la scelta delle 32 categorie di reati elencate nella decisione quadro, il Consiglio ha ritenuto, in base al principio del reciproco riconoscimento e considerato l'elevato grado di fiducia e solidarietà tra gli Stati membri, che - vuoi per la loro stessa natura, vuoi per la pena comminata (max 3 anni) - le categorie di reati in questione rientrino tra quelle che arrecano all'ordine e alla sicurezza pubblici un pregiudizio tale da giustificare la deroga all'obbligo di controllo della doppia incriminazione. Quanto alla disparità nell'attuazione nei diversi ordinamenti giuridici nazionali dovuta alla mancanza di precisione nella definizione dei reati, i giudici europei hanno sottolneato che la direttiva non ha per oggetto l'armonizzazione del diritto penale sostanziale degli Stati membri. La Corte ha inoltre dichiarato che, nell'ambito della sua discrezionalità, il Consiglio dei ministri può privilegiare lo strumento giuridico della decisione quadro quando, come in questo caso, sono presenti le condizioni per l'adozione di tale atto.

Avvocati e antiriciclaggio A fine giugno la Corte di giustizia europea ha sentenziato che gli Stati membri UE possono imporre agli avvocati di collaborare con le autorita' responsabili della lotta al riciclaggio di capitali quando essi partecipano ad alcune transazioni di natura finanziaria non collegate ad un procedimento giudiziario e cio' non viola il diritto ad un equo processo. I giudici europei hanno spiegato che tali obblighi sono giustificati dalla necessita' di lottare efficacemente contro il riciclaggio.

I giudici europei hanno ricordato che gli obblighi di informazione e di collaborazione si applicano agli avvocati solo nei limiti in cui questi assistono i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di talune operazioni essenzialmente di ordine finanziario e immobiliare, o qualora agiscano in nome e per conto del loro cliente in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare. Come regola generale - ha sottolineato la Corte - tali attività, a causa della loro stessa natura, si situano in un contesto che non è collegato ad un procedimento giudiziario e, pertanto, si pongono al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto a un equo processo.

Sin dal momento in cui l’assistenza dell’avvocato è richiesta per l’esercizio di un incarico di difesa o di rappresentanza in giudizio o per l’ottenimento di consulenza sull’eventualità di intentare o di evitare un procedimento giudiziario, tale avvocato è esonerato dagli obblighi di informazione e collaborazione, essendo irrilevante se le informazioni siano state ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento.

Un tale esonero è di natura tale da preservare il diritto del cliente ad un equo processo, mentre invece - ha evidenziato la Corte UE - le esigenze connesse al diritto ad un equo processo non si oppongono al fatto che gli avvocati, quando agiscono nell’ambito preciso delle dette operazioni di ordine finanziario e immobiliare non aventi collegamento con un procedimento giudiziario, siano sottoposti agli obblighi di informazione e di collaborazione creati dalla direttiva, dal momento che tali obblighi sono giustificati dalla necessità di lottare efficacemente contro il riciclaggio di capitali che esercita un'influenza evidente sullo sviluppo della delinquenza organizzata, la quale costituisce a sua volta una minaccia particolare per le società degli Stati membri.

Abusi di polizia Il 9 ottobre, invece, la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che lo Stato e' responsabile se la polizia non e' stata messa al corrente delle conseguenze negative della prolungata immobilizzazione di una persona fermata. La Corte ha infatti condannato la Francia per la morte di un giovane schizofrenico mentre era bloccato dalla polizia ed ha ritenuto, all'unanimita', che vi era stata una violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti umani da parte delle autorita', che hanno mostrato incapacita' di adempiere al proprio obbligo di proteggere la vita del giovane. Le autorita' francesi, hanno spiegato i giudici europei, avrebbero dovuto chiarire al personale di polizia le possibili conseguenze del prolungarsi delle modalita' con cui avevano immobilizzato il giovane.

Fra le tante sentenze di condanna della Corte UE va ricordato che diverse fra esse riguardano la Russia, dato che i Ceceni ricorrono sempre piu' alla Corte dei diritti dell'uomo.

Speciale diritti

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